CAETANI, Onorato
Nacque a Roma il 18 genn. 1842 da Michelangelo, duca di Sermoneta, e da Callista Rzewuska. Laureatosi in legge alla Sapienza, nel 1863, visse a lungo all'estero, in particolar modo in Inghilterra; nel 1867, a Londra, sposava Ada Bootle Wilbraham. Tornato in Italia, subentrava al padre nell'amministrazione del patrimonio familiare, e faceva i primi passi nella carriera pubblica. Eletto nel marzo 1872 alla Camera dei deputati, nel collegio di Velletri, in sostituzione del decaduto ing. R. Colacicchi, vi resterà fino alla nomina a senatore nell'anno 1911. Uomo della Destra, per educazione e formazione personale tenne sempre una posizione indipendente, ispirata al modello di un conservatorismo liberale poco omogeneo alla tradizione moderata italiana. Quel misto di agnosticismo aristocratico e di fede risorgimentale che aveva costituito il carattere peculiare del liberalismo paterno convisse in lui senza dover passare attraverso le tensioni drammatiche della generazione precedente. A differenza di altri membri dell'aristocrazia romana, la sua partecipazione alla vita pubblica non ebbe per cornice i grandi interessi connessi allo sviluppo edilizio della Roma postunitaria, mentre scarsi e poco organici erano i suoi legami con il ceto politico liberale postunitario. Non stupisce vederlo, pochi mesi dopo il discorso di Stradella, passare nelle fila della nuova maggioranza, senza nulla cambiare del suo personale credo politico.
Eletto nelle elezioni del 1880 per il rinnovo parziale del Consiglio comunale di Roma, fu membro del Comitato liberale romano, senza tuttavia mai perdere la stima e la benevolenza dei cattolici, da un lato, e dei democratici anticlericali, dall'altro, che non gli risparmiarono attacchi continui, ma con i quali egli non fu alieno a stringere, in casi particolari, intese momentanee. Nel 1888 presentava con A. Baccarini, in Consiglio, una mozione per la concessione di un'area per il monumento a Giordano Bruno, ma all'episodio egli si affrettava a togliere subito ogni significato di adesione politica alla violenta campagna anticleriale crispina.
Erano quelli, del resto, gli anni in cui venivano al pettine dell'amministrazione capitolina tutti i nodi della grave crisi finanziaria che, dopo il grande sviluppo edilizio degli anni '80, aveva investito la città. Proprio nel 1888 aveva lasciato la carica di sindaco il Torlonia, che per anni aveva assicurato in Campidoglio la prevalenza degli interessi della grande rendita urbana. Per risolvere la crisi apertasi con quelle dimissioni, aggravata dall'aggressività della politica del governo Crispi contro il blocco moderato cattolico che deteneva la maggioranza nel Consiglio comunale, si rendeva urgente una soluzione di compromesso nel cui quadro trovasse anche applicazione la legge speciale per Roma, varata nel giugno del 1890. Dopo alcuni mesi di gestione prefettizia, con la nomina a commissario del Finocchiaro Aprile, le elezioni del dicembre 1890 aprirono la strada alla nomina del C. alla carica di sindaco (29 dicembre).
Eletto nella lista del Comitato liberale, che egli aveva capeggiato con Baccarini e Menotti Garibaldi, ben accetto anche al gruppo cattolico, il C. sembrò l'uomo adatto per ricomporre un equilibrio "tra uomini devoti al governo e uomini cari al Vaticano" (Caracciolo, p. 213), proprio perché all'interno del gruppo liberale egli si era tenuto discosto dal progetto, non fortunato, di creare in Campidoglio un blocco alternativo di democrazia laica.
