PAESTUM
(XXV, p. 916; App I, p. 914) - Le ultime campagne di scavo dello Heraion del Sele, prima che la guerra imponesse la sospensione di ogni attività, hanno portato a nuove e interessanti scoperte:
a) A nord del thesauros e ad ovest della Stoa un edificio arcaico (fine VII-princ. VI sec.), dalla pianta rettangolare molto allungata (m. 23,93 × 7,20) con due ante ad est ed ampia sala ad ovest con larga apertura verso sud. I resti di sacrifici (cenere ed ossa) davanti alle ante e il vasto scarico di materiale votivo a sud-ovest inducono a ritenere questo edificio strettamente collegato con il culto. Contro il suo muro meridionale e su residui combusti di esso, furono trovate addossate due metope con triglifi del thesauros. Altre quattro metope dello stesso fregio con relativi triglifi furono rinvenute a sud di esse poco sotto il piano di calpestìo antico.
b) Complesso di edifici 400 metri circa ad oriente della zona dei templi, di cui il più antico e il più importante risale alla seconda metà del IV secolo, quando si provvide al generale riassestamento del santuario. Mentre gli altri edifici hanno muretti di ciottoli e di scaglie di calcare ed arenaria impastati con argilla, quest'ultimo, per quanto di dimensioni più modeste (8,05 × 6,64), aveva muri di più di un metro di spessore, quasi interamente composti con cornici, metope, triglifi e blocchi provenienti dai templi più antichi. Il suo ritrovamento ha più che raddoppiato i preziosi elementi già scoperti dei due fregi dorici del thesauros e del tempio maggiore. Del primo, che aveva originariamente 36 metope figurate, scolpite, in gran parte lavorate nella stessa lastra con i triglifi (in numero di 40, compresi gli angolari), si hanno oggi 32 metope, più due grandi frammenti e molti altri minori, e 28 triglifi oltre a frammenti.
All'arca di Cipselo, al trono di Amicle, così famosi nella storia del- l'arte, ma di cui non restano che le descrizioni tanto discusse di Pausania, questo fregio si contrappone per la sua completezza e, data la qualità della pietra e le traversie subìte, per lo stato veramente eccezionale di conservazione.
La notevolissima importanza di queste scoperte non consiste solo nella rivelazione di un ignoto centro italiota di grande arte, che non si riallaccia direttamente ad alcuno degli ambienti artistici del mondo greco arcaico da noi conosciuti, ma nella luce che gettano sulla tecnica della scultura greca arcaica e nella ricchezza dei miti trattati, di cui alcuni fino ad oggi ignoti alla grande arte. Delle metope rinvenute undici non sono compiute; le figure piatte, in differenti piani, si profilano profondamente scontornate sul fondo. Esse ci permettono di seguire le varie fasi dell'opera d'arte e ci conservano, come le metope già interamente modellate, tracce degli strumenti adoperati. Tutte furono messe in opera sul fregio: la disarmonia tra i differenti stadî di lavorazione era attenuata dalla policromia.
Tra i miti trattati sono prevalenti quelli riferentisi alla saga di Eracle; dalle sei metope della facciata orientale che rappresentano la lotta dell'eroe contro i centauri sul Foloe a quelle che illustrano le sue imprese più famose (cinghiale di Erimanto, leone Nemeo, Cercopi, tripode delfico, Anteo, ecc.); altre metope si riferiscono al ciclo epico (agguato di Achille, pianto funebre delle donne per la morte di Ettore, uccisione di Patroclo, Ulisse navigante su di una tartaruga, Egistofonia) e ad altri miti (uccisione del gigante Tizio per opera dei Letoidi, ratto delle Leucippidi, morte di Pelia, ecc.). L'ultima campagna ha anche portato da due a cinque le fini metope del tempio maggiore, da datarsi al 500 circa. Rappresentano coppie di danzatrici nel ricco costume ionico; in un rilievo una danzatrice procede sola e si volge indietro a guardare le compagne.
