ORLÉANS, Charles, duca d'
Principe e poeta francese, nato a Parigi il 24 novembre 1394, morto ad Amboise il 5 gennaio 1465. Fu avviato alla vita in un ambiente di regale grandezza e di elevatezza intellettuale: suo padre era il duca Luigi d'Orléans, fratello del re Carlo VI, uno dei cavalieri più colti e potenti del regno; la madre, Valentina Visconti, portava dall'Italia un senso più squisito dell'arte e della poesia, sicché entrambi amarono circondarsi di letterati e di poeti non soltanto per il fasto della loro corte ma per una schietta esigenza spirituale. A questa prima educazione Ch. d'O. rimase intimamente fedele, anche se il corso della sua esistenza lo travolse in mezzo a vicende e a interessi di tutt'altra natura. Fatto per una vita gaudente, edonistica, amabilmente leggiera, in cui i valori del sentimento e del gusto prevalessero sulla dura realtà, fu portato invece, ancora giovinetto, al centro d'una politica infida e tragica, senza peraltro sentirne un'interiore necessità. Quando già s'apriva con precoce promessa all'esercizio della poesia (a soli dieci anni, nel 1404, metteva in rima nel Livre contre tout péché la morale che gli veniva impartita), cominciò a subire il giuoco della politica (nel 1406 doveva sposare per ragioni d'opportunità Isabella di Francia, vedova del re d'Inghilterra Riccardo II) e a sentire la triste fatalità del suo destino: la morte del padre - assassinato il 23 novembre 1407 dai sicarî di Giovanni Senzapaura, il cinico e temerario duca di Borgogna - gli trasmetteva l'odiosa eredità della vendetta e il peso d'una rivalità che fu disastrosa per le sorti della Francia e devastatrice per la sua stessa vita d'uomo e di principe. Ritiratosi nei suoi dominî di Blois; privato, nel dicembre del 1408, anche della guida coraggiosa e risoluta della madre, che si consumò nel dolore e nel rancore, Ch. d'O. si trovò emancipato ancora adolescente e solo nel governo delle sue terre. Perduta anche, nel 1409, la moglie, si fidanzava nel 1410 con Bona d'Armagnac, l'undicenne figlia dell'astuto conte Bernardo, che aveva stretto alleanza con la casa d'Orléans contro quella di Borgogna. E da questo legame, annodatosi anch'esso per fini politici, si scatenava la lunga guerra fra le due potenti signorie, che mise a repentaglio l'indipendenza della stessa nazione. Ch. d'O. ebbe tuttavia l'orgoglio d'entrare a Parigi da vincitore (1414), a fianco del delfino, e di sconfiggere e obbligare a una pace umiliante l'assassino del padre; la sorte gli diede ancora l'onore d'intervenire alla difesa della sua patria contro gl'Inglesi, a differenza del suo deprecato avversario; ma ad Azincourt (23 ottobre 1418) cadeva ferito nelle mani degl'invasori. Nella lunga prigionia in Inghilterra, Ch. d'O. vide sfiorire l'intera giovinezza nella vana e inoperosa attesa; egli rappresentava per Enrico V l'ostaggio più prezioso, tanto che il re ne intensificò la sorveglianza, da Londra a Windsor, confinandolo infine nel castello di Pontefract (contea di York) e disponendo per testamento (1422) che non fosse liberato prima che il figlio Enrico VI, allora di appena un anno, non fosse uscito di minorità. Privo di rendite, avendo perduto parte dei suoi dominî e oppresso il resto di gravosi prestiti, costretto a mantenersi a sue spese pur nella prigionia, Ch. d'O. dovette accettare l'ospitalità di qualche cavaliere che sollecitò l'onore della sua guardia, specialmente di John Cornwall, signore di Fanhope, e in seguito di William de la Pole, conte di Suffolk. Qualche volta, nell'incertezza snervante delle trattative, intravide e toccò perfino i patrî lidi; ma soltanto il 5 novembre 1440 poté sbarcare a Calais, liberato per intercessione dei duchi di Borgogna, gli antichi avversarî, ai quali però dovette promettere perpetua alleanza, impegnandosi anzi a sposare in quello stesso anno la nipote del duca Filippo di Borgogna, Maria di Clèves (la sua seconda moglie Bona d'Armagnac era morta nel 1435) appena quattordicenne, ma già dotata di fine educazione e di squisita grazia muliebre: da lei ebbe tre figli, quasi al termine della vita, tra cui il futuro Luigi XII. Ritiratosi a Blois, fu in parte assorbito dall'amministrazione delle sue terre e nel maggio del 1447 discese in Italia per far valere i diritti sull'eredità materna di Asti, che però gli fu contesa da Francesco Sforza (ciò costituì, in parte, l'origine dell'intervento francese in Italia durante il sec. XVI); ma ben presto fu costretto ad abbandonare qualsiasi ambizione politica (specie dopo il 1451), che del resto si riduceva a manovre non sempre chiare e tutte svolte al servizio dei Borgogna e degl'Inglesi, guastatosi perfino con il sospettoso re Carlo VII e decisamente in disgrazia di Luigi XI. Anche ora la poesia rimase l'unica sua oziosa occupazione, nella quale s'era abituato fin dal periodo inglese a obliare ogni velleità d'azione politica, con una levità di spirito che lascia incerti se considerare la sua vita completamente incapace a sentire il dramma storico a cui era stata chiamata a partecipare, oppure soltanto assorbita in una svagata e dolce ignavia, che gli anni rendevano più invadente e più scettica.
