ORDINI ARCHITETTONICI
I tre ordini classici: 1. - Sull'autorità di Vitruvio (De arch., iv), si parla di tre o. architettonici, il dorico, lo ionico e il corinzio. Che l'ordine dorico già nel V sec. a. C. si chiamasse così, è provato dall'accenno ai "triglifi dorici", quindi a un membro tipico ed inequivocabile dell'ordine, in Euripide (Orestes, v. 1392). Le diversità dell'aspetto esterno dei tre stili sono caratterizzate da Vitruvio (iv, i, 6 s.) col paragonare la colonna dorica alla figura virile (virilis corporis proportionem et firmitatem et venustatem), la ionica a quella muliebre (muliebri subtilitate) e la corinzia a quella di una fanciulla (virginalis gracilitas imitationem). La corrispondenza di denominazione tra ordini e stirpi greche è legittima in quanto gli inizî dell'ordine dorico, in conformità con il testo di Vitruvio (iv, i), sulla base delle costruzioni rimasteci sono da ravvisare in territorio dorico, specialmente nell'Argolide, mentre l'ordine ionico si sviluppa inizialmente in importanti edifici nell'Asia Minore e nell'antistante isola di Samo. Quanto al capitello corinzio, Vitruvio (iv, i, 9 s.) narra la storia gentile del cesto avvinto dall'acanto sulla tomba di una fanciulla a Corinto, la cui vista suggerì a Kallimachos l'invenzione del capitello corinzio. Questo abilissimo inventore del capitello corinzio poteva veramente abitare tanto ad Atene come a Corinto. Nei monumenti il capitello corinzio compare chiaramente per la prima volta nel tempio di Apollo a Bassae; nella thòlos di Epidauro ci si presenta nella forma "classica"; nel Peloponneso fu perfezionato in modo decisivo. Dopo tre ordini canonici, Vitruvio tratta (iv, 7, i s.) dello stile tuscanico, come quarto. In epoca arcaica accanto agli ordini dorico e ionico si afferma nell'ambito dell'Asia Minore eolica la speciale forma del capitello eolico. Infine in età flavia si escogitò una fusione di capitello ionico e corinzio, il capitello composito. Rispetto a queste varianti, bisogna mettere in evidenza che nell'antichità in sostanza ci sono soltanto due essenziali e diversi o. architettonici, il dorico e lo ionico. Entrambi, come anche gli altri stili ricordati, si riconoscono dalle particolarità del capitello. Sebbene nell'ordine dorico e in quello ionico il capitello costituisca un comodo contrassegno, tuttavia tali ordini sono differenti immagini di forme architettoniche e differenti modi di espressione, di cui il capitello caso per caso è soltanto una parte, per quanto come parte esso riveli in modo appropriato il carattere dell'intera struttura. Gli ordini dorico e ionico si sono perfezionati nei templi ed è per questo che prima di tutto si devono ravvisare in modo chiaro e integrale nel tempio. L'ordine dorico è il più antico e si rivela veramente greco senza alcuna riserva. Le caratteristiche dell'ordine ionico si possono illustrare in confronto col dorico.
2. - Dorico. Dopo l'edificazione di fondamenta più o meno profonde, per lo più in pietra squadrata, o dopo l'appianamento della rupe, su cui in adatte condizioni il tempio è direttamente costruito, la figura architettonica del tempio dorico comincia coll'euthynterìa, cioè uno strato di livellamento che ricopre le fondamenta con un piano regolarmente orizzontale di pietre. Occasionalmente l'euthynterìa manca (Propilei, Eretteo e Hephaisteion di Atene). Può rimanere invisibile se la pavimentazione o il terrapieno si innalzano fino ai suoi spigoli superiori. Negli edifici classici (tempio di Zeus a Olimpia, tempio di Apollo a Delo) le pietre squadrate possono essere fra loro di uguale grandezza, e cioè corrispondenti a un quarto di quella dell'intercolumnio. Sopra l'euthynterìa comincia con la krepìs, cioè gradino o zoccolo, la vera struttura architettonica del tempio che si articola in krepìs, colonnato e trabeazione. Come krepìs compaiono uno, due, tre, o quattro scalini. I templi più antichi (Heraion di Olimpia e tempio di Apollo a Thermos) si limitano a un unico gradino; la regola nell'età classica è di tre scalini; quattro scalini si trovano in alcuni templi siciliani tanto della fine del VI come del V sec. (templi D e A di Selinunte, Heraion e tempio della Concordia di Agrigento, tempio di Imera), e si trovano anche a Corinto e ad Asea nel Peloponneso. Normalmente i gradini hanno la stessa superficie tutt'intorno al tempio; invece negli antichi templi C e D di Selinunte essi sono differenti, e cioè nel tempio C il piano di quelli del lato lungo è più stretto di quelli del lato corto, e dei due lati corti quello orientale ha i gradini più larghi di quello occidentale. Anche l'altezza dei gradini può differire; così, ad esempio, nel tempio C di Selinunte e nel tempio di Aphaia a Egina il gradino superiore è più alto di quello inferiore. La singola pietra della krepìs conserva negli edifici canonici la forma cubica fondamentale. Più tardi si trovano gradini in cui lo spigolo inferiore può essere intagliato una o tre volte (tempio di Apollo a Bassae, tempio di Apollo a Delo, templi di Tegea e Nemea), anzi può avere una sagomatura anche più ricca (edificio classico dell'Heraion di Argo). Dallo stilobate, sul gradino più alto si ergono le colonne. Quando si misura la distanza dei loro assi, allora si parla di interasse; lo spazio tra due colonne si chiama intercolumnio. I pietroni dello stilobate possono essere tanto grandi che un solo blocco giunge da asse ad asse di colonna; un siffatto stilobate monolitico hanno i più antichi templi della Sicilia, l'Apollonion e l'Olympieion di Siracusa e anche il tempio C di Selinunte. Di regola entrano in un interasse due lastre dello stilobate; allora, come nello stilobate monolitico, in un primo tempo il punto d'incontro capita sotto le colonne (veramente nell'età classica questo accade ancora nel Partenone e nel tempio di Nemesi a Ramnunte). Dalla fine del VI sec. si afferma la regola che di due blocchi uguali l'uno regge la colonna come punto mentre l'altro si trova libero nel mezzo; così doveva essere a Segesta, sì che in epoca posteriore i blocchi mediani furono rubati, ragion per cui oggi sembra che le colonne doriche si ergano su particolari plinti elevati. In alcuni templi siciliani compaiono eccezionalmente blocchi di differente grandezza: nel tempio A di Selinunte e nel tempio di Eracle ad Agrigento i punti delle colonne sono più grandi dei blocchi dell'intercolumnio. Nello stilobate di alcuni edifici, di cui i piu importanti sono il Partenone e l'Hephaisteion, si nota ad occhio nudo un leggero rigonfiamento del piano dello scalino che dovrebbe essere orizzontale. Questa cosiddetta curvatura delle linee orizzontali è un espediente artistico per attenuare nell'edificio la rigidezza di rette matematiche e per conferire all insieme "un più alto grado di vita organica" (H. Riemann). Questa raffinatezza artistica esige grandissima abilità dallo scalpellino il quale deve tagliare ogni pietra avendo riguardo alla curvatura alla maniera di un parallelogramma, cioè derogando dall'usuale forma ad angolo retto (v. correzioni ottiche).
Le colonne doriche non possiedono né plinto elevato né base, e si compongono soltanto di fusto e capitello. Negli edifici arcaici si incontrano oltre agli stilobati monolitici anche fusti di colonna monolitici (Apollonion ed Olympieion di Siracusa, tempio C di Selinunte, qui in prevalenza nel lato S., e tempio di Apollo a Corinto). In edifici evoluti, soprattutto in quelli di marmo, i fusti delle colonne si compongono di parecchi rocchi, di solito tra i quattro e i nove. L'imponente Partenone ha perfino undici rocchi nel peristilio e dodici nel prostilo della cella. Più importanti che il materiale, sono le proporzioni delle colonne. Le colonne si assottigliano dal basso verso l'alto e più precisamente negli edifici canonici non in modo uniforme, bensì sotto meno e sopra più, sì che il contorno presenta un rigonfiamento, l'entasis. Per più ragioni si pensa che l'èntasis sia stata un invenzione di artefici siciliani. Tra gli edifici arcaici della madrepatria sicuramente il tempio di Apollo a Corinto e il più recente tempio di Atena Prònaia a Delfi, nella Marmarià, non hanno èntasis. Veramente essa compare già in una delle colonne più antiche dell'Heraion di Olimpia e nel tempio di Aphaia ad Egina del tardo arcaismo. In età classica l'èntasis fu espediente prediletto, perché, al pari della curvatura delle linee orizzontali, evita la rigidezza di un assottigliamento matematico dei fusti delle colonne, provocando invece l'impressione di una crescita organica. Simili dovettero essere le intenzioni, se le colonne non furono sempre innalzate verticali bensì se in alcuni edifici presentano una leggera inclinazione interna (questo è accertato nel Partenone e nel tempio di Aphaia ad Egina).
In un primo tempo si incominciò a esprimere le proporzioni delle colonne in rapporto al diametro inferiore, o anche al diametro medio-aritmetico rispetto all'altezza. Naturalmente questo è possibile in modo matematico e dà rapporti come i : 4,21 e i : 4,42 (rispettivamente lato corto e lato lungo del tempio di Apollo a Corinto); 1:4,63 e i : 4,71 (rispettivamente lato corto e lato lungo del tempio di Zeus ad Olimpia); i: 5,46 (Partenone); i: 6,09 (tempio di Atena Alèa a Tegea); i: 6,64 (tempio di Zeus a Nemea, secondo Blouet). Dalle quali misure si può desumere che le colonne doriche dall'età arcaica fino alla tarda classicità diventano visibilmente più slanciate. In conformità Vitruvio parla del rapporto I: 6, in quanto riferisce il rapporto d'altezza al diametro inferiore. Sembra tuttavia che nell'architettura greca il rapporto fra diametro e altezza sia stato senza significato il che è provato dai numeri poco chiari delle proporzioni. Questo è anche in connessione col fatto che le colonne non sempre hanno, come forse ci si aspetta, lo stesso spessore su tutti i lati del peristilio: nel tempio di Zeus ad Olimpia e in quello di Posidone a Paestum le colonne delle fronti sono più spesse di quelle dei lati. E non sono nemmeno sempre di taglio circolare, ci sono anzi occasionalmente colonne d'angolo che sono state costruite quasi elissoidali (Paestum, tempio di Posidone). Il fusto della colonna dorica il quale durante la costruzione dell'edificio in un primo momento è lasciato rozzo, e tale è rimasto fino ad oggi a Segesta e a Ramnunte, viene scanalato in modo che le scanalature si congiungano in spigoli acuti. Scanalature molto schiacciate e relativamente scarse di numero, sono segno di grande arcaicità. Un numero assai basso di scanalature, dodici, presenta un capitello nel museo di Tegea; altrimenti è sedici il numero più esiguo, ad esempio nelle colonne più antiche dello Heraion di Olimpia, nella antica thòlos di Delfi e in entrambi gli antichi templi di Siracusa; è strano il fatto che questo numero basso ricompaia ancora una volta in età classica nel tempio di Posidone al Sunio. Alcuni piccoli edifici non importanti presentano il numero diciotto indivisibile per quattro.