È bene ricordare che altre metope, oltre quelle dei due fregi menzionati, sono state ritrovate nella zona dei templi, metope che per lo stile e per le loro misure non possono appartenere né al thesauros né al tempio maggiore. Poiché le decine di migliaia di terracotte e i molti vasi graffiti con dediche alla divinità trovati nelle favisse e nei bothroi si riferiscono tutti a Hera, è da escludere l'esistenza nel santuario di Paestum di altri culti e quindi dobbiamo concludere che queste metope, come gli elementi architettonici non appartenenti ai due edifici rinvenuti, debbono provenire da altri thesauroi probabilmente offerti da differenti città della Magna Grecia.
Recentemente tutti questi preziosi rilievi sono stati trasportati dalle capanne, dove avevano avuto una provvisoria sistemazione al momento della scoperta, nei magazzini del nuovo Museo di Paestum, la cui costruzione peraltro non è ancora ultimata.
Preistoria. - L'uomo ha abitato la zona di Paestum fin dalle epoche più antiche: manufatti litici del paleolitico più recente e del neolitico sono stati rinvenuti in notevole quantità a oriente della basilica, e grotte e ripari sotto roccia d'età paleolitica sono stati scoperti sulle pendici del Monte Soprano, a poca distanza da Capaccio Vecchio, dove si sono avuti anche casuali e sporadici rinvenimenti di oggetti delle età del bronzo e del ferro. Recentemente una scoperta di notevolissimo interesse ci ha fatto conoscere un aspetto della civiltà che fioriva nella piana di Paestum in età eneolitica.
Sul finire del 1943 fu messa in luce parte di una necropoli nella contrada Gaudo, sita circa due km. a nord dell'antica città. In seguito furono iniziati scavi regolari, tuttora in corso, che hanno messo in luce un tratto del sepolcreto dell'estensione di circa 1800 mq. L'antico piano di calpestìo, attualmente coperto da uno strato di humus, la cui altezza varia da m. 0,20 a 2 m. circa, è costituito da un banco calcareo, in cui strati di calcare tenero si alternano ad altri di torba, con tutta probabilità dovuti alle acque ricche di sedimenti dei fiumi e dei torrenti circostanti, tra i quali è il Sele, le cui virtù pietrificanti erano già note in età romana (Silio Italico, Puniche, VIII, vv. 580-81). In questo banco sono incavate le tombe, costituite da un vestibolo d'accesso a forma circolare, talora con gradino per rendere più agevole la discesa, nelle cui pareti si apre l'ingresso a una o due celle, di forma irregolarmente circolare. L'ingresso era chiuso mediante un lastrone di pietra posto verticalmente. Le deposizioni in numero variabile (da due a venticinque) erano di cadaveri inumati, i quali, come si è potuto constatare, erano posti accoccolati lungo la parete di fondo e in qualche caso rannicchiati su un fianco. Tra le tombe passano delle stradine o cardines, dirette da N. a S., che hanno anche la funzione di dividere la necropoli in riquadri o zone. Finora sono state accertate tre di tali zone, e si è constatato che man mano che si procede verso S. i corredi delle tombe sono più recenti. I limiti delle zone sono segnati anche da pozzetti, alcuni circolari, altrirettangolari, che dovevano essere βόϑροι πρὸς ϑυσίας; alcuni di essi sono, per mezzo di canali, in relazione con le tombe, e dovevano servire per libazioni di sangue (ἐναγισμοί). Nella parte orientale si è trovata anche un'area sacra con molti pozzetti, in gran parte gemini, e con un rozzo altare, costituito da un cumulo di pietre d'arenaria, sulle quali è evidente la traccia del fuoco. I corredi sono costituiti da vasi e armi. I primi sono magnifici manufatti, fabbricati d'impasto levigato, nerastro, talora lucidato, spesso di grandi dimensioni. Le forme più comuni sono quelle della brocca sferica con ansa a nastro e collo cilindrico o troncoconico, e quella del bicchiere a gola concava, frequente nelle tombe del I periodo siculo, ma che si ritrova, identica, nel secondo strato di Troia (eneolitico). Assai importanti sono alcuni vasi "a saliera", costituiti da due coppe basse, unite per mezzo di un robusto ponticello e di una larga ansa a staffa; e l'askós, di cui si ha un'abbondante varietà di forme: il tipo più comune è quello ovoidale, "a paperella", ma spesso la sagoma è geometrizzata, e assume un contorno triangolare o quadrato. Forme meno caratteristichie di vasi sono quelle del bicchiere troncoconico, e un vaso globulare, senza manici, cui andava associato un tipo di coperchio cilindrico, con la parte superiore piana o a forma di cupolino, sempre sormontata da una presina cilindrica terminante in un bottone. La decorazione, non molto frequente, è sempre incisa e semplicissima: consiste per lo più in serie di linee parallele, orizzontali sul collo, e verticali sulle pareti del vaso, tra le quali sono compresi chevrons.
