BACCI, Orazio
Nato a Castel Fiorentino in Valdelsa il 18 ott. 1864, studiò in Firenze, laureandosi nell'Istituto di studi superiori, alla scuola di A. Bartoli e di A. D'Ancona, il quale lo volle al proprio fianco nella compilazione di quel Manuale della letteratura italiana che, apparso a Firenze nel 1892, ebbe notevole successo (e fu più volte riveduto e ristampato, anche dopo la seconda edizione, in sei volumi, del 1901-1904).
Fino al 1910 - anno in cui fu chiamato a far parte del consiglio provinciale di Firenze, quale rappresentante liberal-costituzionale del mandamento di Castel Fiorentino - il B. condusse una vita povera di eventi esteriori, tutta raccolta nello studio e nell'insegnamento. Aveva sposato la figlia, Romilda, di un illustre letterato e maestro, I. Del Lungo, che certo influì su lui, sia stimolandone l'inclinazione alla rigorosa ricerca storica, sia affinandone il gusto per una prosa coltivata ed elegante. Nativa disposizione alle ricerche storico-erudite, nell'ambito modesto eppur fecondo della cultura regionale e provinciale, era stata del resto dimostrata dal B. nel suo primo lavoro giovanile sul compaesano A. F. Bertini, del quale aveva ristampato l'arguta toscanissima operetta La Giampagolaggine (Prato 1882), e nell'iniziativa con cui, nel 1892, aveva promosso la fondazione, in Castel Fiorentino, della Società storica della Valdelsa (nell'anno successivo la Società iniziava la pubblicazione di un periodico, la Miscellanea storica della Valdelsa, di cui venne affidata al B. la direzione). Non si era trascurato, nei propositi con cui il sodalizio era sorto, l'interesse per la storia del costume e delle tradizioni popolari, che il B. stesso coltivò non senza frutto, pubblicando - talora in "strenne nuziali" numerate, secondo una consuetudine dei letterati del tempo - contributi allo studio del folclore della Valdelsa.
Nel 1896 il B. - che aveva negli anni precedenti dato persuasive prove delle sue doti di studioso e di critico con saggi di vario genere ed argomento (fra cui ricorderemo almeno quelli riguardanti alcune prediche volgari di san Bernardino, la prosa del Cellini e l'Autobiografia del Dupré) - iniziava l'insegnamento universitario nel R. Istituto di studi superiori di Firenze, con un corso libero sulla prosa volgare del Quattrocento, corso di cui pubblicava, poco dopo, la "prelezione". Alla materia di quel corso si richiamano anche i due studi - sul Sacchetti e sui documenti della prosa volgare quattrocentesca - che aprono il volume Saggi letterari (Firenze 1898), nel quale il B. offre una più ricca e complessa immagine della sua preparazione filologico-erudita e dei suoi orientamenti metodologici, sostenendo, fra l'altro, che lo svolgimento della prosa volgare non subisce nel sec. XV fratture sostanziali, ma anzi proprio nel volgare "greggio" quattrocentesco, di cui egli aveva ricercato e studiato varie testimonianze anche in pubblici documenti, è il fondamento primo della prosa d'arte nonché di quella prosa popolare, duttile e fresca, che raggiunse poi, nella Vita del Cellini, risultati mirabili. A questo scrittore, certo fra i suoi prediletti, il B. tornava ai primi del secolo nuovo, preparando della Vita il testo critico con note storiche (Firenze 1901), prima di accingersi al commento scolastico di essa, lavoro affidatogli per la collezione sansoniana dei Classici italiani diretta dal Carducci.
Il particolare interesse con cui aveva approfondito spiriti e forme di prosatori italiani antichi e moderni, e alcuni problemi specifici dello stile, suggerì al B. di raccogliere nel volume Prosa e prosatori (Palermo 1907) una serie di scritti storici e teorici, quale contributo ad una storia della prosa italiana, da Dante a D'Annunzio, storia di cui egli avvertiva ormai matura l'esigenza.
Qui la sua indagine si rivolgeva oltre che, nuovamente, alla prosa volgare del sec. XV, alla prosa di scrittori moderni, come il Giusti, il De Amicis e il D'Annunzio: in pagine ove pur riconoscendosi, crocianamente, la fecondità dello studio delle idee nel fenomeno letterario, si addita come ufficio peculiare del critico e dello storico delle lettere la ricerca della caratterizzazione formale, quale strumento di interpretazione delle opere. Posizione certo rappresentativa di un'istanza di rinnovamento della nostra critica nel primo Novecento e ricca di sviluppi (su una linea che va da E. G. Parodi a C. De Lollis, e oltre, verso i più recenti orientamenti della critica stilistica), ma che nel B. di rado travalica il piano dell'indicazione, del tentativo, scoprendo il limite - che il Gentile aveva già acutamente ravvisato nell'impostazione e nella realizzazione del Manuale - di un criterio metodologico alieno da una prospettiva veramente storica del fenomeno letterario, la quale non può trascurare i nessi profondi ed organici tra le opere gli scrittori e il tempo, per render ragione della stessa forma in cui il loro lavoro si è realizzato. E quando il B., nell'Introduzione a La critica letteraria ("Dall'Antichità classica al Cinquecento") redatta per la vallardiana "Storia dei generi letterari italiani" -, scrive, parlando delle funzioni e dei fini della critica letteraria come "storia e valutazione estetica dell'arte della parola": "senza esclusivismi metodici, vanta e difende l'indipendenza del giudizio letterario da contingenze e considerazioni etiche, religiose, politiche; nell'esercizio dell'interpretazione e valutazione accetta e favorisce le attitudini più varie, onde possono talora armonizzarsí la speculazione e la visione sintetica con la più minuta ermeneutica formale", sentiamo, dietro l'idea generale, la presenza viva e immediata dello stesso scrivente, con tutti i rischi e le carenze che quella apertura ecletticamente integrazionistica della critica necessariamente comporta (pur assolvendo al delicato lavoro di "perpetuo restauro" che è un altro suo imprescindibile compito).
