Opera cinematografica
L'opera cinematografica riassume in sé una complessa serie di elementi, di apporti, dotati ciascuno di una propria valenza, che si realizzano nel loro insieme nell'opera compiuta attraverso un processo lungo e delicato, a un tempo creativo e produttivo.
Vanno in primo luogo precisati gli aspetti terminologici dai quali discendono riflessi giuridici diversi; vale a dire la differenza che intercorre tra i termini 'film' e 'opera cinematografica'. Si parla di film quando si allude al prodotto industriale (cioè alla pellicola impressionata) e di opera cinematografica quando si voglia prendere in considerazione il contenuto. Non tutti i film quindi possono essere definiti opere dell'arte cinematografica.
Per di più, a complicare il quadro d'insieme, nel corso degli anni si è assistito all'introduzione di termini nuovi, all'interno della legge sul diritto d'autore (nr. 633 del 22 aprile 1941, aggiornata dalla l. nr. 248 del 18 agosto 2000), come: opere audiovisive, sequenze di immagini in movimento, opere assimilate e opere filmiche. Nella legge sul diritto d'autore (d'ora in poi l.d.a.) non c'è una definizione specifica di tali concetti ma è interessante notare invece che la si rinviene, in merito all'opera filmica, nella legge sull'editoria, 7 marzo 2001, nr. 62: "per 'opera filmica' si intende lo spettacolo, con contenuto narrativo o documentaristico, realizzato su supporto di qualsiasi natura, purché costituente opera dell'ingegno ai sensi della disciplina del diritto di autore, destinato originariamente, dal titolare dei diritti di utilizzazione economica, alla programmazione nelle sale cinematografiche ovvero alla diffusione al pubblico attraverso mezzi audiovisivi".Un aspetto prioritario riguarda allora la corretta definizione di opera cinematografica in quanto, soprattutto agli inizi dell'elaborazione ermeneutica della l.d.a. vigente, la si è intesa come opera dell'ingegno di carattere creativo del tutto peculiare: essa rappresenta, a un tempo, prodotto artistico e bene industriale, oggetto di attività imprenditoriale. Invero, la cinematografia ha da sempre espresso il carattere di manifestazione artistica, il cui contenuto deriva dalla concorrenza di diversi fattori creativi finalizzati alla realizzazione di un pubblico spettacolo, con la pretesa aspirazione di dare al pubblico la fruizione di un'opera di carattere artistico. Nella l.d.a. (art. 2, nr. 6) la creatività che qualifica l'opera dell'arte cinematografica è presunta: sussiste in tutti i casi in cui non si tratti di mera documentazione, ovvero, quando non si limiti alla pura e semplice riproduzione fotografica di oggetti. Se ne deduce che l'opera non può essere semplicemente frutto di un lavoro intellettuale qualunque, ma è il risultato di un'attività qualificata di creazione intellettuale: soltanto in questo caso essa acquisirà una propria originalità rispetto a opere preesistenti, tutelate o meno. E questa caratteristica non deve essere ricercata nei concetti o negli argomenti, ma nel modo in cui essi vengono espressi.L'attività creativa che porta alla realizzazione di un film è sintetizzata nel contributo di più persone e, nella l.d.a., le o. c. vengono inserite tra le varie tipologie di opere frutto di tale collaborazione. Partendo da questa riflessione, si è assistito a una serie di tentativi al fine di giungere a una corretta definizione giuridica dell'opera cinematografica. Alcuni autori hanno parlato di opera composta, altri di opera complessa, infine altri ancora di opera in comunione. La difficoltà è insita nella duplice caratteristica che connota l'o. c.: se da una parte, infatti, può essere inserita tra le opere in collaborazione, create 'normalmente' con il contributo inscindibile e indistinguibile di più persone e disciplinate dall'art. 10 che prevede il regime di comunione, dall'altra interviene l'art. 44 in cui vengono considerati coautori l'autore del soggetto, l'autore della sceneggiatura, l'autore della musica e il direttore artistico, cioè il regista. Ed è proprio prendendo le mosse dall'art. 44 che nomina i diversi apporti che la dottrina si divide, approdando alle diverse identificazioni già accennate.
