OTTONE di Frisinga
Cronista e storico dell'età medievale, nato intorno al 1114, morto nell'abbazia di Morimund (in Borgogna) il 22 settembre 1158. Figlio di Agnese, figlia di Enrico IV, e di Liutpoldo d'Austria, era fratello uterino di Corrado III e fu zio di Federico Barbarossa. Dopo avere studiato a Parigi, fu monaco cisterciense nell'abbazia di Morimund, poi abate, infine elevato alla cattedra vescovile di Frisinga. Fu in Palestina con la seconda crociata e accompagnò l'imperatore Federico I in tutte le sue imprese italiane, come fidato consigliere e attivo partecipe della sua opera politica. La nascita, le strette relazioni con la dinastia sveva, il suo alto ingegno, le attitudini del suo spirito e la parte presa alle vicende dell'impero fanno di lui uno dei più notevoli rappresentanti del pensiero storico medievale.
Egli compose un Chronicon (ed. in Mon. Germ. Hist., Script., XX, 1868), intitolato anche Liber de duabus civitatibus, in otto libri, dagl'inizî del mondo fino al 1146, in cui trova espressione la più tipica concezione medievale della storia. Tributario di S. Agostino nella divisione della storia universale in sei età e nel concetto pessimistico del senescens saeculum, mutuante da Paolo Orosio i materiali per la sua narrazione, scolastico formatosi alla scuola di Gilberto Porretano ed insieme appartenente alla cerchia del simbolismo storico tedesco, quale si era rivelato negli scritti di Rupert di Deutz, Geroh di Reichesberg, Ugo di S. Vittore, egli concepisce la storia dell'umanità come il susseguirsi di età progressivamente degeneranti per la aerumnosa mutabilitas del mondo materiale, dalla infantia della creazione alla vecchiezza dell'ultima età finché appaia l'alba della settima età, che, col giudizio finale, inauguri la vita futura. Così contro la mutevolezza delle vicende umane egli esalta la felix stabilitas della Chiesa e il provectus spiritualium di fronte al defectus temporalium che caratterizzerà la settima età.
Ma la sua concezione prevalentemente escatologica della storia non costituisce un blocco uniforme e compatto. Altri interessi, intellettuali e politici, vi scavano solchi profondi. Così O. di F., a differenza dei suoi predecessori, costruisce l'edificio simbolico della storia universale non esclusivamente con elementi scritturali, ma anche con i dati degli accadimenti umani; e se pure il giudizio è in genere pessimistico, è notevole in lui lo sforzo, per la prima volta tentato, di un'interpretazione organica e unitaria della storia. Incongruente è anche l'atteggiamento di O. di fronte all'impero. Se nella scomunica lanciata da Gregorio VII contro Enrico IV egli vede simbolicamente la fine della sesta età e il trionfo della Chiesa che infrange i piedi d'argilla dell'impero, altrove egli afferma, romanamente, il diritto dell'autorità dell'imperatore come princeps legibus solutus, responsabile solo di fronte a Dio, e proclama la sua fede nell'eternità dell'impero romano, e deplora la lotta tra il papato e l'impero come dannosa ad ambedue, mostrando così chiaramente come gli elementi agostiniani della sua formazione cozzino in lui con gl'interessi storico-politici di un appartenente alla dinastia sveva.
Più particolare importanza, specialmente per la storia d'Italia, hanno i suoi Gesta Friderici Imperatoris, dove appunto quegl'interessi storicopolitici prendono decisamente il sopravvento su quelli puramente spirituali. Nei Gesta (ed. Waitz; in Mon. Germ. Hist., Script. rer. germ. et it., 1884), scritti per incarico dell'imperatore Federico, con intenti ufficiali e per esaltare le pretese imperiali, narra le imprese del Barbarossa dal 1156 al 1158. Il suo cappellano Ragevino portò poi la narrazione fino al 1160. La compiuta informazione dei fatti che narra, dei quali fu spesso testimone oculare, e certa innata tendenza alla ricostruzione d'insieme al disopra del nudo e semplice particolare formano i pregi fondamentali di O. di F. come storico e controbilanciano in parte quanto nella sua opera c'è di partigiano e di tendenzioso.
Bibl.: U. Balzani, Le cronache italiane nel Medioevo, Milano 1900; A. Dempf, Sacrum imperium, traduzione di C. Antoni, Messina 1933.