VISCONTI, Onorato. –
Nacque a Milano prima del 1585, figlio di Ercole feudatario di Rho, conte di Saliceto, governatore del ducato di Sabbioneta e di Anna del conte Paolo Sfondrati nipote di papa Gregorio XIV.
Educato dallo zio cardinale Alfonso Visconti, conclusi gli studi nel Collegio romano, fu nominato referendario delle due Segnature da Paolo V. Dal 1608 assunse diversi incarichi di governo: Iesi (1608), Fano (1610-11), Ascoli (1611-14) e Ancona (1614-18). Nel 1624 Urbano VIII lo chiamò a sostituire monsignor Carlo Bovio, vescovo di Bagnorea, come inquisitore e visitatore apostolico a Malta, dove rimase fino al 1627. Nominato arcivescovo di Larissa nel 1630 (Città del Vaticano, Archivio apostolico Vativano, AAV, Archivio Concistoriale, Acta Camerarii, 16, c. 332r), ad aprile fu inviato nunzio ordinario a Varsavia in un momento critico per il continente.
Se a occidente imperversava la guerra dei Trent’anni tra gli Asburgo e gli Stati protestanti supportati dalla Francia cattolica, a est, Sigismondo III Wasa, dal 1587 sovrano eletto di Polonia, guardava con interesse all’Ordine dei gesuiti e agli Asburgo d’Austria per realizzare un’unione personale tra la Rzeczpospolita e quella Svezia sulla quale aveva regnato come re ereditario (1592-99) prima di esserne allontanato. La S. Sede, convinta che le azioni di Wasa potessero giovare al cattolicesimo, inviava in Polonia (Città del Vaticano, Biblioteca apostolica Vaticana, BAV, Barb. lat. 9070, c. 83r) Visconti, milanese e suddito degli Asburgo di Spagna, alleati di Vienna, ma anche – scriveva il cardinale nepote Francesco Barberini – per «l’affetto paterno che le porta» (Barb. lat. 6250, c. 16v).
Accompagnato dall’uditore Francesco Torre, da Alessandro Bernabei chierico di Farfa e dai suoi due segretari, Giovanni Battista Rinalducci e Antonio Francesco Tempestini, arrivava a Varsavia il 4 ottobre 1630 (AAV, Segreteria di Stato, Polonia, 42/A, c. 91r), preceduto da una lettera credenziale spedita da Roma il 15 giugno (ibid., Epistolae ad Principes, 44, cc. 227-240v). Trovò un Paese apparentemente tranquillo.
Gli scontri con la Svezia sorti nel 1626 erano andati scemando fino alla tregua di Altmark del 1629 (ratificata dalla Polonia solo il 12 marzo 1631) grazie alla mediazione della Francia e del Brandeburgo, mentre erano stati abilmente accantonati i problemi dovuti alla cospicua presenza di protestanti e scismatici. Solidi, infine, erano i rapporti con Urbano VIII, soddisfatto dell’azione procattolica di Wasa, sebbene papa Barberini a causa della sua propensione per la Francia non gradisse l’avvicinamento tra le corti di Varsavia e Vienna. A preoccupare, semmai, era la questione della successione di un ormai anziano Sigismondo III, come annunciato dalla relazione lasciata a Visconti dal predecessore Antonio Santacroce.
Il 30 aprile 1632 il vecchio sovrano moriva con l’assistenza spirituale del nunzio, il quale venne chiamato fin dalle prime settimane di interregno a cimentarsi su tre fronti distinti, ovvero il problema mai sopito dei cosacchi ucraini, i contrasti tra uniati e scismatici ortodossi, e la presenza attiva del partito dei dissidenti, per lo più calvinisti lituani.
All’apertura della Dieta di convocazione (22 giugno-16 luglio 1632) come presidente venne scelto il calvinista e gran generale di Lituania Krzysztof II Radziwiłł che, forte dell’assembramento sui confini polacchi (Pomerania, Marca, Slesia) di dissidenti in armi uniti alle truppe di Gustavo Adolfo di Svezia, chiese l’abrogazione delle leggi con le quali il defunto re aveva ristretto loro la libertà di culto e l’accesso alle cariche pubbliche. A nulla valse l’opposizione dell’ala cattolica sostenuta da Visconti, tanto che dopo una prima riunione (6 luglio) avvenuta nel palazzo del primate di Polonia, Jan Wężyk, arcivescovo di Gnezna, il 16 luglio il sejm (Dieta) approvò un documento che assicurava la pace tra le confessioni religiose. Accordo respinto da Piotr Mohyła, ortodosso e archimandrita di Kiev, come anche da Urbano VIII che invitava Visconti a vigilare sulla situazione seguendo le direttive che gli sarebbero giunte da Propaganda Fide, organo preposto per queste problematiche.
