PICCOLOMINI, Ottavio
PICCOLOMINI, Ottavio. – Nacque a Pisa il 9 novembre 1599, terzogenito di Enea Silvio, patrizio di Siena e signore di Sticciano, e Violante Gerini.
Il padre era stato generale delle armate imperiali nelle Fiandre e in Ungheria, e aveva poi servito il granduca Ferdinando I dei Medici come maestro di camera, istruttore di scherma e generale della artiglieria. Uno zio, Silvio, combatté in Boemia, perdendovi la vita nel 1634. L’altro zio, Ascanio, fu arcivescovo di Siena dal 1621 al 1671, segretario del cardinale Francesco Barberini durante la sua nunziatura apostolica a Parigi e noto soprattutto per essere stato amico e protettore di Galileo Galilei. L’arte della guerra, l’abilità diplomatica e il mecenatismo culturale facevano parte delle tradizioni e del patrimonio familiare.
Giovanissimo, Piccolomini intraprese la carriera militare e si guadagnò fama e onori sui campi di battaglia: le sue gesta e le sue capacità militari furono tanto apprezzate dai contemporanei da essere annoverato da molti tra i grandi condottieri italiani dell’epoca. Di grande esperienza e capacità anche diplomatiche, egli fu in realtà un ufficiale moderno, soldato professionista e imprenditore della guerra a tempo pieno, al cui corso apportò diverse innovazioni di ordine tecnico. Teatro bellico della sua lunga attività fu quello della guerra dei Trent’anni, nel corso della quale operò nello spazio transnazionale dei due Imperi, al servizio degli Asburgo d’Austria e di Spagna e da questi via via innalzato in posizioni eminenti fino ai più alti gradi militari e degli onori nobiliari.
Nel 1615-17 intraprese da volontario la carriera militare. Nel 1619 venne arruolato dal granduca di Toscana come capitano di cavalleria e fu inviato a sostegno dell’imperatore Ferdinando II e della Lega cattolica. Quell’anno Piccolomini si distinse nella battaglia di Pistriz e, l’anno successivo, in quella memorabile della Montagna Bianca, agli ordini del conte di Bucquoy Charles de Longuevai, che era al servizio diretto dell’imperatore. Nel 1625 discese in Italia alla guida di un reparto di cavalleria reclutato in difesa dello Stato di Milano dal conte Gottfried Heinrich di Pappenheim, che era al servizio degli spagnoli. Per tutta la fase danese della guerra (1625-29) Piccolomini militò tra la Lombardia (guerra di Mantova e assedio di Casale) e la Germania, dove passò agli ordini del generale Albrecht von Wallenstein, che lo nominò colonnello delle sue guardie personali.
L’entrata in guerra del re Gustavo Adolfo di Svezia vide Piccolomini alla testa dei corazzieri delle truppe imperiali. Fu allora che maturò la sua reputazione militare e la fama di grande condottiero, in quanto protagonista della battaglia di Lützen (15-16 novembre 1632), in cui l’esercito imperiale subì perdite rilevantissime, ma il re di Svezia trovò la morte – si disse – proprio per sua mano. Ebbe un ruolo di primo piano nelle trattative segrete condotte nei mesi successivi dalla corte imperiale per delegittimare il comando di Wallenstein, caduto in disgrazia agli occhi di Ferdinando II per gli eccessi di protagonismo, la brama di potere, gli errori tattici e le trame cospirative che gli furono attribuite dopo la perdita di Ratisbona nel 1633. Sicché gli avvenimenti che portarono alla destituzione e alla condanna a morte di Wallenstein videro Piccolomini schierato agli ordini dell’imperatore.
Nel 1634, fu nominato ambasciatore di Firenze residente a Vienna e gli fu affidato il comando di uno dei reparti di cavalleria che sconfissero gli svedesi nella battaglia di Nördlingen, guadagnandosi così il grado di luogotenente, una grossa ricompensa in denaro e il titolo di conte della prestigiosa signoria di Nachod, già residenza di Wallenstein. Qui, negli anni a venire, egli commissionò i lavori di ristrutturazione e ampliamento dell’antico e fatiscente castello-fortezza, che sotto la sua conduzione assunse l’aspetto di una moderna residenza aristocratica di gusto italiano.
In questi anni di rapidi avanzamenti di carriera presero corpo sotto la guida militare e i comandi di Piccolomini anche le carriere di quelli che saranno poi a loro volta altri valorosi comandanti distintisi sul teatro della guerra dei Trent’anni, tutti di origine toscana o romana. Tra loro vi furono Alessandro Del Borro, Giuseppe Mattei, Enea Silvio Caprara e, tra gli altri, i suoi due figli illegittimi, Ascanio, che morì ad appena diciannove anni nella battaglia sul Reno del 1643, e Diego, che in seguito si stabilì nella Sardegna spagnola.
Al di fuori del matrimonio Piccolomini ebbe pure una figlia femmina, che nel 1636 sistemò con una ricca dote nel monastero della SS. Concezione a Firenze.
