Pareto, ottimo di
Scelta che deriva dall’applicazione del criterio di P., elaborato nel 1906 dall’economista V. Pareto (➔). Si supponga che in una comunità composta da due individui si debba scegliere tra due situazioni alternative che hanno effetti diversi sul benessere dei membri della comunità. Quale criterio dovrebbe essere adottato per compiere la scelta? Il criterio di P. afferma che se in una delle due situazioni il benessere di almeno un individuo è maggiore e, contemporaneamente, quello dell’altro individuo è non minore, allora questa dovrà essere la condizione prescelta. Potrebbe però accadere che nessuna delle due situazioni soddisfi questo requisito, quando il benessere di un individuo fosse maggiore allorché, invece, fosse minore il benessere dell’altro. In tale caso, secondo il criterio di P., non è possibile dire quale situazione dovrebbe essere preferita: le alternative sono, semplicemente, inconfrontabili. Dunque, tra le situazioni che possono manifestarsi nella realtà, solo quelle che non sono migliori per uno e peggiori per l’altro possono essere confrontate e classificate. Tutte le altre sono al di fuori della portata del criterio che, per questo motivo, è un criterio di scelta incompleto.
Incompletezza del criterio di Pareto e relative soluzioni
Alla base del criterio di Pareto vi sono, tra gli altri, due presupposti: il primo è che le situazioni vanno valutate in relazione al benessere che procurano agli individui; il secondo è che spesso i confronti di benessere divengono impossibili o arbitrari. Ciò implica, appunto, che non si possa stabilire quale tra due situazioni sia da preferire quando il benessere di qualcuno è maggiore nella prima e il benessere di qualcun altro è maggiore nella seconda. Il rifiuto di compiere confronti interpersonali scaturisce dall’adesione di Pareto a una concezione strettamente ordinale dell’utilità (➔ ordinale, utilità), che non annette alcun significato ai tentativi di misurare l’intensità dell’utilità stessa.
Se il criterio di Pareto serve a scegliere tra due alternative, l’ottimo di Pareto ha lo scopo di individuare l’alternativa (o le alternative) da preferire tra tutte quelle disponibili. Una situazione è ottima se non ne esiste un’altra che consenta ad almeno un individuo di stare meglio senza, però, peggiorare il benessere di alcun altro. Questo principio, che ha avuto uno straordinario successo, in primo luogo tra gli economisti, ma non soltanto tra di essi, può anche essere formulato in una versione diversa che è denominata debole, in opposizione a quella forte appena enunciata. Nella versione debole una situazione è ottima se non ne esiste un’altra che assicuri maggior benessere a tutti gli individui, laddove nella versione forte è sufficiente che anche un solo individuo stia meglio, mentre per tutti gli altri il benessere può anche restare uguale. Una situazione che soddisfi l’ottimo di Pareto è considerata efficiente. Va ricordato che il primo teorema dell’economia del benessere (➔ benessere, teoremi dell’economia del) dimostra che un sistema di mercati perfettamente concorrenziale realizza un ottimo di Pareto ed è, quindi, efficiente (➔ anche efficienza economica).
L’inconfrontabilità di situazioni che siano migliori per alcuni e peggiori per altri, illustrata in precedenza, determina la possibilità che l’ottimo di Pareto non sia unico. Ciò avviene se esistono almeno due situazioni che si caratterizzano sia perché nel passaggio dall’una all’altra qualcuno sta meglio e qualcun altro peggio (quindi sono tra loro inconfrontabili), sia perché per ciascuna di esse non vi è un’alternativa preferibile in base al criterio di Pareto (tutte costituiscono dunque ottimi di Pareto). Inoltre, una situazione che non è un ottimo di Pareto può essere non confrontabile con una che invece lo è e di conseguenza non sarebbe da preferire rispetto a questa. Un caso significativo è quello del monopolio (➔) e della concorrenza perfetta (➔ p). Quest’ultima, come dimostra il primo teorema dell’economia del benessere, realizza un ottimo paretiano, mentre ciò non vale per il monopolio. Eppure, applicando il criterio di Pareto, la concorrenza non è preferibile al monopolio. La ragione è che il monopolista starebbe peggio nel passaggio alla concorrenza. Al monopolio è invece superiore, secondo il criterio di Pareto, il monopolio con differenziazione dei prezzi, che permetterebbe di realizzare altri scambi reciprocamente vantaggiosi tra monopolista e acquirenti rispetto al monopolio con prezzo unico. La possibile molteplicità di ottimi di Pareto è, dunque, la conseguenza dell’incapacità del criterio di Pareto di classificare situazioni che configurano conflitti distributivi, dal momento che le migliori per alcuni sono anche le peggiori per altri. Questa incapacità porta a considerare inconfrontabili, e quindi ugualmente accettabili, situazioni profondamente diverse sotto il profilo distributivo: una situazione in cui il benessere di un individuo fosse massimo e quello di tutti gli altri nullo potrebbe risultare ‘equivalente’ paretianamente a una situazione in cui la distribuzione del benessere fosse molto più egualitaria.
Questa insensibilità alle ragioni distributive è da sempre considerata il principale punto debole del criterio di Pareto e della nozione di ottimo che da esso scaturisce. Uno dei modi per superare questo limite è il criterio dell’indennizzo proposto da N. Kaldor (➔) e da J.R. Hicks (➔). In base a tale criterio, tra due ottimi paretiani va scelto quello in cui gli individui avvantaggiati sono in grado di indennizzare gli svantaggiati, in modo che questi ultimi conseguano un benessere almeno uguale a quello che avrebbero nella situazione alternativa. L’applicazione di questo criterio incontra, però, numerose difficoltà, soprattutto se, come è nelle intenzioni dei suoi proponenti, l’indennizzo deve essere potenziale e non effettivo. Ciò può condurre a scelte contraddittorie, a seconda del punto di partenza, come ha dimostrato T. Scitovsky (➔).
Al criterio di Pareto sono state mosse ulteriori critiche. In particolare, è stata sottolineata l’impossibilità di renderlo compatibile con altri essenziali criteri, come quello liberale, secondo cui vi sono ambiti decisionali nei quali il singolo individuo è l’unico giudice. Esaminando tale problema, A.K. Sen (➔) ha chiarito in che modo si possa manifestare questa incompatibilità e ha enunciato quello che è noto come il paradosso del paretiano liberale.
L’ottimo di Pareto (e il criterio da cui esso scaturisce) costituisce un termine di riferimento importante per l’effettuazione di scelte pubbliche. Ben difficilmente, infatti, una scelta compiuta in violazione del criterio potrà risultare accettabile. Ma la sua incompletezza (così come la limitatezza delle informazioni su cui si fonda) rende necessarie integrazioni che, però, non sono state ancora individuate in modo univoco e convincente.