ORESTE (᾿Ορ???στης, Orestes)
Eroe locale dell'Arcadia (il nome significa "il montanaro" e Platone, nel Cratilo, lo trovava ben appropriato al carattere dell'eroe), eponimo della città di Oresteo o Orestasio. Secondo la leggenda arcadica, come altri eroi locali, moriva morso da un serpente. Il mito ne ha fatto il figlio di Agamennone, quando volle trovare un vendicatore per la sua uccisione.
Per la prima volta è nominato nell'Iliade (IX, 142), ma senz'accenno alla vendetta; poi in vari passi dell'Odissea, dei quali è soprattutto notevole I, 298 segg., dove il poeta della Telemachia fa lodare da Atena O. come uccisore di Egisto e lo fa proporre come esempio a Telemaco: dell'uccisione di Clitemnestra non si parla, sia ch'essa sia taciuta con intenzione, sia che di Clitemnestra sia presupposto il suicidio per pentimento e disperazione. Nei Νόστοι attribuiti ad Agia di Trezene certamente Clitemnestra aveva già acquistato maggiore personalità; ma è dubbio che O. uccidesse la madre. Nel poema ciclico appariva la prima volta, accanto a O., Pilade, un eroe locale focese: i due eroi diventeranno poi, soprattutto per la tragedia del sec. V, amici di fedeltà proverbiale accanto ad Achille e Patroclo, a Teseo e Piritoo. È probabile che già nel poema ciclico O., dopo l'uccisione del padre, fosse salvato e condotto presso Strofio, nella Focide. Soltanto nel mito posteriore a Eschilo e a Pindaro Pilade diventerà il cugino di Oreste.
Non i Νόστοι, ma l'Orestea di Stesicoro si può ricostruire abbastanza bene dalle tragedie del sec. V e dalle rappresentazioni figurate. Una vecchia nutrice, Laodicea (che Pindaro chiamerà Arsinoe, Eschilo Cilissa), salvava di nascosto O. bambino, subito dopo l'uccisione di Agamennone, e lo affidava all'araldo Taltibio, che lo metteva in salvo nella Focide. Dopo parecchi anni, tornava Oreste, accompagnato da Taltibio (manca Pilade), si recava a Lacedemone, dov'era il trono di Agamennone, trovava la sorella Elettra che faceva libagioni sulla tomba di Agamennone per ordine della madre, spaventata da un sogno pauroso. Elettra era accompagnata dalla nutrice Laodicea, che riconosceva Taltibio: il riconoscimento dei due vecchi preparava il riconoscimento dei due fratelli. Si stabiliva poi il piano della vendetta: forse O., come in Eschilo, si presentava sotto falso nome e raccontava la propria morte. Certamente uccideva Egisto mentre era seduto sul trono di suo padre: al grido del morente accorreva Clitennestra armata di scure per difendere l'amante. O., messo in guardia da Elettra, sfuggiva al colpo; Clitennestra era disarmata da Taltibio e uccisa dal figlio. Dopo il matricidio, O. era perseguitato dalle Erinni; ma Apollo, che certo già in Stesicoro aveva ordinato il matricidio, gli dava l'arco per difendersi contro di loro. Un Oreste aveva scritto anche Corinna; ma il brevissimo frammento dei Papiri fiorentini pubblicato dal Coppola non ci dice nulla sul modo com'era trattato il mito.
Da Stesicoro, direttamente o indirettamente (ma poco probabile è l'ipotesi di un epos delfico intermedio), deriva l'Orestea di Eschilo, cioè la trilogia comprendente Agamennone, le Coefore, le Eumenidi. Il matricidio è ordinato da Apollo con terribili minacce; però O. non è strumento passivo del dio, non è il corpus delicti, come è stato sostenuto più volte, ma agisce anche per suo libero impulso. Per la purificazione del matricida, Eschilo non segue la saga più antica, che la faceva avvenire nel Peloponneso (p. es., a Oresteo), ma contamina due saghe più recenti, l'una che la faceva avvenire a Delfi, l'altra ad Atene. A questa contaminazione corrispondono le due parti delle Eumenidi: nella seconda, l'eroe è accusato dalle Erinni, difeso da Apollo, assolto dai dodici giudici ateniesi dell'Areopago in virtù del voto di Atena che presiede il tribunale.
Da Stesicoro derivano anche in parte (oltre che, naturalmente, da Eschilo) l'Elettra di Sofocle e più ancora l'Elettra e l'Oreste di Euripide. Il pedagogo dell'Elettra sofoelea, il vecchio dell'Elettra euripidea sono derivazioni di Taltibio. Per la purificazione, alla fine dell'Oreste, Euripide, trascurando la saga delfica, contamina la leggenda attica con la leggenda locale peloponnesiaca: se la seconda parte di questa tragedia è in gran parte invenzione del poeta, nella prima parte e nella fine è innegabile un forte influsso di Stesicoro. Nelle due Elettre, Oreste impallidisce di fronte a Elettra, che, personaggio poetico ben definito, ma ancora secondario in Eschilo, diventa protagonista in Sofocle e in Euripide.
Oreste appare anche nell'Ifigenia taurica di Euripide, dove sta per essere sacrificato, senza esser riconosciuto, dalla sorella Ifigenia, sacerdotessa di Artemide presso i Tauri; ma proprio all'ultimo momento avviene il riconoscimento, e fratello e sorella, con l'aiuto di Pilade, ingannano il re Toante e riescono a rapire, trasportandola ad Atene, la statua di Artemide. La favola par bene in gran parte, se non in tutto, invenzione di Euripide. Essa fu trattata ancora, nel sec. IV, da Poliido, lodato da Aristotele, e quindi dai tragici latini.
O. appare ancora in altri miti: in quello di Telefo (nel Telefo euripideo, oggi perduto, l'eroe misio, per ottenere la guarigione della sua ferita dai Greci che non volevano ascoltarlo, s'impadoniva di Oreste bambino, che teneva come ostaggio, minacciando di ucciderlo) e in quello di Ermione e Neottolemo (nell'Andromaca euripidea, uccide Neottolemo e sposa Ermione).
Di O. abbiamo molte rappresentazioni figurate, che si riferiscono specialmente all'uccisione di Egisto e di Clitennestra, alla persecuzione delle Erinni, al riconoscimento tra Oreste e Ifigenia. Sono poche e cominciarono tardi le rappresentazioni del giudizio. I pittori dei vasi, prima di Eschilo, seguirono Stesicoro; verso la metà del sec. IV, Teoro (o Teone) di Samo illustrò le Coefore in un ciclo di quadri, di cui si trovano le derivazioni in sarcofagi romani e in un cammeo; al tempo di Cesare, il celebre Timomaco di Bisanzio rappresentò in un quadro il riconoscimento tra O. e Ifigenia, di cui sembrano libera imitazione le pitture pompeiane conservate; il riconoscimento per mezzo della lettera è il tema preferito dei vasi dell'Italia meridionale, e si trova anche in urne etrusche.
Delle opere moderne nelle quali appare O., nominiamo, tra le principali: l'Oreste di Voltaire, il libretto della Ifigenia in Tauride di Gluck, l'Oreste dell'Alfieri, l'Ifigenia di Goethe, l'Elettra di Hofmannstahl.