paesaggio
paesàggio s. m. – Alla svolta del millennio, il p. rappresenta sempre più un luogo centrale di riflessione critica e progettuale, in una dilatazione semantica e operativa capace di correlare i valori estetici propri della ‛forma del territorio’ alle complesse interazioni fra uomo e ambiente, alimentate dalla nuova coscienza ecologica e dall’idea di sviluppo sostenibile. Nella sua nozione rientrano infatti tutti gli elementi biofisici, antropici, culturali, sociali, percettivi ed economici che caratterizzano una realtà ambientale, con uno spostamento significativo dell’attenzione dagli oggetti ai sistemi, dagli eventi al contesto, dal prodotto al processo, in una prospettiva relazionale in grado di trascendere definizioni unilaterali, singoli settori disciplinari e ambiti specifici d’intervento. Come appare dalla Convenzione europea del paesaggio (CEP) – il trattato internazionale adottato dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa nell’ottobre 2000, ratificato dall’Italia con legge n. 14 del 9 genn. 2006 – che definisce con il termine paesaggio «una parte di territorio così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere risulta dall’azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni», torna fondamentale per la sua comprensione un principio dialogico e inclusivo, in cui si fondono e si confrontano le componenti oggettive e soggettive, storiche e geografiche, immaginarie e percettive, ecologiche e simboliche: in sintesi, la natura e la cultura che il p. rappresenta nella memoria individuale e collettiva. L’attenzione al p. indica l’emergere, nel progetto contemporaneo, di una strategia flessibile e multifocale, esito di un processo di revisione critica e ri-scrittura dell’artificiale, legato alle complesse dinamiche sociali-economiche-culturali che caratterizzano le trasformazioni urbane e territoriali di fine millennio. In particolare è nei paesi altamente industrializzati che il p. torna quale componente endogena essenziale del pensiero e processo progettuale: da un lato per affrontare aspetti ed emergenze non ulteriormente dilazionabili, correlati alla sopravvivenza stessa del pianeta; dall’altro per comprendere la natura dei fenomeni in atto, sempre più connotati dai contesti eterogenei e frammentari, ibridi e indeterminati delle periferie e della diffusione urbana (la città intermedia e/o la città emergente) nei quali appaiono prioritarie le questioni della riqualificazione e del recupero, del riciclaggio e della rigenerazione dell’esistente, attraverso processi di ‘innesto’ su luoghi sensibili del territorio delle città, nei quali intervenire con azioni e apparati (anche reversibili) che riportino l’ambiente a una maggiore biodiversità e ricchezza. In quest’ottica si pongono le sperimentazioni più recenti, che intendono il p. quale dispositivo euristico flessibile, in grado di costituire l’intelaiatura (debole) d’interfaccia fra la natura dei luoghi e le culture insediate, descritte e interpretate nel loro continuo divenire. Dalla pianificazione e/o valorizzazione ambientale alle tematiche del riciclaggio, dalle nuove politiche di agrourbanesimo al recupero delle aree dismesse, dal progetto degli spazi pubblici e dei parchi al disegno dei giardini privati, dalle opere di land art o environmental art sino all’edilizia finalizzata a una maggiore sostenibilità ambientale, emergono tentativi diversi per elaborare nuovi modelli di analisi e intervento, capaci di integrare fra loro le relazioni ecologiche e simboliche in una filosofia del progetto incentrata sulle dinamiche dei luoghi, sui flussi e sui movimenti, allo scopo di organizzare materiali altamente eterogenei e produrre scenari complessi e interrelati, dove i caratteri d’interazione si impongono, a diversi livelli, sulle definizioni formali. Può prevalere la tematica storico-culturale all'interno della quale si sovrappongono, come in un palinsesto, aspetti diversi del layout territoriale; oppure imporsi la questione ambientale, come nelle opere di riconversione di aree dissestate e/o inquinate, nell’ottica della salvaguardia di parti di territorio e del recupero ecocompatibile delle potenzialità di un sito. Può trattarsi di progetti orientati a rafforzare la coerenza spaziale e sociale attraverso la creazione di nuove centralità, come nei diversi casi di intervento in aree dismesse, marginali o degradate; oppure di opere incentrate sulla valorizzazione dell’elemento naturale, finalizzate sia alla tutela e conservazione di p. particolari sia alla ricerca di nuove forme di autorappresentazione delle componenti botaniche e biofisiche. In tutti i casi il p. diviene un ‘modello di processo’, un ‘reale in divenire’, dunque, di cui il progetto evidenzia la molteplicità semantica ed esperenziale, i caratteri di interconnessione e interscalarità, il principio di metamorfosi ed evoluzione temporale, al fine di programmare, piuttosto che prefigurare, il cambiamento continuo dello spazio contemporaneo. Appare perciò evidente come i richiami al p. amplino il campo tradizionale della landscape architecture (storicamente intesa quale disciplina autonoma, complementare all’architettura e all’urbanistica) per includere qualsiasi opera di trasformazione del territorio, la cui finalità sia innanzi tutto promuovere e ordinare complesse interazioni in vista di un benessere ambientale e sociale che, come sottolineato dalla CEP, si lega alla qualità dei luoghi e alla capacità di abitarli. Da questa interpretazione del p. come luogo d’intersezione tra dinamiche naturali e socio-culturali discende la valorizzazione del ruolo del soggetto che svolge l’atto d’interpretazione. Il p. infatti, secondo gli indirizzi teorico-metodologici prevalenti nella ricerca contemporanea, è una realtà che pur presentando una propria materialità subisce una decisiva operazione di filtraggio culturale, esistendo solamente a partire dal soggetto. In tale accezione oggi dominante occupa evidentemente un posto di primo piano la percezione del p., che è proprio uno dei cardini del pensiero contemporaneo sul tema. Infatti, al fine di promuovere la salvaguardia, la gestione e la valorizzazione del p., la CEP lo riconosce come componente essenziale dell’ambiente di vita delle popolazioni, espressione della diversità del loro comune patrimonio culturale e naturale, e fondamento della loro identità. L’importanza delle popolazioni viene poi ribadita nel passaggio in cui la CEP vincola gli stati contraenti ad adottare una politica del p. che coinvolga direttamente le popolazioni, le quali devono essere adeguatamente educate e sensibilizzate. Infatti, adottando una simile prospettiva culturalista la CEP giunge a formulare l’invito a favorire progetti di tipo bottom-up, che attraverso il coinvolgimento degli attori locali possano risalire correttamente ai valori e al significato profondo che il p. esprime e riflette. La CEP rappresenta il più alto riconoscimento del fatto che la dottrina giuridica ha recepito quanto la geografia aveva postulato da tempo, ossia il peso della componente umana nella costruzione del paesaggio. Non si tratta solo di quegli elementi materiali e immateriali che lo contraddistinguono, bensì dell’insieme dei significati che gli individui gli attribuiscono attraverso le loro percezioni. Il p. si configura quindi come spazio vissuto, e in quanto tale non ammetterebbe gerarchie che distinguono i p. ‘belli’ (quelli a cui si riferisce il dettato normativo quando parla di «aree di particolare interesse paesaggistico») dal resto del territorio, come a sancire una distinzione netta tra p. rilevanti e irrilevanti, mentre la pregnanza culturale della categoria ‘p.’ li rende permanentemente degni di valore. D’altra parte, l’arretratezza di questa visione è dimostrata dalla stessa CEP, che accogliendo un approccio sensibile alla dimensione culturale del p. non può che impegnare a riconoscere rilevanza giuridica a tutti i p., senza distinzione alcuna. Qualche studioso (A. Berque, M. Quaini) ha collegato la recente riscoperta del p. ai fenomeni di spaesamento indotti dalla globalizzazione. Il bisogno, a livello sia individuale sia collettivo, di identificarsi con il luogo che si vive e i valori di cui questo è portatore ha dato rilievo al p., che di un luogo rappresenta un connotato fondamentale e originale. La crescita di domanda di p. testimonierebbe dunque il bisogno delle collettività di riallacciare il proprio legame con i luoghi minacciati dagli eccessi della modernità. Proprio per effetto delle tendenze all’omologazione indotte dalla globalizzazione, infatti, alcuni p. danno oggi la sensazione di perdere pericolosamente le proprie specificità. Sono in particolare quelli urbani, con le loro disordinate stratificazioni che rispondono a principi organizzativi diversi e spesso conflittuali, quelli più esposti ad appannare quei codici che permettono agli individui di identificarsi nel paesaggio. In risposta a chi ritiene la globalizzazione un fenomeno di ineguagliate proporzioni per gli stravolgimenti arrecati al p., si fa notare che l’urto della modernizzazione aveva già profondamente colpito il p. in passato, al tempo dell’industrializzazione e della meccanizzazione dell’agricoltura e poi più di recente nella stagione di forsennata e dissennata speculazione edilizia.