MUNERATI, Ottavio
– Figlio di Demetrio e di Celeste Ferrari, nacque a Costa di Rovigo il 19 aprile 1875.
Si laureò a 21 anni alla Scuola superiore d'agricoltura di Portici. Dopo un tirocinio nelle redazioni del Giornale di agricoltura e de L'Italia agricola, fu chiamato nel 1899 alla cattedra ambulante di agricoltura di Rovigo. Qui, nel 1901, fondò e diresse il quindicinale Rivista agraria polesana, che ebbe un ruolo importante nell'evoluzione tecnica dell'agricoltura non solo locale. Tra i molti incarichi, ebbe la direzione della sezione agraria dell'Enciclopedia Italiana.
Nei primi anni del Novecento, iniziò a interessarsi di barbabietola da zucchero, la cui coltivazione, avviata in Germania circa un secolo prima, si stava espandendo con alterne fortune in varie parti d'Italia. Bisognava superare diverse difficoltà sia per l'adattamento della specie e della tecnica colturale al nuovo ambiente, sia per i non sempre facili rapporti tra i coltivatori e l'industria saccarifera. Munerati fu tra i primi a comprendere appieno l'importanza della coltura industriale quale potente fattore di progresso tecnico, economico e sociale per l'agricoltura italiana. Ma c'era da recuperare un ritardo di almeno 50 anni rispetto ai paesi dell'Europa centrale. Sulla base delle esperienze svolte dalla cattedra ambulante, diede alle stampe il libro La coltivazione della bietola zuccherifera (Rovigo, 1908), che rappresentò per diversi decenni un'affidabile guida per i tecnici e i bieticoltori.
L'attività di selezione iniziò nel 1914, quando egli fondò a Rovigo la Regia Stazione sperimentale di bieticoltura, una delle prime istituzioni pubbliche di ricerca dedicate esclusivamente alla barbabietola da zucchero. Nel 1920 pubblicò il suo lavoro più importante: Osservazioni e ricerche sulla barbabietola da zucchero. Parte prima (in Atti della Regia Accademia dei Lincei, 5, pp. 173-322). La seconda parte, che probabilmente avrebbe reso pubbliche esperienze ancora più rilevanti, non fu mai realizzata nonostante le pressanti sollecitazioni provenienti anche dal mondo politico ed industriale. Negli anni seguenti si preoccupò dell'applicazione pratica delle intuizioni e dei risultati del primo decennio d'attività. S'interessò anche di altre coltivazioni (mais, frumento, riso ecc.) presto abbandonate per dedicarsi totalmente alla barbabietola. Di questa coltura nuova e difficile affrontò, tra l'altro, argomenti ancor oggi irrisolti, come le resistenze genetiche alla cercospora e alla prefioritura.
Non è dato di sapere quando Munerati iniziò a occuparsi della cercospora, una malattia fungina diffusa nelle zone temperate ed umide, in grado di danneggiare l'apparato fogliare e di causare ingenti riduzioni produttive. Nella pubblicazione del 1920, l'argomento è quasi trascurato. Tuttavia, è certo che già nel 1925 egli aveva a disposizione alcune linee parzialmente resistenti alla malattia, ottenute incrociando varietà normali con barbabietole spontanee raccolte alla foce del Po di Levante (Sull'incrocio della barbabietola coltivata con la Beta selvaggia della costa adriatica, in L’Industria saccarifera italiana, XXV [1932], pp. 303 s.). La specie selvatica, classificata Beta maritima da Linneo, è considerata il genitore ancestrale delle barbabietole coltivate (Osservazioni sulla Beta maritima L. nel triennio 1910-1912, con G. Mezzadroli e T.V. Zapparoli, in Stazioni sperimentali agricole italiane, XLVI [1913], pp. 415-445). Nel 1935, alcune linee migliorate, tra le quali quella siglata R581, furono inviate negli Stati Uniti dove permisero un sostanziale miglioramento della produzione di zucchero (Coons, 1936; 1955). Ancora oggi, la resistenza scoperta da Munerati è l'unica disponibile contro la malattia. In altri termini, «tutte le varietà oggi dichiarate più o meno resistenti alla cercospora derivano da selezioni svolte a Rovigo» (Il problema della barbabietola, in Convegno per la ripresa economico-agraria delle Venezie, Venezia 1946, pp. 3-29).
Munerati fu attratto molto presto dal problema della prefioritura, fenomeno piuttosto complesso, che induce l'emissione degli scapi fiorali circa tre mesi dopo la semina, dando origine a intralci nelle operazioni di raccolta e a sensibili cali di produzione. Già nel 1905 apparve la sua prima pubblicazione sull'argomento (La prefioritura delle bietole e un'esperienza persuasiva, in Rivista agraria polesana, 16-17, pp. 245-250; 265-269). Dal 1915 le osservazioni diventarono più articolate e sistematiche (Di alcune anomalie della Beta vulgaris, con T.V. Zapparoli, in Rendiconti della Regia Accademia dei Lincei, 25, pp. 889-892). Gli studi portarono, tra l'altro, a valutare le possibilità della semina autunnale da tempo ipotizzata e tentata in diverse parti d'Europa, ma spesso vanificata dal freddo invernale che faceva morire le piantine seminate in ottobre o novembre. Nella primavera del 1928, annata in cui si sviluppò un altissimo numero di bietole prefiorite, alcune nuove selezioni di Munerati evidenziarono una percentuale di prefioritura dieci volte inferiore rispetto alle varietà normali. Nel 1946, egli riferì cautamente d'avere costituito alcune linee nelle quali la resistenza alla prefioritura «potrebbe considerarsi praticamente fissata» (Il problema della barbabietola, cit.). Da quei materiali ebbe origine parte delle varietà impiegate nel 1952 per le prove di campo organizzate nel Meridione. Nelle zone con inverni miti fu confermata la validità agronomica ed economica della semina autunnale che diede l'avvio alla costruzione di numerosi zuccherifici.