Nelle scanalature, venti è il numero predominante e classico. Soltanto pochi edifici lo superano, così ad esempio il tempio di Posidone a Paestum, l'Artemision di Corfù, e il tempio dorico di Taranto; qui forse le ventiquattro scanalature devono destare l'impressione che il fusto della colonna non appaia troppo tarchiato. Del tutto insolite sarebbero trentadue scanalature, come si crede di poter trovare in un frammento di colonna del thesauròs IV di Olimpia. A scanalature relativamente piatte agli inizî dell'architettura dorica succedono scanalature a forma di segmenti nell'arcaismo avanzato e nell'età classica. Per la tarda classicità sono caratteristiche le scanalature a forma di arco di cesto (tempio di Atena Alèa a Tegea, tempio di Zeus a Nemea, Artemision di Epidauro, thòlos a Delfi in Marmarià). Si sono indicati come "protodorici" alcuni pilastri egizi con scanalatura listata, il che è poco probabile, poiché malgrado certe corrispondenze della forma esterna questi pilastri egizî sono diversi in modo essenziale dalle colonne doriche. Le colonne doriche sono corporee creazioni autonome, mentre i pilastri egizî dai tagli rimasti lisci e dalle lastre di copertura lasciano chiaramente comprendere che sono parti squadrate di pareti. Al contrario si potrebbero indicare come premesse delle colonne doriche le semicolonne del cosiddetto tesoro di Clitennestra a Micene e soprattutto l'Argolide è considerata come territorio d'origine dell'ordine dorico.
Presso la terminazione superiore del fusto, la colonna dorica mostra uno o più solchi circolari. Questo è il posto ove il blocco del capitello si appoggia al rocchio superiore della colonna e vale come precauzione per impedire al capitello, che è del tutto compiuto e anche già scanalato, uno scheggiamento delle affilate nervature per lo spostamento del blocco. La terminazione del fusto della colonna al di sopra degli anelli, che è lavorata insieme al capitello in un unico pezzo, si chiama hypotrachèlion, cioè collo della colonna.
Il capitello dorico si compone di echino, elemento a forma di bacile, e di una lastra quadrata, spessa e non sagomata, cui di solito si dà nome di abax o di abaco, benché secondo Vitruvio tale nome sia da adoperare solo per la lastra sagomata dei capitelli corinzio e ionico. Come il fusto della colonna dorica, in origine anche il capitello sarà stato di legno; questo sembra provato da una copertura fatta a foglie di bronzo, trovata ad Olimpia, che si deve immaginare come un espediente inchiodato all'echino per trattenere le gocce, con il quale si impediva all'acqua piovana di danneggiare il fusto ligneo della colonna. Trasformato in pietra, il capitello di Xenvares di Corcira mostra ancora questa coroncina di foglie sotto l'echino. Si deve pensare che i capitelli dorici furono costruiti in pietra prima dei fusti. In tal modo si spiegherebbe perché su certe raffigurazioni di edifici in vasi arcaici i fusti delle colonne sono neri e invece i capitelli bianchi. Nel capitello dorico normale le scanalature del fusto corrono verso l'echino prima con una curvatura marcata, poi più leggera. Alcuni templi siciliani presentano all'attacco del capitello una profonda incavatura tondeggiante, ad esempio i templi C, D, F e G di Selinunte. Dove un tempo stava la ricopertura di foglie, il capitello dorico di tipo canonico ha di regola tre anelli che formano come il profilo di una sega, gli anuli. Anteriormente, in età arcaica, c'era una fitta successione di fasce piatte. È questo il luogo dell'echino in cui nell'Enneastilo e nel tempio di Atena a Paestum, al di sopra di una incavatura, che qui ricorre come a Selinunte, si trova una fascia a rilievo di motivi a foglie e fiori. Ci sono inoltre ornamenti di ogni tipo nei capitelli dorici anche della madrepatria dei quali non si fa menzione in particolare in questo compendio.
Il profilo dell'echino muta profondamente nel corso della storia. Mentre all'inizio sporge assai largo e rigonfio oltre il collo della colonna, più tardi diventa assai teso e alla fine è diretto con ripida inclinazione verso l'abaco. Nel tempio di Zeus a Olimpia si trova la soluzione classica, una parte mediana dell'echino in organica ascesa e una marcata curvatura sotto l'abaco simile alla rotondità di una spalla tesa. In età molto arcaica l'echino nella sua metà superiore riprende la verticale dell'abaco e le due parti componenti del capitello sono disgiunte da un intaglio netto. Anche il rapporto d'altezza tra echino e abaco muta col tempo: all'inizio un abaco generalmente più robusto e più alto grava su un echino di altezza minore; nella soluzione classica del tempio di Zeus a Olimpia l'abaco e l'echino al di sopra degli anelli sono di altezza più o meno pari.
Al di sopra delle colonne segue la trabeazione composta di epistilio, triglifo e gèison. L'epistilio, detto anche architrave, unisce le singole colonne in senso orizzontale e nelle originarie costruzioni lignee costituiva il piano per la copertura dell'edificio. Nelle costruzioni di pietra ogni blocco dell'epistilio corre da un asse di colonna al seguente; la sua lunghezza corrisponde dunque all'ampiezza dell'interasse. Negli edifici piccoli è di una fila, normalmente di due file, e in alcuni edifici grandi, come il Partenone persino di tre file. A seconda dell'altezza è in generale a un solo strato. La parte anteriore dell'architrave, che è liscia, ha come terminazione superiore una lista continua, la tainìa; a questa sono attaccate le regulae a intervalli uguali, corrispondenti agli assi delle colonne e alla parte mediana degli archi, e alle regulae sono attaccate le gocce, dette guttae. Ci sono tuttavia anche regulae senza gocce, come ad esempio nella antica thòlos di Delfi. Grandezza, forma, e distribuzione delle gocce hanno la loro storia. All'inizio le gocce sono esili e distribuite largamente. Quindi fino al tempio di Zeus a Olimpia diventano sempre più robuste, costruite come un tronco di cono, e in proporzione collocate fittamente; alla fine, in epoca tarda si sono ridotte ad un'inespressiva piastrella schiacciata, simile a una pasticca. Nei templi dorici classici sono regolamentari sei guttae ogni regula; in età arcaica invece compaiono occasionalmente anche quattro o cinque guttae. La tainìa, che per lo più è liscia, può essere eccezionalmente sagomata, ad esempio con un segmento incassato tra due liste semplici nel thesauròs IV di Olimpia e nel tempio C di Selinunte. In questo stesso tempio, ma anche in alcuni altri edifici in materiale più deteriorabile del marmo, ad esempio nell'Enneastilo e nel tempio di Atena a Paestum, accade che l'epistilio sia costruito in materiale diverso e più resistente del calcare consueto. Nel tempio di Atena a Paestum inoltre l'epistilio è notevole perché invece della solita tainìa con regula e guttae, mostra come lista un kymàtion a foglie lesbico, delimitato da un fregio a perle. Il fregio, che segue al di sopra dell'epistilio, nel tempio dorico è il cosiddetto triglifo, composto da metope e triglifi. Nei templi marmorei dorici già sviluppati il triglifo è un elemento decorativo senza funzioni costruttive proprie. Nel ligneo edificio originario al posto dei triglifi si trovavano le traverse che erano necessarie per la copertura dell'edificio. Come ha dedotto A. von Gerkan, e come si può anche oggi osservare nelle case di legno delle Alpi, le estremità anteriori delle traverse, che erano specialmente esposte alle intemperie, erano riparate da tavolette inchiodate. Da questo espediente tecnico si svilupparono gli artistici triglifi i quali prendono il nome da due intagli pieni più due mezzi intagli. Al di sopra degli intagli, i cui spigoli in alto si uniscono, corre una larga lista. Il modo in cui i glifi terminano nella parte superiore, muta col tempo. All'inizio la terminazione è a sesto tondo o occasionalmente a sesto acuto. Nella foggia canonica i glifi si concludono in alto orizzontalmente con angoli arrotondati; nei triglifi d'angolo del tempio C di Selinunte si può tuttora constatare che i glifi erano cinti da una fascia sporgente liscia e non molto larga; tra essi compaiono segmenti incavati in luogo della liscia superficie dei triglifi. Occasionalmente si incontra alla lista dei triglifi un ornamento a rilievo, una fila di cerchietti nello Heraion di Selinunte e un fregio a perle nel Partenone, fungente da delimitazione superiore.