Le armi sono, in assoluta maggioranza, di selce, e comprendono pugnali e frecce. I primi sono esemplari finissimi, specialmente del tipo detto stiloide con faccia inferiore piana, di tecnica "meridionale", ma se ne hanno anche di tipo settentrionale, a sezione lenticolare, a forma triangolare con codolo, simili a quelli di Remedello; alcuni, pure a sezione lenticolare, sono foliati: questi ultimi sono rarissimi. Le frecce sono del tipo triangolare con alette e peduncolo. Tutti i manufatti silicei si distinguono per l'estrema finezza della lavorazione, e i pugnali stiloidi anche per le dimensioni, superando spesso i 20 cm. di lunghezza. Oltre a queste armi sono state trovate anche due lame di rame: una sottilissima e assai stretta in relazione alla lunghezza, per cui si deve pensare che fosse un'arma di parata, anziché d'offesa; l'altra è una lama di pugnale triangolare, senza codolo, con tre chiodelli dalle estremità ribadite per fissarla al manico, e con una robusta costolatura mediana: è del tipo detto cicladico.
L'importanza della necropoli del Gaudo è dovuta alla peculiarità delle forme dei vasi, tra i quali è la saliera, che può essere considerata un primitivo kérnos, e l'askós, che è senza dubbio il più antico d'Italia, dato che finora, nella penisola non si conoscevano che quelli delle necropoli di Tolfa e Allumiere e dei sepolcreti "siculi" di Calabria, tutti appartenenti all'età del ferro: i confronti per la nostra necropoli non si hanno che con la civiltà eneolitica della Troade e di Yortan, e pertanto la sua cronologia deve essere stabilita tra la fine del secondo millennio e la metà del primo a. C.
Gli studî antropologici dei resti ossei hanno dimostrato che gli inumati appartengono a un tipo etnico diverso da tutti quelli coevi della penisola italica.
Bibl.: Archeologia: il primo volume, a cura di P. Zancani Montuoro e U. Zanotti Bianco, dell'opera sugli scavi dell'Heraion è di prossima pubblicazione. Preistoria: è in corso di stampa una memoria presso l'Accademia di Napoli, a cura di P. Claudio Sestieri. Per il momento hanno visto la luce i seguenti studî: P. Claudio Sestieri, La necropoli preistorica di Paestum (relazione preliminare), in Rivista di Scienze preistoriche, I, 1946, fasc. 4, p. 245 segg.; id., Nuovi risultati degli scavi nella necropoli preistorica di Paestum, ibidem, II, 1947, fasc. 4, p. 283 segg.; P. Graziosi, I resti scheletrici umani della necropoli preistorica di Paestum, ibidem, II, 1947, fasc. 4, p. 291 segg.; P. Laviosa Zambotti, La necropoli preistorica di Paestum, ibidem, II, 1947, fasc. 2-3, p. 25 segg.