Nel 1915, Munerati fotografò, pubblicò e chiamò «rizomania» un'anomala proliferazione di capillari radicali attorno al fittone radicale (Di alcune anomalie della Beta vulgaris, con T.V. Zapparoli, in Rendiconti della Regia Accademia dei Lincei, 25, pp. 889-892). Non conobbe direttamente la malattia a cui qualche anno dopo fu dato quel nome e che può ridurre la produzione di zucchero a poche tonnellate per ettaro. L'unico mezzo di difesa è dato dalla resistenza genetica, della quale sono stati individuati diversi tipi: il primo è stato isolato in varietà sicuramente derivate da selezioni di Munerati (Biancardi et al., 2002). Nel 1980 è stato trovata una seconda resistenza molto più efficace. La varietà Rizor, selezionata in Italia da Marco De Biaggi e seminata in tutto il mondo, ha permesso la sopravvivenza della coltura nelle zone interessate dalla malattia (De Biaggi, 2005). Negli Stati Uniti, qualche anno più tardi, fu isolata un’altra fonte di resistenza molto simile alla precedente. Con l'analisi del DNA, anche l'origine di queste ultime resistenze è stata fatta risalire ai materiali selezionati a Rovigo.
Il prestigio di Munerati fu decisivo per fare abbandonare il sistema di pagamento 'a peso' delle bietole, metodo che dava luogo a forti contrasti tra agricoltori e industria, in quanto favoriva la produzione di bietole di grosse dimensioni ma con scarso contenuto di zucchero e bassa attitudine alla lavorazione industriale. Dopo lunghe trattative fu approvato il pagamento 'a titolo', stabilito invece sulla percentuale di zucchero presente nelle radici (Relazione della Commissione tecnica per lo studio dei sistemi di accertamento del titolo zuccherino delle barbabietole, Genova, Federazione Nazionale Bieticultori, 1923, p. 23). Il sistema, da tempo adottato in Europa, produsse vantaggi considerevoli sia per i bieticoltori sia per l'industria saccarifera.
Munerati contribuì al riordino del mercato italiano del seme di barbabietola (La produzione nazionale del seme di barbabietola, in L'Industria saccarifera italiana, XXVI [1933], pp. 287-293). Poiché la totale dipendenza dall'estero aveva provocato gravi danni economici per la scadente qualità e ritardi nelle consegne del seme, fu approvato un regolamento che stabilì severe norme qualitative per la commercializzazione. Nacquero così diversi centri di selezione, in buona parte dipendenti dalle industrie saccarifere nazionali. Tra l'altro, prese l'avvio in Emilia-Romagna una produzione di seme oggi considerata la più importante del mondo.
Debilitato da una lunga malattia e dalle devastazioni della guerra, Munerati scrisse nel 1946 un distaccato commento di rara modestia sui risultati di una vita dedicata completamente alla ricerca (Il problema della barbabietola, cit.).
Morì a Rovigo il 18 giugno 1949 e lì fu sepolto con funerali di Stato.
Non lasciò nessun discepolo in grado di dare continuità alle ricerche in corso e di mettere a frutto le conoscenze ancora allo stato teorico prodotte dalla Stazione sperimentale. Commemorazioni ufficiali furono organizzate negli anniversari del 1950, 1979, 1989 e 1999. Nel trentennale furono riprodotti in copia anastatica tutti i suoi lavori sulla barbabietola (Sulla barbabietola da zucchero. Raccolta dei principali studi di O. M., a cura dell'Istituto sperimentale per le colture industriali, Padova 1979). Nel 1999 fu ristampata con lo stesso sistema la pubblicazione del 1920; in un volume a parte, il testo fu tradotto integralmente in inglese a uso dei ricercatori stranieri. A Munerati è stata recentemente dedicata una monografia riguardante la Beta maritima (Biancardi et al., 2012).
Fonti e Bibl.: G.H. Coons, Improvement of the sugar beet, in Yearbook of agriculture, Washington 1936, p. 625-656; Commemorazione di O. M. nel primo anniversario della morte, a cura della Stazione sperimentale di bieticoltura, Rovigo 1950, p. 24; G.H. Coons - F.V. Owen - D. Stewart, Improvement of the sugar beet in the United States, Washington 1955, pp. 493-495; Atti del Convegno internazionale sulla bieticoltura in commemorazione di O. M. (Rovigo, 5-6 ottobre 1979), a cura dell'Istituto sperimentale per le colture industriali, Padova 1979, p. 281; O. M. 50 anni dopo. Atti del Convegno... (Rovigo, 9 ottobre 1999), a cura dell'Istituto sperimentale per le colture industriali, Dosson di Casier (TV) 1999, p. 181; E. Biancardi et al.,The origin of rhizomania resistance in sugar beet, in Euphytica, 2002, vol. 127, pp. 383-397; M. De Biaggi, Rhizomania, in Genetics and breeding of sugar beet, a cura di E. Biancardi et al., Enfield (NH), 2005, pp. 80-83; E. Biancardi - L.W. Panella - R.T. Lewellen, Beta maritima: the origin of beets, New York 2012, p. 290.