PANTALEONE
– La figura dell’amalfitano Pantaleone de Comite Maurone è indissolubilmente legata a quella del padre Mauro, dal quale deriva il secondo elemento onomastico che lo identifica (originato da un Maurone, attestato come uno dei comites della repubblica di Amalfi nella seconda parte del IX secolo). Pantaleone appartiene alla quinta generazione a partire dal capostipite, e fu primo di sei fratelli.
Nacque nella prima metà del secolo XI ad Amalfi o a Costantinopoli, dove il padre si era trasferito sulla scia del cugino di secondo grado Lupino, che nella capitale dell’Impero d’Oriente aveva fatto fortuna. Maurone possedeva un sontuoso palazzo nel contesto dell’insediamento coloniale amalfitano, di cui risulta essere il capo con il titolo aulico di ypathos (console) come provano indirettamente alcuni atti amalfitani del XIII-XIV secolo. La colonia si amministrava con le leggi della madrepatria ed era situata sul Corno d’Oro, di fronte a Galata e confinava con quella veneziana.
Nel loro palazzo costantinopolitano Mauro e Pantaleone ospitarono vari personaggi illustri: loro ospite fu la delegazione pontificia, formata dall’arcivescovo di Amalfi Pietro Alferio, dal cardinale Umberto di Silva Candida e dal cancelliere Federico di Lorena, inviata dal pontefice Leone IX nel 1054 per tentare una riappacificazione, poi fallita, tra la Chiesa di Roma e il patriarcato costantinopolitano.
Nel 1063 Pantaleone funse da anello di congiunzione tra l’antipapa Cadalo (Onorio II), l’imperatore d’Oriente Costantino X Ducas e l’imperatore tedesco Enrico IV: scrisse una lettera al vescovo Benzone di Alba, che sosteneva a Roma Cadalo, invocando un’azione comune tra Papato e Bisanzio contro i normanni, che minacciavano l’autonomia dei ducati della Campania, tra cui Amalfi, e delle altre regioni già bizantine. Da parte sua Pantaleone si impegnava a convincere l’imperatore Costantino. Quest’ultimo approvò il progetto di Pantaleone e promise l’invio di una potente flotta che avrebbe stazionato nei pressi delle acque amalfitane in attesa dell’esercito germanico; quindi le forze bizantine e tedesche congiunte avrebbero attaccato i possedimenti normanni. In tale occasione Costantino inviò un’ambasceria a Roma, capeggiata da Pantaleone e formata soprattutto da pugliesi e calabresi, per testimoniare a Onorio II le vessazioni a cui erano sottoposti. L’offerta bizantina non venne però presa in considerazione dalla corte germanica, nell’ambito della quale una parte dell’aristocrazia aveva prima sostenuto e poi abbandonato Onorio II Cadalo per favorire il rivale Alessandro II, a sua volta appoggiato dai normanni. Quando Pantaleone giunse a Roma con la sua delegazione, l’antipapa si era chiuso a Castel S. Angelo, per cui nel 1063 l’amalfitano e i suoi compagni dovettero raggiungerlo via Tevere travestiti da mercanti a Roma.
Oltre che come politici e diplomatici, interessati alla libertà della loro città d’origine e sempre pronti a inserirla nelle grandi questioni internazionali, Mauro e Pantaleone si distinsero infatti come commercianti avveduti, in grado di gestire un giro d’affari vasto per l’epoca, aperti alle relazioni marittime mercantili per tutto il Mediterraneo. Protessero inoltre uomini di cultura, tra cui il monaco Giovanni, legato al cenobio benedettino del Monte Athos in Grecia, celebre traduttore di opere agiografiche dal greco al latino. E in particolare, furono committenti di notevoli opere artistiche.
Verso il 1060 Mauro consegnò all’abate di Montecassino una cassetta reliquiario d’avorio prodotta in una specializzata bottega di Amalfi: vi si possono leggere i nomi di Mauro e di tutti i suoi sei figli, Pantaleone, Giovanni, Sergio, Mansone, Pardo e Mauro junior. La cassetta fu in seguito trasferita nel monastero di Farfa nell’alta Sabina.