Alla metà degli anni Trenta, apertosi un altro fronte di guerra nei Paesi Bassi spagnoli, Piccolomini reclutò una nuova armata di 4000 cavalli e 6000 fanti, che guidò in soccorso del cardinale infante di Spagna Ferdinando d’Asburgo impegnato contro l’esercito francese, e nella cui organizzazione e conduzione introdusse regolamenti e disciplina che gli garantirono una maggiore efficacia d’azione. Sul fronte occidentale Piccolomini combatté per tutti gli anni 1636-39, invadendo la regione della Piccardia. Le sue truppe si spinsero fino a trenta miglia da Parigi, misero a sacco la città di Abbeville e, infine, nel 1639 liberarono dall’assedio Thionville. Nel corso di queste imprese nelle Fiandre egli concluse un vantaggioso matrimonio con la figlia del principe Alberto di Ligne Marie Dorothée Caroline, che sposò nel 1636.
Dal 1640 tornò a militare sotto le insegne di casa d’Austria. In quelle ultime convulse fasi condotte sul fronte orientale della guerra egli tentò di riorganizzare gli eserciti. Congedò i veterani, reclutò nuovi reggimenti immettendo altre energie per lo più fatte da giovanissimi tra le prime file. Conquistò alcune piazzeforti, tra cui quelle di Horsburg, Lavemburg e Oldenburg, ma non gli riuscì di difendere Lipsia che dovette arrendersi il 6 dicembre 1642.
Alla fine del 1642 Piccolomini passò di nuovo al servizio della Spagna di Filippo IV, che gli affidò il comando generale dell’armata nelle Fiandre contro francesi e danesi e dove, su sua stessa ammissione, incontrò non poche difficoltà a imporsi sui comandanti nativi spagnoli, gelosi dei militari italiani per la reputazione che avevano acquisito su quei campi di battaglia. I successi comunque riportati gli valsero l’importante riconoscimento della Corona di Spagna, che lo nobilitò nel Regno di Napoli investendolo nel 1642 del titolo di duca di Amalfi, appartenuto fino alla fine del secolo precedente ai Piccolomini d’Aragona del ramo napoletano del suo casato, e soprattutto lo insignì del prestigioso privilegio del Toson d’oro.
Negli ultimi anni Piccolomini fu di nuovo in Boemia, richiamato in difesa della città di Praga e della Baviera e infine insignito del grado di comandante generale dell’armata imperiale. Con questa carica egli partecipò fin dal 1647 agli incontri preparatori che si tennero con gli altri plenipotenziari in due città della Westfalia per la stipula dei trattati di pace che posero fine alla guerra.
Tra il 1649 e il 1651 condusse le trattative di pace in Norimberga come plenipotenziario imperiale. La Dieta riconobbe pienamente il suo ruolo e le sue capacità militari e diplomatiche, accordandogli nel 1650 il privilegio imperiale del titolo di principe di Hagenau.
Nel maggio del 1651 sposò a Praga, in seconde nozze, con festeggiamenti durati diversi giorni, la duchessina di Sassonia Maria Franziska Benigna von Sachsen Lauenburg, che non gli diede eredi. Trascorse gli ultimi anni della sua vita tra le corti di Vienna e di Praga.
Le razzie e i saccheggi compiuti nei territori occupati durante i lunghi anni della guerra alla testa delle sue truppe, da cui aveva tratto discrete fortune, e le ricompense accumulate gli consentirono di condurvi un tenore di vita dedito al lusso e allo sfarzo. Vi facevano gioco anche le relazioni transnazionali costruite nel corso della sua attività militare e diplomatica e la dimensione mitteleuropea del patronage artistico svolto per conto delle arciduchesse di casa Medici e delle corti imperiali di Vienna e Innsbruck. Per il tramite di vari mercanti d’arte di origine sia italiana sia fiamminga, Piccolomini aveva investito nel corso del tempo in consumi di lusso e acquisito per i suoi palazzi a Vienna e a Nachod una prestigiosa collezione di arazzi, argenteria, libri, sculture, mappe e strumenti scientifici, la cui composizione ripercorreva la trama dei molti fili della sua storia personale e della mobilità insita nel servizio delle armi che aveva prestato. Valorizzò il territorio della signoria di Nachod, portando particolare attenzione alle sue istituzioni ecclesiastiche. A Vienna patrocinò anche la fondazione di una chiesa dell’Ordine dei serviti, cui i Piccolomini erano legati sin dalle loro origini a Firenze. La chiesa fu intitolata a S. Martino, protettore dei militari, il santo che da giovane era stato come lui ufficiale della cavalleria imperiale.
Piccolomini morì a Vienna il 10 agosto 1656. Il feudo di Amalfi, per il quale egli non aveva mai versato all’Università la somma di 116.000 ducati a indennizzo per le giurisdizioni che gli venivano alienate, tornò per decreto della magistratura napoletana al Demanio regio.
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