Con lo sviluppo che oggi contraddistingue la cinematografia in tutto il mondo, le opere dell'arte cinematografica assumono sempre di più un aspetto prevalentemente industriale e non si può ancorarle solo alle leggi sul diritto d'autore che forniscono protezione dal punto di vista letterario e artistico. Occorre ragionare anche su altri aspetti: per es. il direttore artistico (regista), attraverso la sua attività di coordinamento, armonizza i vari contributi degli altri autori. Senza la produzione industriale egli non potrebbe svolgerla, ma non sarebbe neanche possibile "l'estrinsecazione ‒ e, quindi, la fattispecie costitutiva ‒ dell'opera". Conseguentemente il produttore, e dunque la figura imprenditoriale, rappresenta il trait d'union che conduce alla creazione stessa dell'opera. Nell'o. c. non si realizza affatto una netta scissione tra momento creativo e momento commerciale; al contrario, tratto davvero caratteristico della creazione del film rispetto ad altri tipi di opera intellettuale è che l'elemento imprenditoriale integra, sin dal suo sorgere, il dato creativo.Il direttore artistico o regista di un'o. c. è colui il cui nome compare nei titoli di testa associandolo al titolo del film (nell'espressione "un film di"); normalmente viene considerato l'autore principale in quanto, attraverso la sua creatività e i suoi criteri artistici e interpretativi, coordina tutti i fattori concorrenti alla realizzazione del film.Sostanzialmente il soggetto cinematografico sceneggiato, con tutti gli adattamenti che sono necessari ai fini dell'esecuzione, viene realizzato nelle riprese dal regista che conferisce non soltanto unità creativa, ma imprime altresì l'espressione della propria personalità artistica. Il contributo di questo autore rappresenta il principale fattore creativo e generalmente costituisce l'elemento di successo del film.
La posizione centrale del regista è spesso confortata in sede contrattuale da clausole ed elementi che la sottolineano; difatti oltre alle classiche attività di direzione delle riprese, di attenzione e cura dell'interpretazione degli attori nonché di disposizione delle macchine da ripresa, gli spetta generalmente scegliere lo scenografo, il direttore della fotografia, l'autore della musica, gli attori, insomma, i collaboratori artistici.In teoria, almeno in Italia, il regista ha maggiore autonomia rispetto al produttore. È la stessa l.d.a. (all'art. 45) a precisare l'ipotetica indipendenza del regista quando stabilisce che il produttore è colui che organizza la produzione, e non quello che dirige la creazione dell'opera stessa. Ma è pur vero che il produttore-imprenditore esplica una più o meno penetrante funzione di controllo sull'esecuzione delle prestazioni del regista, assicurandosi che l'opera sia eseguita "secondo le condizioni stabilite dal contratto e a regola d'arte" (art. 2224 c.c.). Ha la facoltà di arrestare il lavoro quando preveda la non conformità al risultato pattuito e può fissare un termine entro cui il regista deve conformare la propria opera alle condizioni stabilite dal contratto.L'interferenza forse più incisiva sull'attività del regista ‒ che è colui che non fornisce un apporto scindibile dal film ‒ è sancita dall'art. 47 l.d.a. quando si prevede che possono effettuarsi delle modifiche all'o. c. compiuta. Infine è il regista la persona che, con il final cut, dichiara di aver completato il montaggio e, consegnando al produttore la copia campione del film, in buona sostanza dichiara compiuta l'opera cinematografica.