Inoltre, e soprattutto, Pantaleone e Mauro diedero inizio a un modello artistico di eccezionale valore: il ciclo delle porte bizantine bronzee diffuse in diverse chiese italiane. Pantaleone donò infatti nel 1057 all’episcopio di Amalfi una porta di bronzo ricavata dalla fusione di campane e scolpita a Costantinopoli dall’artista Simone d’Antiochia. Su di una croce del Calvario di tale porta, ora posta all’ingresso principale della cattedrale, è incisa la genealogia del committente: «Pantaleo filius Mauri filij Pantaleonis filij Mauri de Maurone comite». Quattro formelle delle valve evidenziano figure ageminate in argento: si tratta della Vergine e del Cristo in alto, degli Apostoli Andrea e Pietro in basso. In particolare, questi ultimi simboleggiano l’equidistanza di Amalfi tra la Chiesa di Roma, rappresentata da Pietro, e quella d’Oriente, indicata da Andrea, che è anche il protettore di Amalfi.
Secondo Leone Ostiense, quando Desiderio abate di Montecassino si recò ad Amalfi, nel 1065 per acquistare stoffe pregiate da regalare a Enrico IV, vide e apprezzò la porta, e ne chiese una simile per la sua basilica, all’epoca in costruzione. La realizzazione, promossa da Mauro e Pantaleone, è attestata nel 1071 in occasione della cerimonia d’inaugurazione della basilica desideriana, alla cui realizzazione avevano preso parte maestranze amalfitane.
Un anno prima Pantaleone aveva donato un’altra porta di bronzo alla chiesa di S. Paolo fuori le mura di Roma; sulle formelle egli è raffigurato prostrato tra le gigantesche immagini di Cristo e s. Paolo, affiancato dall’iscrizione: «Pantaleon stratus/ veniam michi/ posco reatus». E infine una porta fu consegnata da Pantaleone, nel 1076, anche al santuario di S. Michele Arcangelo sul Gargano.
È dubbia invece la notizia secondo la quale tra 1063 e 1071 Pantaleone e Mauro avrebbero fondato due ospedali a Gerusalemme e ad Antiochia; quello gerosolimitano, retto da benedettini, è attestato da Amato di Montecassino nella sua opera scritta alla fine dell'XI secolo e divenne un ospizio per pellegrini in visita al S. Sepolcro (cfr. P. Vitolo, Mauro di Pantaleone, pp. 372-373). Ivi il priore, l’amalfitano Gerardo Sasso, istituì in anni precedenti al 1113 il primo ordine monastico cavalleresco della storia, dedicato a S. Giovanni di Gerusalemme (l’odierno Ordine di Malta).
Nel 1087 Pantaleone partecipò anche alla celebre battaglia di al-Mahdia, da alcuni ritenuto una 'premessa' della Crociata: una flotta di navi pisane, genovesi e amalfitane attaccò il covo pirata tunisino che, guidato da Timino, rendeva difficile la navigazione mercantile verso il Mediterraneo orientale. In tale occasione il dissypathos (bisconsole) Pantaleone de Comite Maurone fu a capo della flotta amalfitana, in un momento in cui la repubblica marinara si era liberata dal controllo normanno. Conoscendo bene la topografia della città africana, Pantaleone fu di grande aiuto per la sua conquista, come ricorda il carme pisano del 1087 che celebra l’impresa («Et refulsit inter istos cum parte exercitus/ Pantaleo Malfitanus, inter Graecos hypatus,/ cuius fortis et astuti potenti astutia/ est confusa maledicti Timini versutia»).
La morte di Pantaleone è anteriore all’anno 1104, data in cui sono testimoniati i suoi eredi nei fondachi e nelle botteghe situate presso le aree portuali di alcuni centri del ducato amalfitano. La sua discendenza si protrasse in patria sino al XIV secolo, e nel contesto mediterraneo era ancora presente a Corfù nel XIII secolo sebbene si professasse ormai di nazione veneziana.
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