CARABELLESE, Pantaleo
Nacque da Salvatore e da Isabella de Vincenzo a Molfetta (Bari) il 6 luglio del 1877, e nel seminario della città natale egli frequentò sia il ginnasio sia il liceo. Dapprima i suoi interessi si volsero alla problematica storico-giuridica, e la pubblicazione di Sulla vetta ierocratica del Papato (Palermo 1910), rielaborazione della tesi di laurea in giurisprudenza discussa a Napoli nel 1900, è indice caratteristico di una attenzione destinata a non spegnersi, e che doveva trovare nell'opera L'idea politica d'Italia (Roma 1946) la sua più alta espressione. Ma nel 1905, all'università di Roma, il C. aveva conseguito la laurea in filosofia, e già nel 1907 aveva pubblicato a Bari la dissertazione su La teoria della percezione intellettiva in A. Rosmini, che indica la direzione in cui si determina questo spostamento d'interesse verso la problematica filosofica. Di scuola varischiana, questo libro giovanile segna l'interesse del C. per la tradizione ontologica della filosofia, ma nel contempo sottolinea i limiti storici e dogmatici del suo maggior esponente postkantiano, e libera così lo spazio in cui successivamente la filosofia del C. si determinerà come un ontologismo laico e critico, distinto dall'ontologismo tradizionale cristiano dall'abbandono del problema realistico del Dio personale, ma ugualmente lontano dalla tradizione filosofica postkantiana di tipo trascendentale e storicistico: è contro questa tradizione anzi che il C., nel legame alla spiritualità risorgimentale, si richiama a quella che gli pare la dimensione propria della tradizione filosofica italiana: la fedeltà al tema dell'oggettività dell'essere.
Dapprima insegnante nelle scuole medie, poi preside e quindi ispettore, il C. viene pubblicando nel 1914 e nel 1915 due volumi che segnano il suo progressivo distacco dalla scuola varischiana: L'essere e il problema religioso (Bari) e La coscienza morale (La Spezia); consegue la libera docenza; pubblica la sua prima opera fondamentale. La critica del concreto (Pistoia 1921). Dal 1923, a Palermo, tiene la cattedra di filosofia teoretica, e da un lato si viene interessando alla determinazione storiografica dei momenti che gli si presentano come nodali, dall'altro si impegna nella loro elaborazione teorica.
Nella prima direzione sono da ricordare La filosofia di Kant: l'idea teologica (Firenze 1927), Ilproblema della filosofia da Kant a Fichte: 1781-1801 (Palermo 1929), e successivamente, quando già era passato alla cattedra di storia della filosofia a Roma, dopo il 1930, L'idealismo italiano (Napoli 1938), Le obbiezioni al cartesianesimo (3 voll., Messina 1946-47), e Da Cartesio a Rosmini. Fondazione storica dell'ontologismo critico (Firenze 1946). A misura del significato teorico delle concrete configurazioni storiche, il C. adotta l'alternativa per cui "la filosofia o è anche metafisica, o non è".
Con ciò, il C. intende affermare che la decadenza del problema oggettivo nella filosofia moderna in quanto domanda che verte sull'essere e l'autolimitazione della filosofia al proprio problema interno - in quanto domanda che verte sulla propria possibilità, e quindi critica - determinano una decadenza della filosofia anche rispetto alla critica, e ciò nella misura in cui, con la metafisica, viene sottratto alla critica ciò che solo ne giustifica l'istituzione: l'oggettività; per cui la critica non può che risolversi in dialettica scettica dell'autocoscienza, e perdere quindi se stessa come critica. In particolare, il C. ritiene di poter trovare il punto di autodeterminazione del proprio pensiero in quell'ambito del pensiero kantiano in cui si contengono l'istituzione della critica e l'intenzione di una metafisica pura. Quest'ambito di pensiero Kant non poté sviluppare, e ciò per aver connesso la possibilità della scienza alla forma del giudizio sintetico a priori (mentre il C. afferma che la matematica è sì sintetica, ma non a priori). Infatti, l'intuizione essendo sempre secondo Kant intuizione del sensibile, il sentire si configura come essenziale al conoscere umano, ed esclude quindi l'essere in sé, con la conseguenza dell'impossibilità di enunciare come siano costituiti i giudizi sintetici a priori metafisici. Kant dimenticò insomma che la scienza non si fa senza lo scienziato, e presuppose dogmaticamente un concetto di conoscere incoerente con l'impostazione di una critica della facoltà pura del conoscere. Questa posizione comportò la conseguenza, non esplicita né voluta in Kant, ma esplicitata e voluta dalla filosofia trascendentale, per cui altra filosofia non v'è che la stessa critica in quanto filosofia trascendentale, cioè filosofia che volutamente ha fatto astrazione dal problema dell'essere per risolvere il problema del conoscere tale essere.
In questo senso, la filosofia trascendentale si configura per il C. come la forma estrema e anarchica della tradizione giudicativa della storia della filosofia quale si è configurata dopo Aristotele. C'è viceversa, nella critica kantiana, un risultato che può dimostrare come dogmatica quella separazione tra l'essere e il pensare che costituisce il presupposto e il pregiudizio della tradizione giudicativa: si tratta della non esplicitata ma presente affermazione della noumenicità dell'idea. È in questo senso che il C. accede al tentativo rosminiano di correzione del noumeno kantiano: come Rosmini, il C. non accetta di Kant la soggettività della conoscenza, e ciò nella misura in cui ambedue considerano l'essere come principio della conoscenza e non come suo esteriore fuori; ma contro Rosmini, il C. afferma che nel pensatore cattolico permane, attraverso il presupposto empiristico, l'esclusione tra essere e pensiero, mentre è compito di una metafisica non dogmatica mostrare la loro reciproca appartenenza. Come già Descartes insomma, Rosmini non ha scorto che la soggettività appartiene, pur nella distinzione, alla stessa necessità di essere di Dio.