La legge italiana sul diritto di autore considera il produttore non un coautore, bensì il titolare del diritto di utilizzazione economica dell'opera cinematografica. È generalmente definito come colui che organizza e dirige la produzione, impiegando capitali propri e altrui, e che svolge una particolare attività di tipo industriale: difatti non produce merci ma opere dell'ingegno. La diretta conseguenza di queste caratteristiche del tutto peculiari si manifesta nel fatto che il produttore deve avere, oltre alle qualità di ogni industriale, anche una profonda conoscenza della mobilità del settore in cui opera e un'adeguata competenza tecnica, le quali presumono altresì una spiccata sensibilità artistica. Ma il produttore non produce l'opera intellettualmente, a meno che non sia anche regista o autore del soggetto, come avviene frequentemente nell'industria americana (v. Hollywood); in tal caso ha la duplice attività di imprenditore e di coautore del film. D'altra parte la stessa l.d.a. delinea felicemente la funzione e la figura del produttore definendolo colui che ha organizzato la produzione (art. 45) anche se la sua attività non si ferma all'organizzazione dei fattori della produzione, ma implica anche capacità di investimento di capitali e svolgimento di una serie di attività connesse ai fini della produzione, utilizzazione e alienazione. Il produttore è quindi colui (persona fisica o società) che esercita professionalmente un'attività economica organizzata al fine della produzione, è il capo dell'impresa e da lui dipendono i suoi collaboratori (art. 2082 e 2086 c.c.); ne consegue che la responsabilità della produzione ricade su di lui, affrontando tutti i rischi connessi, ma nel contempo è beneficiario dei proventi che deriveranno dallo sfruttamento commerciale del prodotto della sua impresa (v. anche impresa cinematografica). Dalla vigente legge italiana sul diritto d'autore risulta dunque che il film non è frutto di un solo autore ma di più coautori: l'autore del soggetto, l'autore della sceneggiatura, l'autore della musica e il direttore artistico o regista. È frequente che l'autore del soggetto si occupi anche della sceneggiatura, dirigendo poi il film e indossando quindi le vesti del regista. Ma si verifica anche che soggetto, sceneggiatura e musica vengano pensati e scritti ciascuno da più autori. L'o. c. è quindi risultato e frutto dell'elaborazione e del coordinamento di più contributi creativi e non, taluni preesistenti, altri ideati appositamente; ancora, alcuni (si pensi al soggetto e alla sceneggiatura) confluiscono nel film con conseguente perdita della propria individualità, per altri ‒ pur concorrendo alla realizzazione dell'opera ‒ è possibile parlare di riconoscibilità nel prodotto finito (è il caso della musica e dei dialoghi) e per altri ancora sussiste la conservazione dell'autonomia e dell'identità, come nel caso delle opere letterarie preesistenti.
La definizione degli artisti interpreti ed esecutori, correntemente chiamati attori, si trova all'art. 80 della legge sul diritto d'autore. L'attività degli attori esprime un lavoro di tipo intellettuale indubbiamente qualificato ma che non può essere definito creativo al pari di quello degli autori, in quanto l'opera che interpretano è già stata concepita e per questo capace di vita propria; gli artisti, attraverso la personale abilità interpretativa trasmettono il messaggio degli autori al pubblico dando forma a qualcosa che non esisteva prima (non certamente però a un'opera nuova).Si è obiettato al riguardo che tali opinioni hanno attinenza soprattutto con il teatro e la musica perché l'artista in tal caso interpreta un'opera che già esiste ed è una delle tante possibili interpretazioni; l'attore cinematografico non si presta a una interpretazione ma all'interpretazione del film specifico collegandola indissolubilmente a esso. Resta il fatto che comunque la l.d.a., pur escludendoli dall'attribuzione di un diritto d'autore ‒ a conferma di una mancanza nella loro attività del requisito di creatività originaria ‒, prevede un sistema di protezione speciale, degli aspetti tanto patrimoniali quanto morali a tutela della personalità, al capo III del Titolo II (artt. 80, 85-bis) intitolato Diritti degli attori, degli interpreti e degli artisti esecutori. Innanzitutto viene assicurata loro una tutela contro ogni eventuale attività di appropriazione non autorizzata della prestazione artistica (art. 80 l.d.a.); inoltre, all'art. 81, è stabilito che gli attori hanno diritto di opporsi a tutti quegli atti che possono recare pregiudizio al loro onore e alla loro reputazione. Sottolineando di nuovo poi che a costoro non viene riconosciuta la qualifica di coautori, all'art. 83 la norma prevede ‒ quantomeno a favore di chi sostiene le prime parti nell'opera ‒ il diritto che sia indicato il loro nome nei titoli di testa e di coda del film. I diritti degli artisti durano cinquant'anni a partire dall'esecuzione, rappresentazione o recitazione.L'attuale sistema normativo è caratterizzato dalla scomposizione, nell'o. c., tra diritto morale di autore che, ai sensi dell' art. 44, compete ai coautori, ed esercizio dei diritti di utilizzazione economica che l'art. 45 della legge riserva a chi ha organizzato la produzione del film, nei limiti dei successivi articoli.