Ancora più complesso si presentava al nunzio l’affare dell’elezione al trono, con la S. Sede costretta, di fronte all’appoggio dato dai dissidenti al primogenito di Sigismondo III, Ladislao, a guardare a Giovanni Casimiro, nato dal secondo matrimonio con Costanza d’Asburgo di cui in Polonia si temeva la reggenza soprattutto dopo il fallito tentativo di eleggerne lo stesso figlio vivente rege nel 1626. A mutare il quadro intervenne la scelta improvvisa dei protestanti di proporre come re il sovrano svedese Gustavo II Adolfo: una candidatura priva di possibilità che ebbe il merito di riunire il Paese attorno a Ladislao, assicurandogli l’appoggio di Roma e dei cosacchi che necessitavano di un forte sovrano contro le pretese moscovite al confine.
In vista del sejm di elezione, Visconti, giunto in Polonia come nunzio ordinario presso Sigismondo III, fu nominato legato a latere per l’occasione. Il 22 ottobre, dopo che monsignor Henryk Firlej aveva presentato la candidatura di Ladislao, a nome di Urbano VIII, Visconti invitò il Paese a scegliere un sovrano degno della sua storia e attento alla fede cattolica: un’orazione in latino appezzata dal primate, dal presidente della Camera e castellano di Cracovia Jakub Sobieski e dal rappresentante inglese, Frances Gordon (Barb. lat. 6159, cc. 48v-49r). Il giorno 8 novembre 1632, Ladislao venne eletto nuovo re di Polonia. A Visconti va il merito di aver fugato i dubbi sull’integrità cattolica del prescelto, in particolare con due lettere inviate a Roma il 23 giugno e il 15 luglio.
Dopo aver espresso apprezzamenti per l’elezione, la S. Sede chiedeva a Visconti di interessarsi a un altro complesso affare, il matrimonio del neoeletto. Ladislao, infatti, sembrava voler accogliere l’invito dell’inglese Gordon di unirsi con la protestante Elisabetta figlia di Federico V del Palatinato, così da lanciarsi alla riconquista del trono svedese anche con l’aiuto di Carlo I Stuart al quale aveva già spedito un emissario, Jan Zawadki.
Non sappiamo quanto il re credesse nel progetto, nondimeno aveva inviato a Roma l’abate Domenico Orsi per chiedere una dispensa matrimoniale. Per guadagnare tempo, Urbano VIII creò un’apposita congregazione di cardinali, chiedendo al nunzio di seguire in loco la pratica attivandosi affinché Wasa optasse per una sposa cattolica: diversi i nomi, dalla duchessa Anna, sorella del comandante dell’esercito Jeremi Michalł Wiśniowiecki, a Katarzyna figlia di Krzysztof II Radziwiłł. Nella relazione finale stesa da Visconti si evidenzia lo sforzo compiuto in questo «negozio». Il nunzio suggeriva candidate alternative: la napoletana Anna Carafa, nipote dell’imperatore Ferdinando II, la sorella del duca di Toscana, la figlia del duca di Mantova; illustrava al re i vantaggi di un’eventuale alleanza con la Spagna cattolica per la riconquista del trono svedese, o quella con gli Asburgo d’Austria per la lotta contro il turco. Un suggerimento in parte accolto, e che avrebbe portato nel 1637 Ladislao a sposare la figlia dell’imperatore, l’arciduchessa Cecilia Renata, allineando la Rzeczpospolita alla politica di Vienna.
Altre questioni impegnarono Visconti in Polonia, tra le quali lo scontro fra l’Ordine dei padri bernardini e i riformati, e la propagazione del culto di s. Teresa. Spinosa fu poi la questione relativa allo Studium Domesticum diretto dai gesuiti che, attivi dal 1623, faceva concorrenza alla più antica Accademia di Cracovia: una situazione alla quale il nunzio non seppe trovare una soluzione, per cui fu necessario l’intervento diretto di Urbano VIII che il 15 gennaio 1634 – e dopo l’arrivo a Roma di una delegazione polacca guidata da Jerzy Ossoliński – promulgò un breve (Salvatori set domini nostri) con il quale autorizzava l’Accademia a insegnare teologia e filosofia con detrimento dei gesuiti.