Dal punto di vista teorico, e ne sono, dopo la critica del concreto, espressioni maggiori Il problema teologico come filosofia (Firenze 1931), e Che cos'è la filosofia ? (raccolta di saggi, Roma 1942), la correzione del tema ontologico, da Descartes a Rosmini, comporta nella filosofia del C. l'affermazione dell'ontologicità della coscienza, che il C. definisce la sua concretezza, nel senso che il concreto stesso è l'essere coscienziale, e che la coscienza comune si presenta essa stessa come terreno critico. Per la coscienza comune, il saper le cose non presuppone l'esistenza delle cose fuori della coscienza: la distinzione non appartiene all'esperienza, né alla scienza che dell'esperienza fa parte, bensì alla filosofia dogmatica, ovvero alla coscienza volgare, che assolutizza l'oggetto-concetto, mentre disconosce l'oggetto-cosa, la cosa in sé, che dichiara di non conoscere; mentre nella concretezza "io ho coscienza chiara, direbbe Cartesio, di questo iniziarsi del mio atto di coscienza da altro".
Ma se con ciò è affermata la trascendenza dell'essere in quanto oggetto universale - si badi: solo nel senso dell'inesauribilità e dell'inadeguabilità, e nel contempo la tua immanenza in quanto principio dell'esperienza -; i soggetti, per il fatto stesso che l'essere-oggetto dell'ente-cosa consiste nel suo valere per tutti i soggetti, si presentano, reciprocamente, essi pure dotati di una relativa trascendenza, per l'irriducibilità reciproca determinata dal fatto che l'alterità si pone per il C. come soggettività, e non come oggettualità posta da una coscienza ridotta a egoità. Coscienza infatti comporta nella sua concretezza non solo la consapevolezza dell'essere in sé, ma appunto perché tale consapevolezza sia, che il soggetto, che ha coscienza dell'oggetto, trovi di fronte a sé l'altro che, in quanto tale, è appunto l'altro soggetto. Ovvero il soggetto non ha mai esperienza di oggetti, ma solo di soggetti, e la relazione alla verità non è mai relazione all'oggetto, bensì, grazie all'oggetto, è relazione intersoggettiva. Solo l'ontologismo critico, per il C., garantisce il soggetto in quanto tale, mentre ogni deduzione da un 10 equiparato a coscienza comporta la determinazione dell'io stesso come negatività e oggettualità, e il suo assorbimento entro una dialettica della coscienza posizionale e negativa. La dialettica deve essere viceversa concepita come diversità: lo permette l'ontologismo critico, determinando il rapporto tra l'identico e il diverso - in quanto trascendentali della coscienza: l'uno, l'unicità in quanto qualità-inseità dell'oggetto, l'altro, la molteplicità, in quanto quantità-alterità della soggettività - come distinti e non opposti; con la conseguenza che la dialettica si determina come diversità dell'essere e quindi sua distinzione pura. Ma la diversità, proprio in virtù della trascendenza da cui è caratterizzato, rispetto ai suoi distinti, l'essere di coscienza, si determina come temporalità, ovvero come individuazione che - nel passato, nel presente, nel futuro - i soggetti fanno dell'oggetto di coscienza. Ai due trascendentali del concreto, sono correlative le esigenze trascendentali della loro determinazione nella coscienza riflettente: la filosofia, in quanto sforzo di dare risposta al problema dell'essere, e che quindi assorbe il problema teologico, e la religione, in quanto sforzo di individuazione dell'esperienza che fa prova del divino nell'intimità della soggettività.Nei corsi universitari degli anni 1944-47 il C., che dopo la morte di G. Gentile doveva succedergli nella cattedra di filosofia teoretica, elaborò sotto il titolo L'essere e la sua manifestazione la deduzione delle facoltà, fondandole conseguentemente al suo assunto non nell'uomo, ma nella struttura temporale in quanto relazione e dell'essere. A questo proposito è da ricordare come la critica del C. dello storicismo in quanto espressione ormai anarchica della tradizione giudicativa della filosofia trovi il suo correlato nella critica dell'ateismo in quanto espressione ormai anarchica della tradizione unianistica, e ciò nella misura in cui la tradizione giudicativa della filosofia è la forma teorica che assume l'egoismo dell'io che non vuole riconoscere la compresenza degli altri io, e che riduce l'alterità a estraneità e oggettualità. Contro questo umanesimo, il C. caratterizza l'uomo come pensante che vive, e che quindi non ha in sé un proprio fondamento.
Nel 1948, anno in cui avrebbe dovuto abbandonare l'insegnamento, il C. moriva, il 19 settembre, a Genova.
Bibl.: Per una bibliografia degli scritti del C. cfr. R. Tozzi, P.C., Torino 1955, pp. 3-6; per la letterat. sull'argomento, ibid., pp. 102-104, e C. Dollo, Momenti e problemi dello spiritualismo, Padova 1967, pp. 319-26. In particolare, cfr. E. Paci, Pensiero,esistenza,valore, Milano 1940, pp. 173-187; G. Bufo-L. Aurigemma, La consciencecroncrète, Paris 1955, pp. 5-41 (con antologia); G. Semerari, Storicismo e ontologismo critico, Bari 1960; Giornate di studio carabellesiane, Genova 1965.