Un primo aspetto del diritto morale d'autore attiene alla paternità dell'opera: infatti tutti i coautori hanno diritto che i loro nomi, con l'indicazione della loro qualità professionale e del loro contributo all'opera stessa, siano menzionati nella proiezione del film (art. 48 l.d.a.), anche se non sempre l'autore vuole far valere o affermare la propria paternità intellettuale. Potrebbe difatti decidere di mantenerla nell'ombra, utilizzando lo pseudonimo o l'anonimo, mantenendo comunque "il diritto di rivelarsi o di far conoscere in giudizio la sua qualità d'autore" (art. 21 l.d.a.). Vi è poi il diritto all'integrità dell'opera, ovvero, la legge richiede che le deformazioni e/o i tagli e ogni atto a danno dell'opera stessa non siano di pregiudizio all'onore e alla reputazione dell'autore. Per onore deve intendersi la dignità personale riflessa nella considerazione dei terzi e nel sentimento delle persone medesime mentre la reputazione è la considerazione dei terzi nella quale si riflette la sua dignità personale. Gli autori hanno, in generale, il diritto di esercitare singolarmente o collettivamente la facoltà di opporsi a qualsiasi modificazione della loro opera e il loro consenso non può essere considerato soltanto un semplice diritto a essere interpellati ed eventualmente compensati. Per quanto riguarda l'aspetto patrimoniale (e quindi lo sfruttamento del film) il combinato disposto degli artt. 44 e 45 l.d.a. è stato oggetto, nel corso degli anni, dell'interpretazione dottrinale e giurisprudenziale al fine di stabilire che tipo di rapporto esistesse tra coautori e produttore. Ciò avrebbe contribuito a chiarire la portata dell'attribuzione a quest'ultimo dell'esercizio dei diritti di utilizzazione dell'o. c. in quanto detto esercizio poteva lasciar supporre che la titolarità fosse pur sempre di altri, gli autori.Inoltre, negli anni più recenti è sorto un nuovo dilemma, ovvero, se lo sfruttamento del film, andando oltre la forma tradizionale della proiezione in sala (basti pensare alla televisione, all'home video ecc.), possa intendersi in senso più ampio, come sfruttamento dell'opera prodotta in quanto tale, indipendentemente dal mezzo utilizzato. In merito all'ultimo quesito, la giurisprudenza ha dimostrato una decisa prevalenza per la seconda soluzione: sostanzialmente al produttore vengono riferiti tutti i diritti a eccezione dei diritti morali in quanto, come detto in precedenza, costui è l'organizzatore della produzione a proprie spese e a proprio rischio. Al produttore spettano tutti i diritti di sfruttamento, in tutti i mezzi e per tutta la durata della proiezione dell'opera, anche se questo sistema crea uno squilibrio tra l'aspetto industriale (il produttore) e l'aspetto artistico-creativo (coautori); e tale squilibrio risulta tanto più evidente quanto più si riflette sulle nuove forme di sfruttamento che hanno ampliato le possibilità di trarre proventi dall'opera cinematografica. Negli ultimi anni in compenso si è assistito all'introduzione di nuove norme in materia di diritto di autore che prevedono una disciplina parzialmente diversa circa i proventi delle opere; si è creata una ripartizione degli stessi fra il produttore e altri soggetti, con particolare riguardo alle forme nuove di utilizzazione che non erano disciplinate espressamente nella 'vecchia' legge.Per iniziare, il nuovo art. 78-bis l.d.a. colloca il produttore fra i titolari dei diritti connessi con il diritto d'autore, elencando una serie di poteri esclusivi; ci si chiede allora come debba essere coordinato il diritto di sfruttamento economico, senza delimitazioni, attribuito al produttore ex art. 45 l.d.a. con i predetti poteri esclusivi. Una risposta potrebbe essere la seguente: l'art. 45 attribuisce al produttore l'esercizio dei diritti di sfruttamento del film in generale, mentre l'art. 78-bis si occupa di regolare altri diritti di sfruttamento, quelli che nel 1941 non esistevano o non avevano rilievo.