Considerando le originarie costruzioni lignee, le metope valgono come assi di chiusura tra le estremità delle travi, che si svilupparono in triglifi. Attraverso tale origine appare chiaro che metope e triglifi in principio sono fabbricati separatamente; solo in epoca avanzata sono lavorati a due a due (Metroon di Olimpia), se non a più (tempio di Nemesi a Ramnunte: separati due metope e due triglifi) da un solo blocco. Nel tempio C di Selinunte i blocchi di metope e triglifi sono accostati l'uno all'altro senza speciale dispositivo, mentre è usuale che la metopa relativamente schiacciata si agganci in un incastro laterale del triglifo. Il contrario è ovviamente una rara eccezione, ma si incontra nel tempio di Atena a Paestum, ove triglifi di arenaria, pietra di qualità migliore, sono incastrati come lastre sottili tra le metope di rozzo calcare. Altrimenti metope e triglifi possono talora essere fatti di materiale differente. Nel secondo tempio di Apollo a Thermos pare che i triglifi fossero ancora di legno e in un edificio arcaico nell'agorà di Elide, di argilla. Per quanto concerne le metope, si deve valutare che esse all'origine erano parimenti di legno. Si conoscono a sufficienza metope, risalenti alla prima età arcaica, di terracotta con pittura figurativa (Elide, Thermos, Kalydon, Gonnoi e Homollion in Tessaglia). L'antico tempio di Atena sull'acropoli di Atene aveva tra i triglifi di pòros metope di marmo; queste mostrano esattamente sotto il vigoroso orlo in bassorilievo un kymàtion dorico; in modo un po' diverso un robusto köma chiude in alto le piccole metope di Selinunte. Come parte dell'edificio, cui non appartiene alcuna funzione portante, le metope possono essere adornate con rilievi. Il tempio di Zeus a Olimpia all'esterno lascia le metope senza rilievo come pura struttura architettonica, e solo le metope sopra il pronao e l'opistodomo, sei per parte, avevano rilievi con le dodici fatiche di Ercole. Metope con rilievi esclusivamente sul pronao e sull'opistodomo si trovano inoltre nel tempio di Apollo Epikoùrios a Bassae, nel tempio di Atena Aléa a Tegea, e nello Heraion di Selinunte, probabilmente sul peristilio di Olimpia. Il Partenone aveva tutto in giro sull'atrio esterno metope con rilievi per un totale di 92. La ripartizione di triglifi e metope è tale che su ogni colonna e in mezzo su ogni intercolumnio, corrispondentemente alla distribuzione delle regulae, si trovi un triglifo, cioè su ogni interasse capitino due triglifi, o parlando più esattamente un triglifo intero e due metà. I Propilei dell'acropoli di Atene hanno tuttavia sull'intercolumnio mediano tre triglifi in rapporto alla maggiore ampiezza del loro passaggio mediano. Il cosiddetto sistema a tre triglifi non è raro nell'architettura ellenistica (templi di Atena, di Hera, di Zeus a Pergamo; tempio della Meter sull'Aspordenon); a Delfi già lo possiede il thesauròs di Cirene sull'arco mediano. Riguardo alla larghezza all'inizio non c'è tra metope e triglifi nessun rapporto chiaro. Nei primi edifici sono entrambi poco differenti; anche le metope sono all'inizio rettangolari con il lato maggiore verticale, poi, allargandosi progressivamente, si avvicinano alla forma del quadrato, mentre i rettangoli dei triglifi diventano sempre più schiacciati. La regola del tempio dorico, come si presenta nel tempio di Zeus a Olimpia, è che il rapporto sia di 2 : 3. L'epistilio è normalmente più alto del triglifo; nel Partenone si dà il caso insolito che entrambi i membri siano di pari altezza, e nel tempio di Apollo Epikoùrios a Bassae l'epistilio è 1/16 di piede più basso del triglifo. Oltre il triglifo sporge marcatamente il seguente membro architettonico, il géison, come riparo per la travatura e le colonne contro la pioggia. Nell'edificio di pietra il géison è l'ultimo membro in senso orizzontale che conclude in un giro ininterrotto l'esterno dell'edificio; manca eccezionalmente nei lati corti dello Heraion della Foce del Sele a Paestum, e del tempio di Atena sempre a Paestum. La lastra del géison ha nel lato inferiore visibile delle lastre con gocce, mutuli, che sono disgiunte l'una dall'altra da spazi più o meno sottili, viae. In alcuni edifici particolarmente antichi, come il terzo Heraion di Olimpia e l'edificio absidato di Delfi, mancano i mutuli. Nei templi canonici sono tutti ugualmente larghi, e ogni mutulus presenta tre file con sei gocce ciascuna; con ciò si stabilisce una corrispondenza con la regula dell'epistilio. Dei mutuli uno è situato sempre sul triglifo e l'altro sulla metopa. Il canone si è costituito in età arcaica dapprima lentamente. In un primo momento cambiano le larghezze dei mutuli. Di frequente si alternano con regolarità mutuli più larghi e più stretti, in modo che il mutulus più largo viene a trovarsi sul triglifo e il più stretto sulla metopa; così nell'antico tempio di Atena sull'acropoli di Atene, nel quale i mutuli più larghi hanno sei gocce e i più stretti quattro, e anzi ogni volta in due anziché in tre file; nel tempio di Aphaia ad Egina sono due file di quattro o tre gocce ognuna; il tempio C di Selinunte mostra il rapporto di sei gocce e tre gocce su tre file; nel tempio A dell'acropoli di Atene antecedente alla distruzione persiana il rapporto è cinque a quattro. Ma ci sono anche altre varietà. La grondaia obliqua forma per lo più un angolo acuto con la lista perpendicolare del piano del gèison; in alcuni edifici più tardi, tra i quali innanzitutto sono i Propilei dell'acropoli di Atene, è inserita in questo posto una lista sagomata; il classico edificio del tempio nell'Heraion di Argo segue subito il modello dei Propilei; più volte si trova questo accessorio ornamentale negli edifici della tarda età classica del IV sec. come la thòlos e il tempio occidentale di Atena a Marmarià di Delfi, il tempio di Asklepios e il tempio di Artemide ad Epidauro. Durante l'età arcaica, la possente facciata del gèison è tagliata nell'attacco inferiore ad angolo retto o talvolta obliquamente nell'età classica, a forma di gola; ne risulta una zona d'ombra che giustamente è chiamata skotìa.
La fronte del gèison ha in alto spesso una lista sagomata che aggetta marcatamente, un kymàtion. I singoli blocchi di cui si compone il gèison, in età classica comprendono ognuno un mutulus e una via; mentre nel tempio di Segesta il punto di incontro capita a mezzo dei mutuli, nel Partenone i mutuli sono presi come un tutto unico su un blocco. Poiché all'intercolumnio toccano due metope e due triglifi, di regola vengono quattro blocchi di gèison su ognuno, e tale è il caso del Partenone. Come si è detto, epistilio, triglifo e gèison orizzontale nell'insieme sono considerati trabeazione. Il rapporto dell'altezza della trabeazione con l'altezza delle colonne nel tempio di Zeus a Olimpia è 2 : 5. Negli edifici classici, come il Partenone, è di circa 1 : 3; nella Magna Grecia i rapporti sono più marcati, prevalentemente 3 : 7 circa; solo il tempio a Segesta e il tempio di Eracle ad Agrigento mostrano il medesimo rapporto di Olimpia, cioè 2 : 5. In entrambi i lati corti del tempio periptero, dagli angoli del gèison orizzontale si innalza verso il centro il gèison obliquo e circonda in tal modo il frontone a triangolo ottusangolo: nell'insieme il frontone si chiama aetòs o anche aètoma; con la parola tömpanon si intende esclusivamente la parete compresa tra il gèison orizzontale e entrambi i lati di quello verticale, poiché questo nome è lo stesso che si dà al timpano, strumento a percussione nel quale si tende una pelle in piano in una solida cornice di legno. La congiunzione del gèison orizzontale con quello verticale in principio presentò all'architetto qualche difficoltà, sì che si sperimentarono diverse possibilità. O agli angoli i gèisa verticali restano un po' indietro al gèison orizzontale, come nel Laphrion a Kalydon e nel tempio C di Selinunte, e si parla allora di timpano a gomito, o i gèisa verticali incrociano quello orizzontale, il che doveva corrispondere alla originaria costruzione in legno del tetto. Oppure infine i gèisa verticali si collocano sopra quello orizzontale (talora si legge: il gèison orizzontale interseca i gèisa verticali) e questa è la soluzione classica, che è regola nei templi di marmo. In alcuni templi antichi di calcare, soprattutto siciliani, nei quali i gèisa orizzontali e obliqui sono ricoperti di cassette di terracotta resistenti alle intemperie, si può ben osservare la soluzione con il gèison obliquo continuo (Gela, Athenaion, frontone A; Siracusa, Athenaion, Aedicula vi). In età classica i blocchi dei gèisa obliqui sono regolati circa come i blocchi del gèison orizzontale e, a differenza di questo, non hanno mutuli. Il gèison obliquo del tempio di Atena a Paestum, costituisce un'eccezione che si spiega col fatto che qui manca il gèison orizzontale, e pertanto i gèisa obliqui mostrano una fila di cassette. Al contrario il più recente Heraion della Foce del Sele, al quale anche manca il gèison orizzontale, rinuncia a tali cassette nel gèison obliquo, ma ha perciò una più marcata sagomatura. Sul modo di riempire l'area della facciata con ornamenti, come accade in importanti edifici, qui è da ricordare soltanto che oltre a figure plastiche isolate e al rilievo in marmo, pòros o terracotta, in età arcaica si incontra anche pittura, come ad esempio a Kalydon e sull'acropoli di Atene.
Il vero e proprio tetto si presenta nello spaccato del peristilio, alla sima. La sima obliqua al di sopra della facciata impedisce, con la sua guancia chiusa ascendente come tegola ripiegata in alto (tale è il significato della parola sima), che l'acqua scorra giù sulla facciata. La sima orizzontale o sima di grondaia può raccogliere e regolare lo scolo dell'acqua piovana. Ci sono tuttavia edifici arcaici e anche classici, al cui lato della grondaia l'acqua piovana scorre giù senza ostacoli e non regolata. In tal caso la sima si compone solo della superficie laterale della tegola o del mattone, il keramèdes. Tuttavia per le necessità della costruzione del tetto all'acqua piovana è indicata una via: dove i mattoni confinanti combaciano uno all'altro, la loro connessura deve essere protetta contro le infiltrature di acqua con tegole di copertura. Queste tegole, dette anche mattoni cavi o kalyptéres, portano sulla facciata, cioè direttamente sopra lo spigolo della grondaia, l'antefissa o mattone frontale. Nei tetti molto arcaici dell'Acropoli, fatti di argilla, la forma del mattone è derivata dalla figura della tegola; è pentagonale, cioè si attiene alla forma costruttiva della tegola. Dapprima cominciano a ergersi sul pentagono originario costruzioni ornamentali, rassomiglianti ad acroten mediani e d'angolo, poi ben presto si sviluppa una palmetta che sporge oltre il pentagono. Questa forma molto diffusa sui tetti d'argilla dell'Acropoli, ricompare nel tetto marmoreo del Partenone molto simile; tuttavia le belle antefisse ornate di palmette qui non hanno alcun rapporto con il kalyptèr, dunque sono solo un espediente decorativo schermato davanti. Questo espediente decorativo si trova anche alle tegole della sommità, quelle tegole che sulla linea dello spigolo riparano dall'acqua piovana l'incontro dei mattoni e delle tegole contigue. In epoca arcaica compaiono come antefisse anche costruzioni figurative, ad esempio immagini di Gorgone a Thasos, maschere di satiri e menadi a Thermos, busti femminili a Kalydon. Nelle terrecotte dei tetti in Campania compaiono con particolare abbondanza maschere di Gorgone. Ciò che non è possibile con mattoni e tegole, riesce alla grondaia continua come orlo ripiegato in alto per raccogliere l'acqua piovana e lasciarla scorrere verso luoghi previsti lungo i gocciolatoi. Negli antichi tetti d'argilla e anche nei primi tetti marmorei (acropoli di Atene: antico tempio d'Atena) i gocciolatoi sono fatti di tubi sagomati. Nei tetti di argilla più tardi e soprattutto nei tetti marmorei d'età classica maschere di leoni fungono da gocciolatoi; in entrambi i templi di Artemide a Kalydon e a Epidauro teste di cane rimpiazzano le maschere di leone. Tra i gocciolatoi, in età arcaica le sime, soprattutto quelle di argilla, erano ornate con pittura; tra gli ornamenti il più frequente è la fascia a palmette e loto alternati, l'anthèmion. Agli esempî più antichi di sime ornate a rilievo appartengono le sime marmoree del tempio di Apollo a Bassae e del tempio degli Ateniesi a Delo; come si è detto l'ornamento è composto di palmette e loti. Nelle sime marmoree del IV sec. a. C. il rilievo è più marcato e l'ornamento più ricco; un rigoglioso lavoro vegetale a viticci qui si presenta al posto dell'anthèmion chiaramente articolato. In queste sime a grondaia continue ritornano spesso le medesime antefisse che erano necessarie nelle tegole della grondaia; servono anche ora alla copertura dei punti d'incontro, ma si innalzano assai oltre l'orlo superiore della sima, mentre i kalypteres devono essere allungati e rialzati per coprire fino in alto anche i punti di incontro della sima. Un'insolita forma di sima a grondaia mostra il tempio C di Selinunte; qui mancano i gocciolatoi e, per lo scolo, al loro posto, la sima è interrotta a intervalli regolari, corrispondenti ai posti vuoti nel disegno dell'anthèmion. Questa strana configurazione è stata chiamata sima ad anthèmion. Quanto alle particolarità degli antichi tetti d'argilla è ancora da rammentare che talora, come ad esempio nel tesoro dei Gebi a Olimpia alla base del frontone triangolare, sopra il gèison orizzontale la sima corre continua senza alcun motivo. Nel thesauròs dei Gebi i gèisa sono riparati da cassette d'argilla per difendere dalle intemperie il calcare poroso di cui sono fatti. Dal secondo venticinquennio del VI sec. a. C. i tetti di marmo si diffondono sempre maggiormente, senza tuttavia soppiantare del tutto i tetti d'argilla. Alla sommità un acroterio mediano e due acroterî laterali coronano la facciata. Nel tetto laconico in cui le stesse tegole semicircolari sono disposte alternativamente concave e convesse, questa forma tipica è costruita come un acroterio a disco sul mezzo della facciata. L'acroterio a disco lascia chiaramente comprendere che l'acroterio mediano è in sostanza un'antefissa della tegola dello spigolo del tetto, o per lo meno deriva da lì. Tali acroteri a disco si trovano soprattutto nel Peloponneso (Sparta, Olimpia, Bassae) e, sporadicamente, anche una volta nella lontana isola di Samo. Già in epoca arcaica compaiono nel territorio di diffusione del tetto corinzio oltre alle ornamentali antefisse del comignolo, acroteri mediani figurativi e occasionalmente anche acroteri d'angolo figurativi, per esempio Nìkai, sfingi, Gorgoni, leoni o cavalieri. In epoca classica guadagnano in diffusione gruppi scenici; si ricordino come esempî i gruppi di terracotta del ratto di Ganimede di Olimpia o entrambi i gruppi marmorei di Borea e Orizia, e di Eos con Cefalo del tempio di Apollo degli Ateniesi a Delo; quattro Nìkai costituiscono qui gli acroteri di angolo. Come specialità di ornamenti figurativi del tetto si ricordino gli acroteri sulla tegola del culmine del tetto nel tempio di Apollo a Veio, figure di argilla isolate, a grandezza naturale, in raggruppamenti scenici. Il classico Partenone evita acroterî figurativi; in esso il genere degli acroterî a palmette celebra il maggior trionfo, sia per quanto riguarda l'invenzione che per l'esecuzione in marmo; né è da pensare che con questo massimo rendimento l'acroterio centrale a motivo vegetale pervenga alla fine; lo si incontra ancora in sovrabbondanza barocca nella età ellenistica nel tempio di Artemide Leukophrycène al Meandro, opera di Hermogenes. Ma con questo edificio è entrato in questione già un tempio ionico.
