CAMETTI, Ottaviano
Nacque a Gattinara il 4 nov. 1711 da Pietro Antonio e da Veronica Filippone. Compiuti gli studi secondari, decise di darsi alla vita ecclesiastica, e a diciannove anni entrò nel monastero vallombrosano di S. Benedetto presso Vercelli. Nella tranquillità della vita monastica compì proficui studi di filosofia e matematica, in seguito ai quali egli venne incaricato dell'insegnamento di tali materie nel monastero fiorentino di S. Trinità. Dopo aver acquistato un notevole credito scientifico, il C. ricevette nell'anno 1747 l'incarico di professore straordinario di geometria all'università di Pisa. La nomina era particolarmente significativa perché per la prima volta, e proprio nella sua persona, nell'ateneo pisano l'insegnamento della geometria vemva scisso da quello della matematica generale, di cui sino ad allora aveva fatto parte. Nel 1749 Francesco Stefano I di Lorena mutò da straordinaria in ordinaria la cattedra, che il C. mantenne per quarant'anni fino alla morte; nel 1752, infine, le associò il lettorato di meccanica, sino allora tenuto dal Serravllini.
La sua attività, limitata prevalentemente al campo didattico, fece emergere tuttavia il C. da quel gruppo di intellettuali membri del clero, onesti ma sostanzialmente oscuri, che tra il Cinquecento e il Settecento formarono buona parte della struttura di base della vita universitaria italiana, e ciò grazie ad alcuni scritti, che, pur scarsamente rilevanti sul piano della ricerca scientifica pura, furono largamente diffusi e più volte ristampati fino alla fine del secolo per i loro pregi di chiarezza ed ampiezza di informazione.
La prima opera nota del C. (l'orazione latina tenuta a Pisa nel 1748 per l'assunzione della cattedra non fu infatti stampata né ci è pervenuto il testo manoscritto) è una breve comunicazione sulla utilizzazione come meridiana di un obelisco imperiale allora nuovamente innalzato nella piazza di Campo Marzio a Roma. Il saggio, scritto a S. Trinita nel settembre 1748, fu accolto in una silloge di saggi sull'argomento dovuti a vari autori: De obelisco Caesaris Augusti e Campii Martii ruderibus nuper eruto (Romae 1750). Ma nel settore didattico, a lui più congeniale, il C., quasi come atto di omaggio alla tradizione matematica toscana, nei primissimi anni del suo incarico lavorò sul testo delle sezioni coniche del camaldolese Guido Grandi, docente di matematica a Firenze ai primi del secolo ed in certo senso ultimo grande esponente della scuola galileiana. Tale lavoro dette origine ad un commento, la Sectionum conicarum synopsis G. Grandi aucta a D. Octaviano Cametti vercellensi (Florentiae 1750).
La tematica relativa alle sezioni coniche (cioè alle curve che si generano dall'intersezione di un piano con una superficie conica) era uno dei motivi tipici della scuola matematica toscana. Dapprima, verso il 1660, esso aveva richiamato l'attenzione di V. Viviani, che aveva fornito una ricostruzione congetturale degli smarriti ultimi quattro libri dei Conici di Apollonio di Perga, e contemporaneamente quella di G. A. Borelli, che aveva curato la traduzione di un codice arabo degli stessi Conici. Dopod'allora si erano interessati all'argomento A. Marchetti e, appunto, il Grandi, il cui testo servì al C. da base per note di ampliamento e chiarimento.
Successivamente però il C. si convinse che il testo del Grandi, validissimo quando era stato composto, non rispondeva più alle mutate condizioni dell'insegnamento e dello stesso linguaggio scientifico, e che perciò, più che di commercio, aveva bisogno di una radicale risrutturazione. Tale fu il Sectionum conicarum compendium (Venetiis 1765, poi Florentiae 1785).
In esso il C. inizia col ricavare i tipi fondamentali di curve coniche, operando diverse sezioni di uno stesso cono. Ciascuno dei tipi di curva così ottenuti viene poi distinto dagli altri con l'esame delle sue caratteristiche essenziali. Infine nell'ultima parte, a carattere tecnico-applicativo, si procede alla rappresentazione delle curve sul piano, valendosi anche di strumenti meccanici. Nell'opera è interessante notare la posizione del C. circa i problemi di quadratura o rettificazione delle coniche: pur non intendendo trarre conclusioni definitive, egli cerca di stabilire che la possibilità della quadratura dell'ellisse dipende da quella del cerchio, e che la rettificazione dell'iperbole dipende analogamente da quella della parabola.