La sua gestione si attenne a criteri rigorosamente amministrativi. Il problema centrale fu quello del risanamento finanziario del bilancio comunale a cui veniva incontro la legge speciale su Roma. Il C. si adoperò ad ampliare i capitoli finanziari e creditizi della legge, aprendo nuove trattative col governo, specie per saldare gli ultimi debiti dei lavori edilizi, giungendo alla convenzione del 14 genn. 1892. Nel contempo si adoperava a migliorare l'amministrazione tributaria del comune, elevando, non senza acuti contrasti, l'imposta di famiglia per i redditi superiori alle L. 2.000, e a porre un fermo alla caotica espansione edilizia della città con un rigoroso controllo del sistema delle licenze di costruzione.
Il C. si dimetteva dalla carica nell'ottobre 1892. L'occasione fu data dalla animata discussione che si tenne in Consiglio comunale sul problema del contributo che la città di Roma doveva dare per l'Esposizione nazionale in preparazione per il 1895. Il C., in Consiglio, si dichiarava disposto a che il comune concedesse l'arca per l'Esposizione, ma si pronunciò contro ogni altro tipo di partecipazione, anche finanziaria, come era stato richiesto dal Comitato promotore presieduto da G. Baccelli, almeno fino a quando non si fosse discusso il bilancio comunale. Di fronte alle opposizioni sollevate in Consiglio presentò le sue dimissioni: vuoi che egli vedesse, nella proposta del Baccelli, incrinata la sua opera di risanamento finanziario, vuoi che con le imminenti elezioni per il parziale rinnovo del Consiglio fosse emerso un accordo su uomini a lui poco accetti, mantenne il suo proposito, presentandosi candidato alla Camera, nel collegio di Fermo, e rendendo così incompatibile la sua conferma a sindaco.
Delle stesse doti di equilibrio, nel mediare i contrasti di natura politica con una rigorosa gestione amministrativa, dimostrate in questo biennio di amministrazione capitolina, il C. aveva già dato un'altra prova assumendo nel 1879 la presidenza della Società geografica italiana. Successe in questa carica a C. Correnti, che ne era stato il fondatore e che aveva presentato le sue dimissioni a seguito di accese polemiche, i cui echi si erano fatti sentire anche in Parlamento, sulla conduzione della Società, e in particolare sull'appoggio che questa aveva dato alla missione di esplorazione nell'Africa orientale, i cui intendimenti si erano poi mostrati dettati, più che da finalità scientifiche, da interessi coloniali. Il C., che tenne la carica di presidente fino al 1887, procedette alla riforma degli statuti della Società, garantendone il carattere scientifico e sviluppandone l'attività, tra l'altro, con l'avvio della pubblicazione del primo atlante nazionale e con la promozione dell'insegnamento delle materie geografiche nelle scuole primarie e secondarie. Nel 1881 organizzò inoltre a Venezia il III Congresso internazionale di geografia, affiancandovi una grande mostra geografica.
Nel 1893 Crispi gli offriva il portafoglio degli Esteri, che il C. subito rifiutava. Crispi, nella delicata congiuntura diplomatica in cui si trovava l'Italia, aveva interesse a includere nel suo nuovo gabinetto un ministro degli Esteri che, per prestigio personale e per passato politico, fosse in grado di ristabilire rapporti amichevoli con Parigi e sviluppare le relazioni diplomatiche con l'Inghilterra, dato lo scarso sostegno che la Triplice aveva mostrato di costituire per i progetti italiani di espansione coloniale in Africa. Per questo la scelta cadde inizialmente sul C., la cui opposizione verso "la nostra dispendiosa e infeconda avventura africana" (Aimiei amici del collegio di Fermo, Roma 14 apr. 1895) era tuttavia troppo netta per potersi conciliare interamente con le vedute crispine. Come, in occasione delle elezioni del 1895, egli stesso ebbe a dire, aveva sempre mantenuto in Parlamento verso il presidente del Consiglio "una benevola attitudine" specie per la fermezza mostrata da questo nel ristabilire "il rispetto alla legge e agli ordinamenti sociali laddove occorreva" (ibid.). Il C. era passato poi risolutamente all'opposizione quando, nel gennaio del 1895, Crispi aveva fatto chiudere il Parlamento con decreto regio. A ciò si aggiungeva, con l'approssimarsi della crisi di Adua, il dissenso per la "follia" africana.