A differenza del peristilio, nelle pareti della cella c'è poco da rilevare riguardo all'ordine architettonico. In corrispondenza dello stilobate, la cella ha in basso un basamento del muro, il cosiddetto toichobàtes. Su di esso si eleva come zoccolo una doppia fila di lastre rettangolari in alto, gli ortostati. Sopra di essi seguono poi le basse pietre squadrate, che in piena età classica si compongono di blocchi della medesima grandezza; nell'Eretteo sono disposte con la massima precisione in alternanza e concordanza di punti d'incontro.
3. - Ionico. Prima di trattare delle piante dei diversi o. architettonici, è opportuno fare un confronto tra la sezione verticale dell'ordine ionico e quella dell'ordine dorico. Pare che già rispetto alla krepìs le norme differiscano notevolmente: A. v. Gerkan ha notato "che appena nel IV sec. è stata introdotta la krepìs nei templi ionici ad imitazione dei modelli dorici"; i templi più antichi, come i primi templi dell'Heraion di Samo, si limitano alla "costruzione di una piattaforma non ben delimitata, dell'altezza di un gradino". A differenza della colonna dorica quella ionica è separata dallo stilobate da una base. In epoca classica le basi ioniche si differenziano in due tipi: il tipo attico e quello dell'Asia Minore. La base attica è composta da un rigonfiamento inferiore (tòros) ed uno superiore tra i quali si inserisce una profonda scanalatura (skotìa o tròchilos). La base dell'Asia Minore invece è composta principalmente da due elementi: sotto ha una fitta serie di scanalature orizzontali, almeno due stretti tròchibi, e sopra un tòros massiccio a scanalature orizzontali. L'òikos dei Nassi a Delo presenta la forma semplice originaria del tipo dell'Asia Minore: in basso un tròchilos leggermente rientrante, quasi cilindrico, sormontato da un tòros liscio molto arcuato. Gli esempî arcaici più importanti di questo tipo sono le basi del tempio di Rhoikos a Samo; scanalature orizzontali in numerose varianti si inseriscono qui con un delicato rilievo nel profilo d'insieme del tòros e del tròchilos. Dal IV sec. a. C. in poi si diffonde l'usanza di accentuare il contrasto fra gli aggetti e le rientranze delle basi del tipo dell'Asia Minore. Normalmente anche nelle basi ioniche di tipo attico soltanto il tòros inferiore è liscio, mentre quello superiore presenta scanalature per lo più orizzontali (Propilei e tempio di Atena Nike sull'acropoli di Atene). Le basi del portico settentrionale dell'Eretteo hanno, invece delle scanalature orizzontali, delle fasce intrecciate a più riprese in due varianti. Questo tipo di fascia a treccia appare per la prima volta su una base ionica arcaica di Chio (Weickert, 127). Nel periodo post-classico la base ionica poggia per lo più su un plinto quadrato. Fra le varianti della base ionica va citata infine la base a forma di campana del Portico degli Ateniesi a Delfi (la vera e propria cyma recta).
Normalmente il fusto della colonna ionica ha più scanalature di quello della colonna dorica; la norma classica è di ventiquattro. Nella colonna ionica le singole scanalature non sono unite una all'altra, ma sono divise da un sottile listello. Non così all'inizio: la colonna protoarcaica dei Nassi a Delfi e la costruzione di Rhoikos dell'Heraion di Samo presentano ancora scanalature unite una all'altra; a Samo le colonne interne della costruzione tardo-policratea hanno per la prima volta listelli invece di nervature. La sezione delle scanalature classiche ioniche è pressappoco a semicerchio mentre quelle doriche constano normalmente solo di un segmento di cerchio. In alto e in basso la scanalatura ionica si chiude con un semicerchio, per l'esattezza con un quarto di sfera.
Il capitello ionico si differenzia notevolmente da quello dorico a causa delle sue volute. Inoltre è anche molto più ricco di dettagli ornamentali. In sostanza però il capitello ionico si compone di elementi simili a quelli del capitello dorico. Il collarino che nella colonna dorica è distinto dal fusto da una sottile fila di anelli, può costituire un forte elemento di stacco nella colonna ionica assumendo la forma di una fascia ornamentale (Eretteo). All'echino dorico corrisponde sul capitello ionico la fascia ad ovuli. Può esserci anche una lastra quadrata di copertura, l'abaco. Predomina però, inserito tra questi elementi, il cuscino a volute laterali. Inizialmente il cuscino e le volute sono rigonfi, convessi; appena più tardi, intorno al 500 a. C., si afferma la tendenza inversa, la scanalatura (canalis). A differenza di quello dorico, i quattro lati del capitello ionico non sono prospetticamente uguali; esso ha invece due lati principali e due secondari. Perciò il capitello ionico per la sua conformazione non si adatta al peristilio; non può dunque essersi sviluppato per questo, ma si addice soltanto al portico in cui la sequenza di colonne inizia e termina con un pilastro, come si vede, per esempio dalla disposizione delle semicolonne sul Sarcofago delle Piangenti di Sidone. Quando il capitello ionico, ad imitazione dei templi dorici, viene usato per il peristilio, allora, per i capitelli d'angolo si viene ad uno sgraziato compromesso: il capitello diagonale, formato con la combinazione di due lati a volute e due lati secondari, cosicché ne risulta una doppia voluta diagonale ed una voluta isolata, piegata ad angolo retto.
Nell'insieme la colonna ionica è più snella di quella dorica; il canone ionico è che la colonna deve essere alta dieci volte il suo diametro inferiore. Inoltre essa si assottiglia gradualmente, cioè non ha éntasis. Una caratteristica delle colonne dell'Asia Minore, non solo in epoca arcaica ma anche in età tardo-classica, è quella di presentare raffigurazioni a rilievo all'estremità inferiore del fusto. Questo tipo di columnae caelatae si trova nei templi arcaici di Efeso e di Didyma e nella nuova costruzione tardo-classica di Efeso come pure nel tempio di Sardi. La colonna ionica può anche essere sostituita per intero da una figura umana, una figura di fanciulla che fa da cariatide. Tre thesauròi tardo-arcaici a Delfi avevano siffatte cariatidi, tra l'altro anche il Tesoro degli Cnidi e quello dei Sifni; in epoca medio-classica, la loggetta delle Cariatidi dell'Eretteo e in epoca tarda i Propilei interni di Eleusi. L'Olympieion di Akragas si serve di un motivo architettonico affine, telamoni ad alto rilievo appoggiati alla parete tra la fila delle semicolonne doriche; "qui al contrario delle cariatidi greco-ioniche il reggere è inteso in senso costrittivo e non già volontario" (H. Drerup).
La trabeazione ionica è composta di tre elementi come quella dorica; non dappertutto è però evidente la struttura originaria: la posizione delle travi trasversali sopra l'epistilio che nel tempio dorico è indicata ancora dai triglifi, appare nella trabeazione ionica nella forma ridotta dei dentelli. Nella struttura originaria la trabeazione ionica a tre elementi consta di epistilio, dentelli e gèison; è quanto si vede dalla classica costruzione in marmo del tempio di Atena a Priene. Nelle costruzioni ioniche sull'acropoli di Atene, nel tempio di Atena Nike e nell'Eretteo, ad imitazione di quanto avviene per l'ordine dorico, scompare il dentello che viene sostituito, in analogia al fregio di metope e triglifi, con un fregio, uno zoophòros, ornato di preferenza con un rilievo figurato; più tardi ciò diverrà regola generale. Il tempio di Artetnide Leukophryène a Magnesia costruito da Hermogenes, eccedendo nel barocco ellenistico, combina elementi architettonici di ogni genere ed ha perciò una trabeazione composta da epistilio, fregio a rilievo, dentelli e gèison. Nel tempio ionico l'epistilio nella sua forma classica non è liscio come quello dorico, ma è diviso in tre gradini, o fasce. Il thesauròs degli Cnidi e quello dei Sifni a Delfi hanno epistili senza fasce. La taenia con regulae e guttae è sostituita da un listello profilato continuo, il kymàtion. Questo kymàtion può essere liscio come nel tempio di Atena Nike o, come kymàtion lesbico, può essere ornato da una fila di perle (astragali) come nell'Eretteo. Il gèison ionico manca del listello a gocce; ha invece spesso listelli ornamentali come, per esempio, sull'Eretteo che ha un kymation lesbico nell'interno del gèison ed una fila d'ovuli in alto sul frontone. Quanto sia importante il ruolo della colonna nel tempio ionico per le proporzioni della pianta di tutto il complesso risulta evidente specialmente dal tempio di Didyma: qui le misure dell'altezza dei singoli elementi sono in rapporto all'altezza delle colonne: altezza complessiva 1 e 1/2; krepìs 1/6, trave portante e trave maestra 1/94, epistilio 1/12, cornicione 1/12, trabeazione 1/6, timpano 1/6.