Altre due nuove norme poi, gli artt. 46-bis e 18-bis, introducono due distinti equi compensi: il primo dispone di una equa remunerazione a favore dei coautori per le comunicazioni via etere, via cavo e via satellite, il secondo prevede un equo compenso per il diritto di noleggio. Si può quindi ritenere che ancora oggi il produttore sia colui che stipula tutti i contratti riguardanti tutti i diritti di utilizzazione economica dell'o. c., anche se c'è una maggiore partecipazione ai proventi a favore di altri soggetti (coautori e artisti interpreti). Quindi l'esercizio dei diritti continua ad assicurare al produttore la loro gestione e include anche l'obbligo di corrispondere gli equi compensi ai coautori e agli artisti.
Attualmente è possibile individuare numerose possibilità di sfruttamento del film che si affiancano alla tradizionale fruizione dell'opera da parte del pubblico nelle sale cinematografiche; cosicché sempre meno rispetto al passato si affida il rischio del recupero dei costi all'aleatorio successo del film nelle sale.
Immediatamente si pensa alla televisione e all'home video ma sono da considerare anche altre forme di utilizzazione di tipo derivato. In effetti i contributi dei coautori possono essere sfruttati separatamente, si rie-scono a estrapolare delle scene del film a scopo pubblicitario o per fotoromanzi e, fenomeno ancor più tipico, si sfrutta un nome o un'immagine famosa di un film utilizzandola in relazione a beni e servizi e realizzando il cosiddetto merchandising. Queste forme di utilizzazione appena citate hanno indubbiamente assunto un'importanza anche economica rilevante ma non presentano di certo i vantaggi derivanti dalle possibilità offerte dal mercato televisivo e da quello dell'home video.Per quanto riguarda l'utilizzazione televisiva si può considerarla niente altro che uno dei modi di sfruttamento dell'o. c. che si differenzia dalla diffusione in sala unicamente per il mezzo usato; lo stesso art. 45 l.d.a. attribuisce al produttore ogni diritto di utilizzazione economica, considerandosi compreso quello relativo alla diffusione televisiva. Inoltre un chiarimento in tal senso è offerto dal d.l. 16 novembre 1994, nr. 685 il quale, recependo la direttiva nr. 100 del 1992, precisa che "i diritti di sfruttamento economico spettanti al produttore comprendono il diritto di riproduzione diretta e indiretta, il diritto di distribuzione, con qualsiasi mezzo, il diritto di noleggio".
Anche il mercato dell'home video è stato oggetto di disciplina comunitaria (con le direttive nr. 100 del 1992 e nr. 98 del 1993) ed è riconosciuto al produttore, così come è avvenuto per il mercato televisivo, tale diritto di sfruttamento. Quest'ultimo viene esercitato avvalendosi di distributori specializzati del settore, organizzati in modo abbastanza simile ai distributori cinematografici.
In generale queste tecniche di fruizione dell'opera sottraggono comunque audience alla proiezione in sala e tutto ciò accade anche se tra la visione tradizionale al cinema e quella in casa esiste un tasso di sostituzione relativamente basso; a tal fine la legge 1° marzo 1994, nr. 153 ha stabilito che deve trascorrere un ragionevole lasso di tempo (window) per consentire all'impresa di produzione di massimizzare i guadagni derivanti dalla proiezione nelle sale cinematografiche, prima che il pubblico possa assistere a una visione gratuita o quasi (videocassette) in televisione.
M. Fabiani, Autore (diritto di), in Enciclopedia giuridica, Istituto della Enciclopedia Italiana, 4° vol., Roma 1988, ad vocem, con postilla di aggiornamento 1999, 1.