Nel 1755 a Firenze il C. pubblicò un manuale di geometria, gli Elementa geometriae, che ebbe notevole fortuna e svariate edizioni, tra cui la migliore e definitiva è la quarta, stampata a Pisa nel 1772 col titolo Elementa geometriae Euclidis.
Col passare degli anni l'attività didattica e la produzione scientifica procurarono al C. alcuni riconoscimenti: tra essi la nomina a teologo del granduca di Toscana e, nella Congregazione vallombrosana, la nomina ad abate e dal 1786 la presidenza generale. L'ampiezza dei suoi contatti sociali e culturali è in qualche modo dimostrata dalla corrispondenza tenuta con personaggi di rilievo, quali Luigi Guglielmo Cambray Digny e il conte e senatore bolognese G. Casali. Egli esercitò anche a corte una notevole influenza, grazie alla quale poté evitare che i vallombrosani risentissero dei provvedimenti riformatori di Pietro Leopoldo, come invece accadde ad altri Ordini religiosi.
Una prova della stima in cui egli era tenuto anche negli ambienti amministrativi e tecnici era stata offerta dalla vicenda della foresta Fagianaia, sita presso Pisa. L'influenza di tale foresta sul clima e sulle condizioni sanitarie della città era oggetto di attenzione da parte dell'amministrazione pisana, la quale decise di affidare un'indagine al C. ed ai matematici e fisici P. Frisi e G. Taddei. La commissione giudicò nel complesso climaticamente negativa l'influenza della Fagianaia, che quindi venne tagliata. La relazione stilata dal C. fu pubblicata a Pisa nel 1762 col titolo Ragionamento sulla selva Fagianaia.
Pur nel suo carattere occasionale, lo scritto rivela una chiara visione del problema dei rapporti tra ambiente fisico e insediamento umano: ancor più tale orientamento nello studio del territorio si afferma in una seconda edizione assai ampliata, uscita a Pisa nel 1766. All'incirca contemporanea al Ragionamento è una lettera inviata dal C. ad un suo corrispondente francese, Foacier de Betteville, pubblicata poi a Roma nel 1758 come Lettera critico-meccanica. Essa tenta un'analisi delle origini della dinamicamoderna, individuandole principalmente nell'opera di Galileo.
Tale produzione, più strettamente scientifica e tecnica, non distolse il C. dalla redazione dei consueti manuali universitari. Del 1768 è la Mechanica, seu brevis tractatus de motu et aequilibrio, che ebbe varie edizioni dopo la prima pisana. Nel 1777, pure a Pisa, stampò un organico trattato di idraulica, il De mechanica fluidorum, la cui introduzione, che riassume tutti i progressi compiuti dalla disciplina a partire dal tempo di Archimede fino al Settecento, conferma nell'autore quegli interessi storici che erano già emersi nella Lettera.
Il C. morì a Pisa l'8 genn. 1789.
Fonti e Bibl.: Carteggi di giansenisti liguri, a cura di E. Codignola, II, Firenze 1941, p. 140; J. François, Bibliothèque générale de l'Ordre de St.-Benoît, I, Bouillon 1777, p. 170; Novelle letterarie diFirenze, n. s., XX (1789), coll. 145-151; D. Moreni, Bibliografia storico-ragionata della Toscana, I, Firenze1805, p. 203; G. De Gregory, Istoria della vercellese letter. ed arti, IV, Torino1824, p. 133; C. Dionisotti, Not. biograf. di vercellesi illustri, Biella1862, p. 93; E. Micheli, Storia dell'università di Pisa dal MDCCXXXVII al MDCCCLIX, Pisa1877, pp. 59, 60, 71; T. Sala, Diz. stor. biogr. di scrittori lett. ed artisti dell'Ordine di Vallombrosa, I, Firenze 1929, pp. 108-112; C. Calcaterra, Il nostro imminente Risorgimento, Torino 1935, p. 364.