Esiste una certa affinità tra il capitello ionico e quello eolico nell'impiego delle volute, con la differenza essenziale comunque che nel capitello eolico le volute si sviluppano da aggetti verticali mentre nel capitello ionico esse si avvolgono pendendo da un cuscino orizzontale. Anche se, stando all'apparenza, il capitello eolico sembra essere più antico di quello ionico (ma ciò non è documentato), bisognerà respingere la vecchia ipotesi che il capitello ionico si sia sviluppato da quello eolico. I due tipi a volute hanno origine diversa: "quello eolico è un imprestito straniero, quello ionico è una creazione greca" (Weickert).
4. - Corinzio. Non è il caso di parlare di un "ordine corinzio", poiché la caratteristica corinzia sta principalmente nel capitello, che si aggiunge al patrinionio formale artistico dell'ordine ionico. Veramente la costruzione tardo-classica dove appare per la prima volta il capitello corinzio nella sua forma classica, la thòlos di Epidauro, è un miscuglio di stili. Mentre all'esterno il monumento è arricchito eccessivamente da ornati dorici, per il colonnato interno sono stati usati capitelli corinzi. Il capitello corinzio fa il suo ingresso dapprima nelle strutture architettoniche interne, a cominciare dalla fine del V sec. a. C., con il tempio di Apollo a Bassae, il cui capitello per la storia dei capitelli corinzi "va considerato la creazione artistica decisiva" (Riemann). Come elemento architettonico esterno il capitello corinzio si trova in età greca sul monumento di Lisicrate e nell'Olympieion di Atene. Solo in epoca romana il capitello corinzio si afferma vittoriosamente; allora entrambi i due ordini greci, quello dorico e quello ionico, passano decisamente in seconda linea. Il capitello corinzio consta di un nucleo massiccio a forma di canestro, il kàlathos, attorno al quale sorgono elementi vegetali, in prevalenza l'acanto, precisamente due file di otto foglie ciascuna, delle quali quelle superiori si inseriscono negli interstizi lasciati da quelle inferiori. Tra le foglie d'acanto superiori sporgono coppie di steli (caules); ad Epidauro esse spuntano ancora liberamente, più tardi vengon fuori da involucri (caulicoli); le loro estremità piegate in volute (helikes) si incontrano a due a due lungo gli assi e le diagonali del capitello. Lungo gli assi si erge verso l'abaco uno stelo che regge un fiore, il fiore d'abaco.
5. - Composito. Nell'architettura romana dell'epoca imperiale dal capitello ionico e da quello corinzio si sviluppò un tipo misto, il capitello composito; esso compare per la prima volta sull'Arco di Tito. A causa della sua sontuosità barocca fu particolarmente preferito dagli architetti che costruivano per incarico di Domiziano e di Settimio Severo. Mentre gli artisti del periodo augusteo come pure quelli dell'età traianea e adrianea, attenendosi agli intendimenti dei loro committenti, hanno tendenze puramente classiche, durante il periodo dei Flavi e di Settimio Severo si manifestano chiaramente gli elementi di un sistema costruttivo caratteristico del periodo imperiale. Per quanto riguarda la sezione verticale, il più importante allontanamento dall'ordine classico è rappresentato dalla rinuncia alla krepìs accessibile da ogni lato. Il tempio si erge al di sopra dell'area profana circostante per mezzo di un podio, lo stereobate, ed un'imponente scalinata ne consente l'accesso da un solo lato. Nel periodo imperiale si trovano basi ioniche sia del tipo attico che del tipo dell'Asia Minore. Ornati d'ogni genere specie del tipo vegetale arricchiscono ora le basi attiche al punto da renderne talora completamente irriconoscibile la forma originaria. Anche i fusti scanalati delle colonne sono soggetti a questo arricchimento barocco, in alcuni monumenti domizianei le scanalature vengono incorniciate da un listello rotondo. Sopra e sotto, fra gli spazi questi listelli rotondeggianti spuntano elementi a forma di punte di lancia. Sulla parte inferiore dell'architrave, tra un fiore d'abaco e l'altro si estendono delle zone più o meno grandi, i cassettoni; vaghe tracce della loro origine sono perseguibili fin nell'architettura greca del IV sec. a. C. L'architrave conserva le fasce dentellate dell'epistilio ionico; ma fin dal primo barocco del periodo flavio queste fasce si arricchiscono di listelli ornamentali che dal basso verso l'alto diventano sempre più larghi e complicati (Foro di Nerva). Il fregio può essere costituito da un rilievo figurato, spesso è ornato da elementi vegetali semplici (tempio di Apollo Sosiano) o sontuosi (tempio di Venere Genitrice). L'innovazione apportata al cornicione che unisce ora gèison e sima in un unico blocco, consiste nelle mensole che corrispondono all'incirca ai listelli a gocce del gèison dorico.
6. - Perìstasis. Le caratteristiche dei diversi o. architettonici risaltano specialmente nella struttura della peristasi, ma sono notevoli anche nella pianta. Per quanto riguarda la pianta, la struttura del tempio greco, il naòs (come lo definisce Aristotele), si compone del colonnato (perìstasis) e della cella. Naturalmente nell'antichità esistevano templi che erano completi anche senza colonne (Neandria); anche questi dovranno essere definiti naòi. Da alcuni templi con colonnato, le cui origini risalgono al VII sec. a. C., come il tempio di Apollo a Thermos, l'Heraion di Olimpia, l'Heraion di Samo e in certo modo anche l'antico tempio di Atena sull'acropoli di Atene, si può ancora dedurre che la perìstasis è un'aggiunta più tarda ad una costruzione in muratura originariamente priva di colonne. Sono esempi di antichissimi naòi greci i modellini in terracotta di Argo e Perachora. Ambedue hanno per ovvie ragioni un modesto tettuccio sostenuto da elementi verticali davanti alla porta. Mia base di queste costruzioni proto-greche è la forma del mègaron così come (a prescindere da isolati precedenti a Troia) ci è nota dai palazzi micenei. Le affinità tra i mègara micenei e quelli proto-ellenici diventano evidenti specialmente se si osserva come il mègaron di Tirinto fu adattato a tempio proto-arcaico. L'antico mègaron raggiunge in epoca arcaica la sua espressione più significativa con i thesauròi dei grandi santuari. Le due pareti laterali della costruzione centrale si prolungano in avanti oltre la parete di accesso; terminano a mo' di pilastro con rinforzi di testata, le ante, nelle quali si dovrebbero ravvisare i rivestirnenti in legno delle originarie pareti in mattoni crudi, cosa che si può ancora chiaramente notare dagli intacchi dello zoccolo in pietra dell'Heraion di Olimpia. Nei thesauròi dorici due colonne poste fra le ante reggono la trabeazione; in quelli ionici esse possono essere sostituite, come già è stato detto, da cariatidi. Le ante possono essere assimilate alle colonne disposte fra esse quando siano modellate a mo' di semicolonne o di tre quarti di colonna; è così che si vedono nel Tesoro di Cirene a Delfi (XIII), ma soltanto lateralmente cioè rivolte verso le colonne in antis; nel tempio D di Selinunte; esclusivamente nel pronao del tempio di Eracle ad Akragas e nel tempio di Atena a Paestum (qui in un'ibrida contaminazione degli ordini dorico e ionico). In un thesauròs dorico sulle ante e le colonne, più precisamente sui capitelli molto profilati delle ante e delle colonne, poggia innanzi tutto l'architrave e al di sopra il fregio composto da triglifi e metope; naturalmente sopra ogni anta e ogni colonna è sempre un triglifo, e al centro dello spazio intermedio va posto un altro triglifo. Ora, se le colonne sono equidistanti e se lo spessore dell'anta è uguale alla larghezza del triglifo, allora anche l'interasse, cioè la distanza fra le ante - rispettivamente la distanza assiale tra parete e colonna o la distanza assiale tra una colonna e l'altra - è sempre uguale e rappresenta precisamente un terzo della larghezza assiale dell'edificio. Si potrebbe anche dire che normalmente l'interasse è determinato da un terzo della larghezza assiale dell'edificio. Templi del tipo semplice in antis sono molto rari. Fra i templi in antis con due colonne tra le ante si possono citare l'Heraion di Delo di ordine dorico e il tempio di Apollo Kòrynthos a Petalidion. La fronte della cella di un tempio dorico con peristasi ha esattamente la stessa struttura del lato di accesso di un thesauròs dorico. L'atrio che risulta dal prolungamento delle pareti laterali è il pronao. Un vano corrispondente è antistante al lato posteriore della cella; comunque la sua funzione non è più quella di proteggere la porta d'ingresso: è l'opisthòdomos. Questa simmetrica disposizione dell'opisthòdomos e del pronao trasforma la cella del comune tempio dorico a peristasi in una casa a doppie ante in cui le fronti delle ante, pronao e opistodomo, appartengono inequivocabilmente all'ordine dorico. Una costruzione esclusivamente a doppie ante costituisce di per se stessa una rarità eccezionale; sembra che l'Hekatonpedon ionico di Naxos-Pelati sia stata una di queste. Non solo in Sicilia e nell'Italia meridionale ma anche nella madrepatria, specie nel Peloponneso, vi sono templi senza l'opisthòdomos (Asea, tempio dorico; Delfi, tempio di Atena Prònaia; Epidauro, tempio di Asklepios; Nemea, tempio di Zeus; Orchomenos-Arcadia; forse anche Kalaureia, tempio di Posidone).
Questo tipo di cella è circondato dalla peristasi. La sua funzione originaria è ovvia, proteggere dalle intemperie le pareti di mattoni crudi del semplice naòs. Nelle costruzioni più antiche i portici, gli pterà, avevano un pavimento in mattoni (Olimpia, Heraion; Thermos, tempio di Apollo; Corinto, tempio di Apollo); più tardi vennero lastricati, dapprima senza un sistema preciso, nel periodo classico invece c'è spesso una rigorosa concordanza tra connessure e stillobate.
