BERTOLINI, Ottorino
Nacque a Udine il 10 nov. 1892 da Annibale e Luigia Locatelli, di una vecchia famiglia bergamasca di professionisti. Nel 1911 si immatricolò presso la facoltà di lettere dell'università di Torino dove si laureò quattro anni dopo. Seguì il corso di studi in storia facendosi allievo di Pietro Fedele e prendendo parte anche ai seminari di Gaetano De Sanctis nella sezione di filologia classica. Alla scuola del Fedele fu indirizzato allo studio della storia dell'Italia meridionale nell'Alto Medioevo, in particolare a quella dei ducati della "Langobardia minore".
Appena dopo la laurea, il B. fu chiamato alle armi e, nominato ufficiale, venne inviato sul fronte di combattimento dell'Isonzo. Restituito alla vita civile cominciò a insegnare nelle scuole secondarie lombarde.
Il B. inaugurò la sua produzione storiografica nel 1920 pubblicando un articolo su La data dell'ingresso dei Longobardi in Italia (in Boll. della Società pavese di storia patria, XX [1920], pp. 11-70).
Nella ricerca usò un metodo filologico già scaltrito, riunendo le varie testimonianze nei filoni di tre tradizioni distinte, la cui attendibilità era considerata in maniera differente secondo i diversi avvenimenti e il diverso interesse che questi potevano aver destato nell'ambiente in cui ciascuna di quelle tradizioni si era formata. L'autore avvertì che non era questione storicamente di poco conto stabilire la data (aprile 568 o - com'egli credeva - maggio 569) in cui i Longobardi erano entrati in Italia, perché ne sarebbe derivato un giudizio sulla rapidità e violenza e soprattutto sul modo istituzionale del loro stanziamento.
Tale abilità nel ricostruire gli strati compositivi e nell'individuare le lontane derivazioni delle fonti si manifestò pienamente nello studio e nell'edizione degli Annales Beneventani, pubblicati il 1923 dopo lunghe ricerche (Gli Annales Beneventani. Contributo alla storia delle fonti per la storia dell'Italia merid. nei secc. IX-XII, in Bull. dell'Ist. storico ital. per il Medio Evo e Archivio murat., XLII [1923], pp. 1-163).
Nel 1924 il B. si trasferì a Roma, comandato come alunno della Scuola storica nazionale e qui continuò a studiare soprattutto le fonti della Langobardia minore prendendo l'impegno di redigere l'edizione del cosiddetto Chronicon Sanctae Sophiae, più esattamente da lui chiamato Liber praeceptorum beneventani monasterii Sanctae Sophiae; pubblicò due saggi preparatori, il 1925 e il 1928, quando il lavoro sembrava prossimo al compimento. Ma esso non fu mai portato al termine voluto, sebbene il B. fino agli ultimi anni della sua attività continuasse a lavorarvi di tempo in tempo.
Diventato preside nei licei, dopo gli anni di comando alla Scuola storica venne distaccato alla presidenza del Consiglio dei ministri entrando a far parte della Consulta araldica.
A Roma il B. ritrovò Pietro Fedele, con cui lavorò nell'università romana, all'Istituto storico italiano per il Medio Evo, alla Consulta araldica, attendendo nel contempo alla preparazione di un'opera di lunga lena, Roma difronte a Bisanzio e ai Longobardi. In questo periodo, dal 1929 al 1940, il B. pubblicò piuttosto poco: parecchie voci dell'Enciclopgdia Italiana su argomenti, a lui ormai familiari, dell'altissimo Medioevo, alcuni densi resoconti di congressi, e rari saggi, fra i quali è da segnalare un articolo su L'aristocrazia senatoria e il Senato di Roma come forza politica sotto i regni di Odoacre e di Teodorico (in Atti del I congresso naz. di studi romani, I, Roma 1929, pp. 462-475).
Conseguita la libera docenza, il B. aveva subito iniziato, nell'anno accademico 1927-28, i suoi corsi liberi di storia medioevale nella facoltà di lettere romana dove supplì spesso il Fedele, distratto dagli altri suoi impegni; infine nel 1942-43 ottenne l'incarico ufficiale al posto di lui. In quegli anni il B. era divenuto l'effettivo maestro della medioevistica romana; fu inoltre segretario del Comitato italiano per le scienze storiche, e come tale contribuì - insieme con F. Chabod - a organizzare la partecipazione italiana ai grandi congressi del Comité intemational des sciences historiques a Oslo nel 1928, a Varsavia nel 1933, a Zurigo nel 1938. Nel 1941, a Bologna (come nono volume della Storia di Roma edita dall'Istituto di studi romani), pubblicò la monumentale Roma di fronte a Bisanzio e ai Longobardi.
