Opposizione all’esecuzione
In generale, rimedio processuale cognitivo volto ad accertare la legittimità dell’attività esecutiva. Il processo esecutivo, infatti, orientato all’attuazione coattiva da parte dello Stato delle obbligazioni civili rimaste inadempiute, non ha funzione e struttura dichiarativa e rimette alle parti l’onere di avviare parentesi cognitive specifiche ogni qual volta ricorra la necessità di accertare situazioni sostanziali o processuali in grado di influire sul processo esecutivo stesso. Il codice di procedura civile contempla tre diverse tipologie di opposizione.
L’opposizione all’esecuzione in senso stretto è riservata alla parte esecutata ed è volta a contestare l’esistenza del diritto a procedere a esecuzione forzata, ovvero il fondamento stesso dell’attività esecutiva. Ciò può avvenire lamentando l’inesistenza del diritto sostanziale da porre in esecuzione, oppure l’inefficacia o l’inesistenza del titolo esecutivo, oppure, ancora, la pignorabilità dei beni.
L’opposizione agli atti esecutivi è, invece, riservata a tutti coloro che hanno preso parte al processo esecutivo ed è volta a contestare la regolarità formale dei singoli atti del processo esecutivo, per cui con essa non si vuole contestare l’esecuzione in sé, ma le modalità con le quali essa si svolge in concreto.
L’opposizione di terzo all’esecuzione, infine, è il rimedio riservato a colui che non ha assunto la qualità di parte del processo esecutivo e con il quale il terzo fa valere la proprietà o altro diritto reale sui beni oggetto di pignoramento. Le opposizioni ora indicate si svolgono autonomamente rispetto al processo esecutivo e influiscono su di esso in caso di loro accoglimento (cessazione del processo esecutivo per inesistenza del diritto consacrato dal titolo, dichiarazione di nullità dell’atto ecc.) o, nel caso in cui ne ricorrano i relativi presupposti, qualora le parti ottengano la sospensione del processo esecutivo in attesa della decisione sull’opposizione.