La tendenza fondamentale dell'ordine dorico è di garantire ampiamente l'autonomia della cella e del peristilio. Nel tempio dorico regolamentare non esiste alcun rapporto tra colonne e pareti, e quello tra gli assi è un rapporto molto approssimativo: il lato esterno delle pareti lunghe della cella si allinea lungo l'asse della seconda colonna del lato corto della peristasi e l'allineamento della fronte della cella coincide all'incirca al centro del secondo intercolumnio del fianco lungo della peristasi. Dopo aver raggiunto con il tempio di Zeus in Olimpia la sua più perfetta espressione architettonica il tempio dorico si va modificando: nell'Hephaisteion di Atene la fronte del pronao viene retrocessa tanto da allinearsi con i bordi della terza colonna del lato lungo del peristilio, mentre la fronte dell'opisthòdomos, come di consueto, si porta ancora fino alla metà del secondo intercolumnio. Nel tempio di Posidone al Sunio anche la fronte dell'opisthòdomos è retrocessa fino a raggiungere l'allineamento con la terza colonna; l'equilibrio originale dei lati è nuovamente ristabilito. Qui dunque gli pterà del tempio a peristasi hanno una profondità notevolmente maggiore sui lati corti che non su quelli lunghi. Alcuni dei più antichi templi dorici della Sicilia hanno, oltre al solito pteròn, anche un caratteristico antipteròn sul lato orientale (Siracusa, Apollonion ed Olympieion; Selinunte, tempio C e F). Nella progettazione della pianta e della sezione verticale del tempio dorico, l'architetto greco tende a stabilire rapporti numerici semplici e chiari. La sua massima aspirazione è quella di disporre una peristasi di proporzioni semplici attorno ad una cella di proporzioni altrettanto semplici in modo tale che la distanza tra i due rettangoli sia sempre la stessa tutt'attorno. H. Riemann nelle sue ricerche, che hanno aperto nuovi orizzonti agli studiosi, ha calcolato tutti i possibili schemi di pianta arcaica raggruppandoli ordinatamente, e conseguentemente le proporzioni più semplici risultano le seguenti: primo: rapporto della cella 1 : 4 (= 20 : 8o unità, circa un piede), circondata da uno pteròn della larghezza costante di 5 unità; ciò significa che alla larghezza della cella e rispettivamente alla sua lunghezza si dovranno aggiungere 10 unità; complessivamente si ottiene una peristasi larga 30 unità e lunga 90 unità, dunque un colonnato rettangolare dal rapporto semplice di i : 3. Non meno semplice è questa seconda possibilità teorica: rettangolo della cella 1 : 3 (= 30 : 90 unità), larghezza costante del pteròn 15 unità, rispettivamente raddoppiate 30 unità, di conseguenza il rettangolo della peristasi sarà 60: 120 unità = 1 : 2. Un progetto di questo genere rappresentava l'ideale dell'architetto dell'Heraion di Olimpia, cioè una cella rettangolare di i : 4 ed una peristasi rettangolare di i : 3 con pterà di larghezza uguale. In realtà però sussiste l'esigenza (forse per ragioni di culto) di uno pteròn più profondo dinanzi al pronao che, per amor di simmetria, richiese uno pteròn più profondo anche sull'opposto lato corto; ciò significa che il progetto di un tempio dorico con peristasi viene attuato praticamente con pterà di differenti dimensioni, cosa che è stata realizzata secondo i canoni nel tempio di Zeus ad Olimpia. Nella madrepatria greca i templi con peristasi hanno degli pterà relativamente stretti, mentre gli pterà molto ampi sono caratteristici di alcuni dei templi più importanti della Magna Grecia. Nel tempio C di Selinunte gli pterà dei lati lunghi sono larghi quasi quanto la lunga e stretta cella. La disposizione della peristasi pone l'architetto di fronte a nuovi problemi. Se, per esempio, il rapporto numerico fra le colonne del lato corto e quelle del lato lungo dovesse corrispondere al rapporto dimensionale della peristasi, allora un colonnato con rapporto, ad esempio, di i : 2 dovrebbe avere 6 : 12 colonne. In questo caso il numero degli interassi sarebbe di 5 per il lato corto e di il per il lato lungo. Se a sua volta, sempre con questo rapporto dimensionale, si prendono per base del peristillo (misurato lungo gli assi) 6o : 120 unità, allora ciascuno dei 5 interassi del lato corto sarebbe di 12 unità e ciascuno degli 11 del lato lungo soltanto di 10-9-11 unità, cioè gli interassi dei lati corti sarebbero più grandi di quelli dei lati lunghi. In effetti nel secondo Heraion di Olimpia sui lati corti gli interassi sono più larghi di quelli dei lati lunghi. Generalmente però gli architetti arcaici si comportano con grande arbitrarietà per quel che riguarda gli interassi, ciò vuol dire che le misure degli interassi sono oscillanti. Nella Magna Grecia può accadere persino che siano più grandi gli interassi dei lati lunghi (Selinunte, tempio D; Paestum, Enneàstylos). Dalla seconda metà del VI sec. a. C. si cominciano a fissare le misure degli interassi anzitutto di quelli laterali (Corinto, tempio di Apollo; Egina, tempio di Aphaia), e da allora si tende a sviluppare un interasse normale tutt'attorno. L'interasse normale può essere dedotto dal terzo della larghezza della cella. Nel canonico tempio di Zeus ad Olimpia l'interasse tipo è strutturalmente uniforme ad eccezione di quelli d'angolo, necessariamente raccorciati. Se nel fregio a metope e triglifi si desidera mantenere una larghezza costante sia per le metope che per i triglifi si raggiungerà questo scopo solo nel caso che l'interasse sia della stessa larghezza del triglifo. Siccome però nelle costruzioni in pietra gli interassi sono notevolmente più larghi dei triglifi, questa differenza andrà compensata. Vitruvio (iv, 3, 5) tentò di superare questa difficoltà mediante una semimetopa posta esternamente accanto al triglifo d'angolo. Un'altra soluzione consiste nel compensare la differenza allargando le metope d'angolo (Paestum, tempio d'Atena). In realtà però nel tempio canonico è l'intercolumnio d'angolo che va ridotto per compensare la differenza, cioè: larghezza dell'interasse meno larghezza del triglifo diviso per due. Questa esigenza tecnica raggiunge anche un effetto estetico, poiché interrompe l'uniforme allineamento degli intercolumni con una variante ritmica che completa l'armonia dell'insieme, come l'ultimo mètron di un esametro. Un esempio di questa contrazione angolare è dato dal tempio di Apollo a Corinto. Nei templi della Magna Grecia che durante il corso del loro sviluppo adottano l'intercolumnio normale esiste talvolta una doppia contrazione angolare (Himera, Segesta, Siracusa, tempio di Atena; Akragas, tempio della Concordia. e Olympieion; Paestum, tempio di Posidone, qui soltanto sui lati lunghi); in questa doppia contrazione angolare la riduzione necessaria va suddivisa fra i due intercolumni angolari a causa della coincidenza dei triglifi. Si può giungere infine ad una disposizione equilibrata spostando leggermente tutti i triglifi rispetto agli assi delle colonne (Paestum, tempio di Atena).
7. - Modulo. Intercolumnio. Per il rapporto fra lo spessore della colonna, inteso come diametro inferiore, e l'intercolumnio nell'ambito della peristasi, Vitruvio enuncia cinque definizioni: all'intercolumnio con diametro inferiore di 11/2 egli dà la denominazione di pyknòstylos, con un diametro inferiore di 2 quella di söstyios, con diametro inferiore 21/4 èustylos, con diametro inferiore 3 diàstylos, ed infine con più di 3 diametro inferiore quella di areòstylos. Per l'architettura templare greca questa classificazione non ha importanza, poiché secondo le definizioni di Vitruvio tutti i templi arcaici e classici sarebbero pyknòstyloi; neanche con le proporzioni ampie e chiare dei templi tardo-classici di Nemea e Tegea l'intercolumnio raggiunge il diametro inferiore 11/2; questo rapporto si trova esattamente nell'Hephaisteion di Atene. Un'importanza maggiore si attribuisce nell'architettura greca al rapporto fra la larghezza dell'interasse e l'altezza della colonna. Nel tempio canonico di Zeus ad Olimpia questo rapporto ha il semplice valore numerico di I: 2; lo stesso rapporto esiste nel tempio di Aphaia in Egina, ed il tempio F di Selinunte raggiunge un valore approssimativamente uguale.
8. - Piante. Per quel che riguarda le piante dei templi ionici le leggi che le regolano sono ben diverse da quelle dell'ordine dorico. Contrariamente a quest'ultimo, nell'ordine ionico è usuale il collegamento assiale tra anta e colonna, ed è effettivamente costruttivo. Esso rende possibile collegare saldamente il rettangolo della cella con il rettangolo della peristasi in maniera del tutto diversa dall'ordine dorico. Sebbene le piante di ambedue gli ordini vadano considerate in forma semplicissima con linee per le pareti e punti per le colonne, la caratteristica del sistema ionico sta nel fatto che nell'esecuzione del progetto le linee rappresentano la parte mediana delle pareti ed i punti gli assi delle colonne mentre per l'ordine dorico lo spessore parietale si calcola partendo esclusivamente dall'interno dell'allineamento. Poiché l'ordine ionico non conosce il triglifo, e conseguentemente non si può verificare un conflitto dei triglifi, è possibile usare sistematicamente tutt'attorno interassi di dimensioni uguali. Grazie a questa incondizionata uniformità degli interassi e grazie al collegamento fra colonne e pareti, l'ordine ionico ebbe l'opportunità di sviluppare un tipo di tempio della massima omogeneità strutturale e di singolare grandiosità prospettica, il dìpteros, i cui esemplari più importanti dell'età arcaica sono sulla costa ionica dell'Asia Minore, l'Artemision di Efeso, il Didymàion presso Mileto e l'Heraion di Samo. È dello stesso tipo l'Olympieion che sarà progettato più tardi ad Atene. È da notare che i due dìpteroi di Efeso e Samo hanno otto colonne sul lato d'accesso ad oriente, mentre ne hanno nove sul lato occidentale retrostante; ne consegue che, a differenza del tempio dorico regolare e perfettamente equilibrato, si determina uno squilibrio sul lato d'accesso. Se ad un tempio che, relativamente ai rapporti fra gli interassi, potrebbe essere un dìpteros manca il colonnato interno, lo si definisce uno pseudodìpteros. Secondo Vitruvio l'inventore dello pseudodìpteros è Hermogenes; ciò non è del tutto esatto perché prima del suo pseudodìpteros il tempio ionico di Artemide Leukophryène a Magnesia, eretto nel 130 a. C. - esisteva già lo pseudodìpteros ionico di Messa a Lesbo degli inizî dell'ellenismo. La citazione di Vitruvio è importante in quanto egli attribuisce la denominazione di pseudodìpteros ad una costruzione di ordine ionico. Anche l'Hekateion di Lagina è uno pseudodìpteros, benché stranamente le colonne della peristasi siano corinzie e quelle del pronao siano ioniche. Veramente il tempio di Artemide a Corcira ed alcuni templi della Magna Grecia hanno gli pterà talmente ampî che vi sarebbe spazio sufficiente per un altro colonnato. Si tratta però di costruzioni doriche nelle quali la cella ed il peristilio sono resi indipendenti l'una dall'altro per mezzo di pterà differenti, sicché non è il caso di parlare di omissione di una fila di colonne e per costruzioni siffatte si dovrebbe evitare, rigorosamente parlando, il termine di pseudodìpteros.