Nella svolta decisiva dei tre secoli compresi fra l'anno 476 e il 774, il B. concepì la storia della città di Roma e del suo territorio come integrata progressivamente in quella del papato; e considerò la storia della Chiesa romana come inquadrata in quella dell'Impero e intessuta di stretti e varii, spesso contrastanti, rapporti con le diverse popolazioni che si succedettero nel dominio totale o parziale dell'Italia o che vennero in contatto con questo territorio: Goti, Longobardi, Franchi. Una visione molto complessa in cui finivano con il raccogliersi le fila di intricati processi di svolgimento politici, istituzionali, culturali e ideologici. Attraverso l'alternarsi e il combinarsi di contrasti politici e di controversie ecclesiastiche era colto dall'autore il distacco politico e ideologico di Roma da Bisanzio a mano a mano che maturava - negli ambienti pontifici - una nuova concezione dell'Impero, in cui la Chiesa aveva ormai una posizione autonoma e centrale e il papato un particolare compito derivato da una peculiare responsabilità religiosa nei riguardi della popolazione di Roma e dei suoi territori, e infine anche dell'esarcato.
All'interno - poi - dei territori bizantini d'Italia, e specialmente di Roma, del suo ducato e degli altri territori centrali fino a Ravenna, il B. individuava d'altra parte i modi e i momenti del sorgere e dello svilupparsi dei particolarismi, soprattutto l'inserimento degli ufficiali civili e militari bizantini nei ceti locali emergenti, mentre a Roma l'aristocrazia laica e la ecclesiastica si fondevano: tutto questo processo egli vedeva svolgersi sotto il controllo sempre più diretto del papa. Seguendo - da un lato - l'inasprirsi (anche dopo la conversione) dei rapporti tra i Longobardi e la Chiesa romana e - dall'altro - l'evoluzione politico-istituzionale e religioso-culturale del regno franco, il B. individuò nel soggiorno di Stefano II in Francia il momento in cui avvenne il distacco decisivo della Chiesa stessa dall'unità ideologica e istituzionale con l'impero bizantino e in cui furono poste le basi del potere temporale dei papato e si avviò la formazione del suo dominio territoriale: fuori da ogni impiego o influsso del Constitutum Constantini, che lo studioso riteneva redatto più tardi.
Dati i fini divulgativi, sia pure ad alto livello, che si proponeva la collana in cui il libro apparve, il B. dovette concedere una certa diffusione narrativa e soprattutto sacrificare le note, che in una ricerca così approfondita si sarebbero richieste come essenziali. Si. aggiunga che, nonostante i lunghi studi condotti, nessun rilevante saggio preparatorio era stato precedentemente pubblicato dall'autore. Poté dunque succedere che, così come si presentò, sguarnito d'ogni sussidio filologico-erudito, il grosso volume non rivelasse subito tutti i suoi meriti; in realtà è lecito forse dir solo che, essendo stata la trama del libro privata dei numerosi contributi critici, vi appariva un certo residuo di accentuato psicologismo, derivante al B. dalla formazione cattolico-positivistica e anche letteraria ricevuta dal Fedele.
Portata a termine questa opera, il B. riprese le sue ricerche sui -temi già trattati e iniziò una lunga serie di pubblicazioni su singoli temi importanti, accentuando la sua attenzione sia per le strutture organizzative sia per gli aspetti dottrinali: un lungo saggio, Per la storia delle diaconie romane nell'Alto Medioevo (in Archivio della Società romana di storia patria, LXX [1947], pp. 1-45), proseguendo un lavoro del Marrou, che ne aveva individuato le origini orientali, e alcuni saggi su certi momenti nodali della storia della Chiesa di Roma, specialmente nei suoi rapporti con Bisanzio e con i Longobardi: Il primo "periurium" di Astolfo verso laChiesa di Roma (752-753) (in Miscellanea Giovanni Mercati, V, Città dei Vaticano 1946, pp. 100-205); La caduta del primicerio Cristoforo (771) nelle versioni dei contemporanei e le correnti antilongobarde e filolongobarde in Roma (in Rivista di storia della Chiesa in Italia, I [1947], pp. 22762; 319-79); Il problema delle origini del potere temporale dei papi nei suoi presupposti iniziali. Il concetto di "restitutio" nelle prime cessioni territoriali alla Chiesa di Roma (756-757), in Miscellanea in onore di Pio Paschini, I, Romae 1948, pp. 103-173.
La filologia del B., la sua critica delle fonti non potevano dirsi meramente positivistiche : Familiarizzandosi sempre più con gli ambienti ecclesiastici romani dell'Alto Medioevo, soprattutto con i circoli più vicini al pontefice, egli aveva imparato a conoscerne gli umori, gli interessi, le tendenze nei vari momenti e li sapeva cogliere nelle fonti, soprattutto nelle biografie del Liber pontificalis. Lo stesso si può dire anche per le fonti di Bisanzio, del regno longobardo e di quello franco. Il B. considerava le fonti soprattutto come espressione delle idee proprie di determinati ambienti e soltanto da questo punto di vista giudicava i limiti e la natura della validità delle notizie che esse forniscono, differenti a seconda degli argomenti e delle circostanze.