Di ritorno dall'Inghilterra, Ch. d'O. aveva portato e diffuso un suo volume di liriche; la forma metrica e strofica - ballate, canzonette, complaintes, carole - denunziava per sé stessa il carattere melodico dell'ispirazione. Alla sua base c'è un'esperienza letteraria maturatasi sulla traccia di Guillaume de Machault e di Eustache Descamps con il patrimonio allegorico e metaforico del Roman de la Rose; i temi tradizionali dell'amore cortese, le consuete situazioni sentimentali, la mitologia delle personificazioni psicologiche, i soliti toni superficialmente galanti e raffinati ritornano tutti nel contenuto poetico di Ch. d'O. senz'alcun tentativo di riforma. Tuttavia vi si delinea con lieve e sottile progressione una particolare sensibilità, che anche nel luogo comune insinua una grazia morbida, delicata, quasi timida; a lungo andare, la poesia di Ch. d'O. con le sue tenui sensazioni e i suoi fugaci stati d'animo si trasforma in una dolce e obliosa corrente: l'amore, la Francia, la guerra, l'esilio, gli affetti del suo cuore si livellano sullo stesso piano sentimentale e battono al suo spirito come echi d'una stessa nostalgia, d'un perenne sognare in cui perdono i loro contorni definiti e il senso urgente della realtà per colorarsi d'un malinconico abbandono e d'un'aristocratica e abulica pigrizia. La sua esperienza politica e partigiana non vi ha lasciato tracce, né la vita morale turba il piano fluire del suo lirismo, nel quale trova posto soltanto una catena di piccole e brevi impressioni che sfumano nell'elemento musicale del verso. Il suo contenuto non ha la pienezza della vita né la vacuità della letteratura; ma l'una e l'altra sono immerse in un'atmosfera d'indolenza spirituale che sfiora l'animo senza intaccarlo. Nessun poeta ha cantato la "nonchalance" con tanto spassionata e lenta apatia, e nessuno, al pari di Ch. d'O., si è abbandonato alla malinconia come a una ineluttabile e squisita condizione umana. Di ritorno in Francia, nella piccola corte di Blois, Ch. d'O. accentuò il tono scettico e libertino ch'era insito nella sua posizione lirica. Al senso delicato e solitario della giovinezza venne sostituendo con la maturità degli anni una disincantata malizia, che ai pudori e alle trepidazioni d'una volta preferiva e scopriva le note sensuali ed erotiche prevalenti nel suo spirito; ma l'artista rimase sempre fedele al suo vago ed errabondo poetare. Ora Ch. d'O. predilige unicamente la forma del rondeau, brevissimo e rapido, adatto alla piccola maniera, conforme agli accenni della melodia e del canto, quasi tutto assorbito e conchiuso nel fugace ritmo del ritornello. La poesia diventa un pretesto di oziosa, amabile e piccante conversazione; la maggior parte dei suoi rondeaux si esauriscono in una piacevole, saporita e innocua corrispondenza con cavalieri e scudieri, con poeti e retori, specie con i letterati della corte di Borgogna, al cui ambiente Ch. d'O. si andò accostando sempre più strettamente: gli fu caro, fra gli altri, anche François Villon. Vissuto in un periodo di crisi politica e letteraria, che inaridiva gli spiriti e disgregava la fantasia, Ch. d'O. riuscì a esprimere con nativa trasparenza e con continuità non mai smentita l'edonistica e fragile poesia del suo spirito.
Bibl. e Ediz.: Le poesie di Ch. d'O. con la storia delle edizioni, dei mss., e con un tentativo d'ordine cronologico, a cura di P. Champion (Parigi 1923-1927, voll. 2, nei Classiques français du moyen âge), che ha dedicato a Ch. d'O. e al suo secolo una serie di studî, compresi nell'opera Histoire poétique du XVe siècle, Parigi 1923, voll. 2.