I templi greci più importanti sono costruiti in prevalenza a forma di semplici perìpteroi dorici e di dìpterai o pseudodipteroi ionici. Oltre ai già citati templi in antis esistono anche alcune notevoli costruzioni dalla struttura particolare. Il tempio di Atena-Nike sull'Acropoli rappresenta un amphipròstylos ionico a quattro colonne. Sicuramente su modello di questo gli Ateniesi eressero nel 417 a. C. a Delo un amphizpròstylos dorico, il cosiddetto tempio di Apollo degli Ateniesi. Un epigono del periodo imperiale romano è il tempio di Artemide Propölaia in Eleusi. È una supposizione di H. Riemann che il predecessore proto-arcaico dell'antico tempio di Atena sull'acropoli di Atene fosse un amphipròstylos dorico; non è possibile però documentarlo con certezza. Esistevano anche dei pròstyloi ad un solo lato, ad esempio la costruzione A nel tèmenos di Artemide a Delo; questa costruzione della fine del V sec. a. C. aveva una facciata a dieci colonne di ordine ionico. Pròstyloi dorici sono documentati appena dal periodo tardo-classico in poi: il tempio esastilo di Artemide ad Epidauro, il tempio tetrastilo di Afrodite ad Epidauro ed il tempio esastilo di Despoina a Lykosoura.
Il manòpteros, una costruzione rettangolare o rotonda senza cella e composta esclusivamente da un colonnato, si può definire piuttosto un monumento con colonne che non una costruzione con colonne (Delfi, cosiddetto monòpteros dorico; Samo, ipotetico monòpteros di ordine non identificato; acropoli di Atene, tempio rotondo corinzio di Roma e Augusto). Il monumento corinzio a Lisicrate in Atene, le cui semicolonne sono direttamente appoggiate alla costruzione cilindrica centrale, si potrebbe considerare uno pseudomonòpteros o una pseudothòlos. La thòlos vera e propria è un perìpteros circolare come le due thòloi di Delfi e di Epidauro.
Nell'architettura templare romana esistono molte piante dalla struttura caratteristica che non è possibile classificare fra i tipi greci; si tratta di creazioni singole che veramente non appartengono più ad alcun "ordine architettonico". Il tempio di Marte Ultore nel Foro di Augusto si appoggia ad un massiccio muro di cinta sicché ha i portici soltanto sulla fronte e sui lati lunghi. Il tempio di Portunus nel Foro Boario a Roma si potrebbe definire uno pseudoperìpteros perché lungo tre lati ha delle semicolonne appoggiate alle pareti della cella e soltanto sul lato d'ingresso le colonne formano un pròstylos. Il tempio di Vespasiano e il tempio di Antonino Pio e Faustina hanno un colonnato solo sulla facciata mentre le pareti esterne della cella stessa sono lisce. Il tempio di Veiovis sul Campidoglio ed il tempio della Concordia nel Foro Romano hanno una cella disposta trasversalmente per largo con un portico di quattro colonne sul lato lungo dinanzi all'ingresso.
Accenneremo soltanto brevemente alla pianta della cella. Abbiamo già detto che per il tempio dorico la struttura regolamentare è la costruzione a doppia anta; che eccezionalmente può mancare l'opisthòdomos e che, in tal caso, la cella termina con una parete liscia. La cella del Partenone, per esempio, è un amphipròstylos anziché una costruzione a doppia anta. Il vano principale della cella è normalmente un vano unico diviso per lungo in tre navate da due file di colonne. Queste file attraversano la cella dalla parete d'accesso fino alla parete posteriore oppure si congiungono a ferro di cavallo circondando la statua cultuale (Atene, Partenone ed Hephalsteion). A due navate sono invece, ad esempio, il tempio di Apollo a Thermos, il tempio di Neandria, il tempio di Klopedi a Lesbo e l'Enneàstylos a Paestum. Talvolta nel tempio a tre navate le colonne interne sono collegate alla parete lunga mediante tramezzi (Olimpia, Heraion; Bassae, tempio di Apollo); talvolta le colonne interne sono retrocesse fino alla parete lunga tanto da costituire ormai soltanto degli elementi strutturali integrativi, a forma di semicolonne (Tegea, tempio di Atena Alèa). Normalmente nel tempio dorico anche le colonne interne sono doriche. Le colonne interne del vano posteriore del Partenone sono invece ioniche; qui, come pure nell'atrio interno dei Propilei di Atene, le colonne ioniche, essendo più snelle, permettono di superare di un sol getto le difficoltà inerenti alla notevole altezza del vano ed evitare così la solita divisione a due piani, propria del più massiccio ordine dorico. Nella cella del tempio di Apollo a Bassae si trovano colonne ioniche, ma oltre a queste anche il famoso primo capitello corinzio. Corinzie sono pure le colonne, cioè le semicolonne, della cella del tempio di Zeus a Nemea e del tempio di Atena Alèa a Tegea, come pure le colonne dell'interno della thòlos di Epidauro. Oltre alle celle ad un vano esistono anche celle a più vani (Atene, antico tempio di Atena; Corinto, tempio di Apollo; Atene, Partenone) ed in tal caso alcuni dei vani sono accessibili anche dall'opisthòdomos. Molti templi antichi della Sicilia hanno dietro la cella, ed accessibile solo da questa, un sacrario, l'àdyton (Selinunte, tempio C, D, G); sul continente anche l'Enneàstylos di Paestum ha un àdyton simile. Nei templi con àdyton la parete posteriore della cella era parimenti liscia. Anche quando il sistema costruttivo continentale del tempio dorico con cella a doppia anta si diffonde in Sicilia, accanto all'opisthòdomos si continua a conservare l'àdyton (Selinunte, tempio A, E, O). Talvolta l'àdyton è sostituito da una costruzione aggiunta alla parete posteriore della cella la quale ha la forma di una camera stretta, il naiskos (Selinunte, tempio G; Akragas, tempio di Eracle). Un naìskos completamente a sè stante fa parte del Didymaion di Mileto; in questa colossale costruzione la cella era a cielo aperto, priva di copertura; era cioè ipetrale. Ipetrale era probabilmente anche la quarta costruzione dell'Artemision di Efeso (Weickert, 115).
9. - Appendice: termini tecnici dell'architettura classica. (All'elenco alfabetico dei termini segue il riferimento alla principale fonte antica e alla più recente trattazione moderna. Per questa si è fatto uso delle seguenti abbreviazioni:
Dinsmoor = W. B. Dinsmoor, The Architecture of Ancient Greece, Londra 1950; Ebert = F. Ebert, Fachausdrücke des griechischen Bauhandwerks, I. Der Tempel, Würzburg 1910; A. von Gerkan = Von antiker Architektur und Topographie. Gesammelte Aufsätze von Armin von Gerkan, Herausgegeben von E. Boehringer, Stoccarda 1959; Koldewey und Puchstein = R. Koldewey und O. Puchstein, Die griechischen Tempel in Unteritalien und Sizilien, Berlino 1899; Riemann = H. Riemann, Zum griechischen Peripteraltempel. Seine Planidee und ihre Entwicklung bis zum Ende des 5. Jhdts, Düren 1935; Robertson = D. S. Robertson, A Handbook of Greek a. Roman Architecture, Cambridge 1929; Weickert = C. Weickert, Typen der archaischen Architektur, Augsburg 1929.
TERMINOLOGIA:
abaco = ἄβαξ = abacus: Ebert, p. 26 s.; Vitruv., 3, 5, 5: v. H. Riemann, in Gnomon, 24, 1952, p. 400.
acanto = ἄκανϑος = acanthus: Ebert, p. 52.
acroterio = ἀκρωτήριον = acroterium: Ebert, pp. 33, 35, 44; C. Praschniker, Zur Geschichte des Akroters, Brünn 1929; K. Volkert, Das Akroter, I: Archaische Zeit, Düren 1932. Acroterio-disco: E. D. van Buren, Greek Fictile Revetments in the Archaic Period, Londra 1926, pp. 179-183; E. Buschor, in Ath. Mitt., 72, 1957, p. 1 ss.
adyton = ἄδυτον: Il., V 448-512 =adytum; locus templi secretior, ad quem nulli est aditus nisi sacerdoti (Serv., Aen., II, 115; cfr. Caes., B. c., III, 105); Ebert, p. 3; E. Langlotz, in Antike und Abendland, 2, 1946, p. 129 c., not. 64.
anta = ὀρϑοστάτης = ἀντηρίς = antae; anche forse παραστάς: v. Ebert, p. 18 s., 28; ναὸς ἐν παραστάσι = templum in antis (Vitruv., 3, 2, 1).
antefissa = antefixum: van Buren, loc. cit., p. 128 ss.; καλυπτὴρ ἀνϑεμωτός: I.G., II, 807 b, p. 115 s.; Ebert, p. 43.
anthemion = ἀνϑέμιον: Ebert, pp. 27, 43.
antithema = ἀντίϑημα: Ebert, p. 9; Robertson, p. 380.
anuli: Vitruv., 4, 3, 4.
architrave = ἐπιστύλιον = epistylium: Ebert, pp. 17, 23, 29, 30, 32, 40 s.
astragalo = ἀστράγαλος = astragalus: Ebert, pp. 21, 48, 51; Vitruv., 3, 5, 3.
atlante = ἄτλας, ἄτλαντες; = (τελαμών) = telamones, secondo Vitruv., 6, 7, 6.
base = βάσις = basis; = σπεῖρα = spira: I.G., II, 1054; Vitruv., 3, 5, 1; Ebert, p. 25 s.; cyma recta (specie di base ionica): P. Amandry, La Colonne des Naxiens et le Portique des Athéniens, in Fouilles de Delphes, II, fasc. 6, Parigi 1953, p. 95 ss., tavv. 21-17.
bucranio = Βουκράνιον = bucranium.
càlato = κάλαϑος = calathus.
capitello = ἐπικλάνιον = κιόκρανον = capitulum. - Capitello corinzio: G. Roux, Le chapiteau corinthien de Bassae, in Bull. Corr. Hell., 77, 1953, 124 ss., tav. 31; H. Riemann, in Pauly-Wissowa, Suppl. VIII, 1956, c. 336 ss., s. v. Lysikratesmonument; id., in Festschr. f. F. Zucker, Berlino 1954, p. 326, nota 93. Capitello eolico: K. Schedolf, in Österr. Jahreshefte, XXXI, 1939, p. 42 ss.; H. Drerup, in Mitt. d. Arch. Inst., V, 1952, p. 8 ss.; A. von Gerkan, in Neue Beiträge. Festschr. f. B. Schweitzer, Stoccarda 1954, p. 73 ss.; E. Akurgal, in Anatolia, V, 1960, p. 1 ss.; G. M. Condis, in Annuario Sc. Arch. Atene, n. s., VIII-X, 1946-8, p. 25 ss.; Dinsmoor, p. 58 ss.; H. Drerup, in Gnomon, 28, 1956, p. 510. Capitello ionico: R. Martin, in Bull. Corr. Hell., 68-69, 1944-45, p. 340 ss.; H. Drerup, in Mitt. deutsch. Arch. Inst., V, 1952, p. 11 ss.; H. Riemann, in Festschrift f. F. Zucker, Berlino 1954, pp. 315 ss., 326; H. Drerup, in Jahrbuch, 69, 1954, p. 1 ss.