Nel 1948 il B. vinse il concorso per la cattedra di storia medievale presso l'università di Pisa dove rimase fino al suo collocamento fuori ruolo, avvenuto il 1° nov. 1963. Il 10 marzo 1950 fu eletto presidente della Società storica pisana e tenne questa carica fino al dic. 1963; nel 1952 contribui attivamente alla fondazione del Centro di studi sull'Alto Medio Evo, e fino al 1972 fu uno dei più autorevoli e impegnati organizzatori delle Settimane di studio spoletine, tenendovi anche lezioni negli anni 1955, 1957, 1959, 1966-67, 1969, 1972.
Nell'ultimo periodo della sua attività (1950-1972) il B. non diradò la sua produzione scientifica, anzi ne estese il campo; per una quindicina d'anni preparò l'impegnativo contributo alla Storia universale diretta da Ernesto Pontieri per l'editore Vallardi: I Germani. Migrazioni e regni dell'Occidente già romano (Milano 1965).
Era un accuratissimo racconto degli avvenimenti politici, diplomatici e militari, affiancato da una seconda parte, dedicata a Ordinamenti, struttura sociale, vita economica, religione e cultura: i singoli aspetti erano esaminati specificamente, popolo per popolo. La perdita, dovuta ad esigenze editoriali, di oltre un terzo della stesura originale, è solo in piccola parte compensata dalla relazione spoletina (1955) su "Gothia" e "Romania" (edita in I Goti in Occidente. Problemi, in Settimane di studio del Centro ital. di studi sull'Alto Medio Evo, III, Spoleto 1956, pp. 13-33), dove il gioco dei vicendevoli rinvii dalle concezioni ideali agli accadIrnenti raggiunge una particolare efficacia nell'illuminare - attraverso la dialettica di quei rapporti - il significato e i modi del passaggio dall'universalità del mondo romano alle formazioni politiche e alle culture dell'Alto Medioevo.
Con numerosi saggi particolari il B. tornò ancora ad approfondire argomenti sul tema fondamentale della sua ricerca: è da notare, in ispecie, che insisteva ora sull'esarcato e sui rapporti dei duchi longobardi di Spoleto e di Benevento con Roma e che si occupava parecchio del regno longobardo e - molto più di prima - anche dei regno franco prolungando volentieri le ricerche all'impero carolingio (sempre visto in rapporto con il papato) sino alla fine del secolo IX.
Al paragone - ora - con il regno franco, quello longobardo appariva al B. in tutta la sua fragilità. Non solo, i re longobardi (in ispecie Liutprando) avevano continuato, anzi inasprito i loro attacchi su Roma proprio dopo che si erano convertiti e quando si presentavano come cattolici difensori della fede contro l'eretico imperatore bizantino, non comprendendo essi il significato e l'importanza che aveva tuttavia l'Impero per la Chiesa romana; ma anche non avevano quei re saputo organizzare uno stato solido, non essendo riusciti a creare - come invece fecero i Franchi - nuove istituzioni che, stringendo legami personali, consolidassero e accentrassero. le strutture politiche, amministrative e militari, né erano stati capaci di operare la confluenza dei ceti dirigenti locali, specialmente degli ecclesiastici, nel ceto dirigente del regno. Pure per questo (per lo scarso posto fatto ai vescovi nella società e nello Stato) i Longobardi non ebbero una cultura propria che non fosse quella nazionale e conservarono una cultura priva di carattere espansivo e - anzi - disgregatrice.
Per l'idea di disgregazione e di debolezza che s'era fatta dei Longobardi dal suo punto di vista preminentemente etico-politico, il B. riteneva fatale che il loro regno cadesse sotto i colpi dei Franchi.
Gli approfondimenti e le rimeditazioni del B. ebbero esito in due lavori di sintesi: fra il 1969 e il 1972 stese l'agile volume Roma e i Longobardi (Roma 1972), in cui è particolarmente felice l'esame delle reazioni mentali degli ambienti romani di fronte al nuovo popolo invasore e al suo regno: esame condotto sul filo delle biografie dei papi, sempre in contrappunto con la storia degli avvenimenti. E nella settimana spoletina del 1972 egli tenne la relazione su La origine del potere temporale e del dominio temporale dei papi, concepita in chiave di Universalgeschichte (edita in I problemi dell'Occidente nel sec. VIII, in Settimane di studio del Centro ital. di studi sull'Alto Medio Evo, 6-12 aprile 1972, XX, Spoleto 1973, pp. 231-55).
Diventato presidente della Società romana di storia patria, l'ultima sua iniziativa, in questa funzione, fu la pubblicazione del libro di Pierre Toubert, Les structures du Latium médiéval (Paris 1973) del quale scrisse la prefazione.
Il B. morì a Roma il 26 luglio 1977.
Fonti e Bibl.: Per gli scritti del B. non citati nel testo si rimanda a O. Banti, Bibliografia degli scritti di O. B., in Bollettino storico pisano, XLVII (1978), pp. 23-33. Si veda inoltre P. Toubert-G. Miccoli-G. Arnaldi, L'opera storica di O.B., in Archivio della Società romana di storia patria, CII (1979), pp. 5-36; C. Violante, Ricordo di O. B., in Devoti di Clio. Ricordi di amici storici, Roma 1985, pp. 57-80.