Nonostante il rapporto con Ladislao – non sempre idilliaco – si basasse su un reciproco rispetto dei ruoli, agli occhi di Urbano VIII l’azione svolta dal nunzio non aveva portato i risultati sperati. Per questo nel 1636 Visconti fu richiamato a Roma. Restò nel Regno in attesa dell’arrivo del successore, monsignor Mario Filonardi, datato 28 febbraio 1637 (AAV, Segreteria di Stato, Polonia, 49, c. 45r), per poi prendere la strada d’Italia (BAV, Barb. lat., 6586, c. 230r) dove ad attenderlo vi era la carica di presidente delle provincie della Romagna (BAV, Indici, 367, c. 304r) che occupò per i quattro anni successivi. Non prima, però, di aver inviato a Roma una lunga e dettagliatissima relazione con un quadro esatto del Paese nel quale aveva operato per così lungo tempo.
Se per Urbano VIII l’azione svolta da Visconti non era stata soddisfacente, Ladislao IV Wasa, al contrario, ne aveva apprezzato il lavoro tanto da chiederne l’elevazione al cardinalato come candidato polacco nella Nomina de’ Principi: la proposta trovò la netta opposizione di Roma, che, trovando inaccettabile la richiesta dei polacchi, si rifaceva a un decreto di Trento favorevole a soli candidati nazionali e a una bolla di Pio IV con cui si escludeva dalla nomina delle nazioni i nunzi che «brigano il cappello con le raccomandazioni di quei principi, appresso i quali risiedono» (Ciampi, 1839, p. 73). La diatriba durò quattro lunghi anni senza mai giungere a conclusione. Nonostante le reiterate richieste di Ladislao IV, papa Barberini non prese mai in considerazione il nome di Visconti per il cardinalato, escludendolo dalla sua ultima promozione fatta il 13 luglio 1643.
Nel frattempo, Visconti, fatto rientro nella sua Milano, moriva il 7 luglio del 1645.
Fonti e Bibl.: Città del Vaticano, Archivio apostolico Vaticano, Armadio XLV, 43, cc. 188r-197v; Segreteria di Stato, Polonia, 42/A, 43-48, 174/A, 175, 177, 192, Additamenta 3, f. 2, n.n.; Archivio della Nunziatura di Varsavia, 166-167; Segreteria di Stato, Nunziature Diverse, 9, c. 119v; Archivio Concistoriale, Acta Camerarii, 16, 45; Archivio Concistoriale, Processus Consistoriales, 28, 30, 32-35, 37; Fondo Pio, 73, 101; Fondo Borghese, serie III, 30; Miscellanea, Armadio III, 34, cc. 286r-337v; 73, c. 14r; Segreteria dei Brevi, 432, cc. 263r-268r; 435, cc. 105r-108r; 763, cc. 349r-368v; Epistolae ad Principes, 44, cc. 227-240v; Biblioteca apostolica Vaticana, Barb. lat., 6159, 6160, 6226, 6227, 6250, 6585-6589, 6598, 9070; Borg. lat., 883-885; Chig., B.I.3; Archivio storico della Congregazione de Propaganda Fide, Fondo Vienna, 39, c. 19rv; Lettere, 10, 11; Scritture Originali riferite nelle Congregazioni Generali, 1, 58, 59, 73, 75, 76, 132, 137, 336, 391; Scritture riferite nei Congressi, Armeni, 2; Scritture riferite nei Congressi, Visite e Collegi, 8; Istruzioni Diverse, I, 10-16, passim; Olsztyn, Archiwum Diecezji Warmińskiej w Oolsztynie, D.127; Cracovia, Biblioteka Czartoryski, 1344; Cracovia e Kórnik, Biblioteka Polskiej Akademii Nauk, 8390, 8391, 8403, 8404; Archivio di Stato di Parma, Carte Farnesiane. Estero, Polonia, 119; Archivio di Stato di Roma, Archivio Santacroce, 1188, 1200; Roma, Archivio Doria Landi Pampili, Fondo Archiviolo, 123, 138, 142; Archivum Romanum Societatis Iesu, Fondo Epistolae Nostrorum, 3; Fondo Polonia, 77; Milano, Archivio storico civico e Biblioteca Trivulziana, Fondo Archivio Visconti di Saliceto, capsule 33, n. 7, 34, n. 1, fasci 2, 35, n. 1; Archivio di Stato dell’Aquila, Archivio Dragonetti de Torres, 111, nn. 101-122; Varsavia, Archiwum Główne Akt Dawnych, Archiwum Nuncjatury, 11, 12, 13, 14; Biblioteka Ordynacji Zamoyskich, Fondo Archivio Visconti di Salaceto, 50/A, nn. 9, 36, 42, 98, 199; Breslavia, Biblioteka Zakładu Narodowego im. Ossolińskich, 157/II.
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