cariatide = καρυᾶτις = caryaris: Vitruv., 1, 1, 5; Ebert, p. 28.
cassettone: vedi lacunare.
caulicolo = καυλός = cauliculus: Vitruv., 4, 1, 12.
cella = σηκός = cella: Ebert. p. 3 s.; O. Lappo-Danilewski, Untersuchungen über den Innenraum der archaischen griechischen Tempel, Würzburg 1942.
collarino delle colonne = ὑποτραχήλιον = hypotrachelium: Ebert, p. 24.
colonne = κίων, στῦλος = columna: Ebert, p. 23 ss. - Altitudine delle colonne, dorico: H. Riemann, in Studies Presented to D. M. Robinson, I, St. Louis 1951, p. 305 ss. - ionico: A. von Gerkan, p. 207 ss. - columnae caelatae: Th. Wiegand, in Didyma, I: Die Baubeschreibung (H. Knackfuss), Berlino 1941, testo, p. 123; Weickert, p. 160 ss.; D. G. Hogarth, Excavations at Ephesus. The Archaic Artemisia, Londra 1908, p. 293 ss.
contrazione angolare: F. Krauss, Paestum. Die griechischen Tempel, Berlino 1943, pp. 28 s.; 50; fig. 2 e 5.
cornice, cornicione = γεῖσον = geison: Ebert, p. 32 s.
corona = κορώνη = corona: Vitruv., 3, 5, 11.
crepidine = κρηπίς = crepidines: Vitruv., 3, 3, 7; Ebert, p. 8 s.; Riemann, p. 7. - ionico: A. von Gerkan, in Göttinger Gelehrte Anz., 213, 1959, p. 57.
curvatura delle orizzontali: H. Koch, Der griechisch-dorische Tempel, Stoccarda 1951, p. 30 ss.; H. Riemann, in Gnomon, 24, 1952, p. 401; id., p. 43 ss.; Th. Wiegand, Didyma, I, loc. cit., p. 52.
dentelli = -- = denticulus: Vitruv., 3, 5, 11; A. von Gerkan, 379.
diptero = δίπτερος = dipteros: Vitruv., 3, 2, 7; Ebert, p. 6. - pseudodiptero: H. Riemann, in Arch. Anz., 1952, p. 25; Vitruv., 3, 2, 6.
doccioni = ἡγεμόνες λεοντοκέϕαλοι.
dorico: Eurip., Orestes, 1372.
echino = ἐχῖνος = echinus: Ebert, p. 26.
elice = ἕλιξ = helix, minores helices (voluta): Vitruv., 4, 1, 12; Ebert, p. 27.
embrice = καλυπτήρ = imbrex: Ebert, p. 43 s.
emiciclo = ἡμικύκλιον = hemicyclium: Ebert, p. 18.
entasis = ἕντασις = entasis, adjectio: Vitruv., 3, 3, 13; Ebert, p. 24; Riemann, p. 44; id., in Mitt. d. Arch. Inst., 3, 1950, 11 ss.; S. Ferri, Vitruvio, Roma 1960, pp. 117-119.
epikranitis = ἐπικρανῖτις = --: Ebert, p. 17; Robertson, p. 48 e 384.
epistilio = ἐπιστύλιον = epistylium: Ebert, p. 29.
euthynteria = εὐϑυντηρία = --: Ebert, pp. 11 e 14; Riemann, p. 40; K. Lehmann-Hartleben, in Ath. Mitt., 47, 1922, p. 124; E. Kunze, ibid., 51, 1927, p. 125 ss.
fascia = fascia (prima, secunda, summa): Vitruv., 3, 5, 12.
fregio: dorico: τρίγλυϕος: Ebert, p. 29; ionico: ζῳϕόρος: Vitruv., 3, 5, 10: Ebert, p. 31.
frontone = ἀετός, ἀέτωμα, τύμπανον = fastigium: Ebert, p. 33; E. Lapalus, Le fronton sculpté en Grèce des origines à la fin du IVe siècle, Parigi 1947; H. Kähler, in Gnomon, 21, 1949, p. 151 ss.
geison = γεῖσον = --: Ebert, p. 32 s.; Weickert, pp. 87 s.; 95; Riemann, p. 41.
guttae = --: Vitruv., 4, 3, 4.
hypotrachelium = ὑποτραχήλιον: Ebert, p. 24; Vitruv., 3, 5, 12.
intercolumnio = μετακιόνιον, μεταστύλιον = intercolumnium: Ebert, p. 23; Vitruv., 3, 3, 1 ss. - Pyknostylos: H. Riemann, in Festschrift für W.-H. Schuchhardt, Baden-Baden 1960, p. 192, not. 11.
ionico = ᾿Ιωνικός = Ionicus.
interasse delle colonne (diverso da intercolumnio; in tedesco Joch) = -- = intervallum: Vitruv., 3, 3, 6. - intervallo normale: Riemann, p. 8 ss.; id., in Arch. Anz., 1952, p. 26; A. von Gerkan, p. 204.
kalathos: v. calato.
kalypter: v. embrice.
keramis: v. tegola.
krepis: v. crepidine.
kymation = κυμάτιον = cymatium: Ebert, pp. 16; 21; Weickert, Das lesbische Kymation. Ein Beitrag zur Geschichte der antiken Ornamentik, Monaco 1913, A. von Gerkan, p. 378.
megaron = μέγαρον = --: A. von Gerkan, p. 381.
metopa = μετόπη, μετόπιον = metopa: Ebert, p. 29 s.; A. von Gerkan, p. 373 ss., 386 s.; S. Ferri, Vitruvio, Roma 1960., pp. 128-130; I. Cazzaniga, in La Parola del Passato, 1961, p. 447 ss. - semimetopion: Vitruv., 3, 4, 5; H. Riemann, in Arch. Anz., 1952, p. 16 s.; Gnomon, 24, 1952, p. 400.
monolito = μονόλιϑος.
monoptero = μονόπρερος, monopterae columnatae: Vitruv., 4, 8, 1.
mutulo = -- = mutulus: Vitruv., 4, 2, 3.
naos = ναός = σηκός: Aristot., Eth. Nic., X, 4, 2 (1174 a); Ebert, p. 3.
oikos = οἶκος: equivalente a tempio: I. G., 4, 1580; Herod., 8, 143; Euripid., Phoen., 1373; Aristoph., Nu., 600; Plat., Phaedr., 246.
opistodomo = ὀπισϑόδομος = posticum: Ebert, p. 4.
ordine = νόμος = genus: Vitruv., 4 praefatio; -- ratio dorica: Vitruv., 4, 2, 5.
ortostati = ὀρϑοστάτης = orthostata: Erbert, p. 14 s.; Vitruv., 2, 8, 4.
ovuli = ὄνυχες = ovulum: Ebert, p. 51; Weickert, Das lesbische Kymation, loc. cit., p. 40 ss.
periptero = περίπτερος = peripteros: Ebert, p. 6; Vitruv., 3, 2, 5.
peristasis = περίστασις = --: Ebert, p. 5 s. - aggiunto posteriormente: H. Riemann, in Gnomon, 24, 1952, 400.
peristilio = περίστυλον = peristylium: Ebert, p. 5; Vitruv., 6, 7, 1.
plinto = πλίνϑος = plinthus: Ebert, p. 26; Vitruv., 3, 5, 1; 4, 3, 4.
podio = στερεοβάτης, πόδιον = podium, stereobates: Ebert, p. 71; Vitruv., 3, 4, 1; 3, 4, 4.
pronao = πρόναον = pronaus: Ebert, p. 4; Vitruv., 3, 2, 8; 4, 4, 1; A. v. Gerkan, p. 372 s.
prostilo = πρόστυλος = prostylos : Ebert, p. 6; Vitruv., 3, 2, 3.
- ἀμϕιπρόστυλος = amphiprostylos: Ebert, p. 6; Vitruv., 3, 2, 4.
pteron = πτερόν, πτέρωμα = pteroma: Ebert, p. 6; Vitruv., 3, 3, 9; H. Riemann, in Mitt. d. Arch. Inst., 3, 1950, 27; id., p. 19.
rigonfiamento: v. entasis.
scanalature = ῥάβδωσις = stria: Ebert, p. 24; Vitruv., 3, 4, 14.
regula = Vitruv., 4, 3, 4.
scozia = σκοτία = scotia: Vitruv., 3, 5, 2; 4, 3, 6.
sima = σιμή = sima.
stilobate = στυλοβάτης = stylobates: Ebert, p. 9; Vitruv., 3, 4, 2/3; Riemann, p. 40.
tenia = ταινία = taenia: Ebert, pp. 16; 29; Vitruv., 4, 3, 4.
tegola = κέραμος = tegula: Ebert, p. 42 ss.
tempio: v. naos.
tetto = στέγος = τέγος, ὀροϕή = tectum: Ebert, p. 35 s.
timpano = τύμπανον = tympanum: v. frontone.
tholos = ϑόλος = aedes rotunda peripteros: Vitruv., 4, 8, 1-2; E. Fiechter, in Pauly-Wissowa, 2, serie VI, 1936, c. 307 ss.
toichobate: Koldewey-Puchstein, p. 209.
toro = τορός = torus: Vitruv., 3, 5, 2.
trabeazione: v. architrave, fregio e geison: A. von Gerkan, p. 382 ss. (dorica), p. 376 s. (ionica); Weickert, p. 88; Riemann, p. 25.
triglifo = τρίγλυϕος = triglyphus: Ebert, p. 29; Vitruv., 4, 3, 5; A. von Gerkan, p. 386; Riemann, p. 24 s.
trochilos = τροχίλος = trochilus: Ebert, p. 26; Vitruv., 3, 5, 2 (v. scozia).
via = -- = via: Vitruv., 4, 3, 6.
voluta = κριός = voluta: Vitruv., 4, 1, 12 (v. elice).
Bibl.: Per il tempio di Apollo òrynthos a Petalidion (Messenia): Δελτίον, II, 1916, p. 68 ss. Per i tipi di piante di templi greci: H. Riemann, Zum greichischen Peripteraltempel. Seine Planidee und ihre Entwicklung bis zum Ende des 5. Jahrhunderts, Düren 1935. Per l'antico tempio di Atene sull'acropoli: H. Riemann, in Mitt. d. Inst., I, 1950, pp. 16; 34 ss.