La critica letteraria,del 1911,è forse l'opera di più maturo impegno e di più serrata organicità del B., del quale sono tuttavia da ricordare altri lavori più consoni alla pratica viva del docente, come Indagini e problemi di storia letteraria italiana,con notizie e norme bibliografiche (Livorno 1909): opera di avviamento e di guida, che riprende e svolge linee ed intenti dell'apprezzato Manuale del Mazzoni. Va inoltre menzionata la molteplice attività del B. dantista (fra i vari contributi metteremmo in primo piano le Lecturae Dantis: il VII, l'XI, il XXX dell'Inferno,ilVI del Paradiso),del conferenziere, dello scrittore, che non sdegnò la pratica del giornalismo letterario - riconoscendo anzi ai giornali il merito di avere snellito e ravvivato il gusto dello scrivere e di vari periodici (dalla Nuova Antologia al Giornale storico della Letteratura italiana,dalla Rassegna Nazionale al Giornale Dantesco)fucollaboratore; scrittore vivace, la cui fluida vena di genuina toscanità non rinunciò ai più liberi e freschi modi dell'estro e dei pretesto autobiografico, offrendo negli scritti (fra diario, fantasia e meditazione) raccolti nel volume postumo La lampada della vita (Firenze 1920) la misura delle sue non disprezzabili doti.
Uomo di lettere e di studi fu dunque principalmente il B. (e non pochi riconoscimenti gli vennero per i suoi alti meriti in questo campo: in primis quello di essere accolto, come socio residente, dall'Accademia della Crusca); di formazione ancora tipicamente ottocentesca, ma sensibile, all'alba del Novecento, ai germi molteplici del rinnovamento: esempio, nel quadro della nostra cultura storico-letteraria a cavallo tra i due secoli, di un'onesta e laboriosa età di transizione, che dalla provincia guarda all'Italia, senza ignorare l'Europa, e vigilmente illustra e rinsalda - pur cautamente aprendosi ai fermenti della nuova realtà storica ed etico-politica - i valori della tradizione. Ma un suo profilo risulterebbe manchevole se non si accennasse anche alla carica politica che, negli ultimi anni della sua vita, egli ricopri in Firenze, ove fu sindaco in un periodo particolarmente grave della nostra storia nazionale, tra il 1915 e il 1917. Dell'arduo e oneroso compito affidatogli sempre egli ebbe alta coscienza, come attestano i Discorsi pronunciati da lui in quel periodo e pubblicati, per volontà del Comune, nel volume Inmemoriam (1918).
La morte lo sorprese a Roma (ove si era recato per ragioni inerenti alla sua carica) in età non molto avanzata, il 12 dic. 1917, quando le intense e continue cure del suo ufficio (non mai interrotte, però, le altre, da lui predilette, di studioso e di docente) avevano ormai gravemente logorato la sua pur solida tempra.
Bibl.: V. Rossi, recens. a O. B., Saggi Letterari,in Rass. bibl. d. letter. ital., VII(1899), pp. 85-89; G. Gentile, recens. a A. D'Ancona - O. B., Manuale...in La Critica,II(1904), pp. 389-394; P. Barbera, in La Nazione,26 dic. 1917; A. Orvieto, O. B., in IlMarzocco,XXII,52 (1917), p. 1; necrologi: F. Costantini, in Bullett. senese di storia patria,XXIV(1917), pp. 313-22; in Nuova Antologia,1°genn. 1918, p. 97; in L'Illustrazione italiana,XLV, 1 (1918), p. 19; A. Zardo, in Rass. naz.,XL, 15 (1918), p. 168; G. Mazzoni, in Atti, d. R. Accad. d. Crusca Per la lingua ital.,Firenze 1920, pp. 18-20; T. Rovito, Letterati e giornalisti italiani contemporanei, Dizionario biobibliografico,Napoli 1922, sub voce (inesatte le date di nascita e di morte del Bacci). Per gli scritti, siveda la Bibl. degli scritti a stampa di O. B.,di L. Righi, in Miscell. stor. d. Valdelsa, XXXII,I,Castel Fiorentino 1924, pp. 27-55; successivamente integrata dalla stessa Righi con il Supplemento..., ibid., XXXIV (1926), fasc. I.