Quando, all'indomani della sconfitta di Adua, il Rudinì si apprestò a costituire il suo nuovo governo, il C. vi assunse (10 marzo 1896) la carica di ministro degli Esteri. Egli si adoperò subito a ristabilire migliori rapporti diplomatici con la Francia, con cui, del resto, era aperta una controversia diplomatica di rilievo, avendo questa nell'agosto 1895 denunciato il trattato commerciale del 1868 tra l'Italia e Tunisi, dal quale dipendeva la posizione privilegiata dei coloni italiani in Tunisia. Attorno al problema dell'accordo italofrancese sulla Tunisia ruotavano tutti i punti di frizione, che avevano diviso nel ventennio precedente la diplomazia francese da quella italiana. In primo luogo l'interpretazione della Triplice: il C., intervenendo alla Camera nel luglio dello stesso anno, affermava come "la Triplice alleanza, patto di reciproca fedeltà punto non esclude, ed implica anzi che i singoli alleati abbiano a mettersi in buoni e cordiali rapporti con ogni altra potenza" e in particolare doveva consentire a ristabilire con la Francia un legame di "mutua simpatia e benevolenza" (Attiparlamentari, Camera, Discussioni, XIXlegisl., tornata del 1º luglio 1896).
Questa interpretazione della Triplice doveva costituire anche il presupposto di un più sostanziale avvicinamento con la Gran Bretagna, da cui si aspettava un intervento nella questione africana che alleggerisse la pressione militare sulle posizioni difensive italiane, come in parte avvenne per l'offensiva inglese nel Sudan, e un intervento diplomatico sulla Francia per la questione tunisina.
In realtà, proprio sulla questione africana le idee del C. e del Rudinì non coincidevano interamente. Il programma africano di quest'ultimo mirava essenzialmente a ottenere una pace onorevole e implicava la rinunzia a ogni futura conquista, adottando una linea intermedia tra le sollecitazioni dei sostenitori di Crispi, che chiedevano una completa riscossa, e l'evacuazione totale, chiesta dall'estrema Sinistra. Il C., anche se non era per l'abbandono totale dell'Eritrea, tuttavia puntava a un ribaltamento più incisivo della politica crispina, anche in termini di opinione pubblica, e per questo aveva preso, nell'aprile, alla riapertura della Camera, l'iniziativa della pubblicazione d'un Libro verde, che raccoglieva, in quattro fascicoli, unampia documentazione delle vicende politiche, diplomatiche e militari che avevano preceduto e accompagnato la disfatta di Adua. La pubblicazione del Libro verde sollevò naturalmente un vespaio di polemiche e andò incontro alla disapprovazione non solo dell'opposizione parlamentare e della stampa crispina, ma anche degli ambienti della corte, a cui il C. era stato sempre legato, poco inclini a veder gettar ombra sull'esercito, donde il giudizio negativo anche del re, che nell'occasione avrebbe dichiarato: "Caetani, ecco uno che non è riuscito, non l'avrei creduto così dappoco" (Farini, II, p. 998). Il tema dell'esercito divideva del resto il governo anche in relazione al problema urgente della ristrutturazione del bilancio finanziario che il re non voleva comportasse alcuna riduzione delle spese militari. Il Rudinì procedette allora (fine luglio 1896) ad un rapido rimpasto che vide il C. rimpiazzato dal Visconti Venosta.
La breve permanenza del C. al ministero non permette una valutazione della sua opera; tuttavia, specie riguardo al mutamento di rapporti con Francia e Inghilterra e alla trattativa per l'accordo tunisino, questa dovette essere apprezzata, se ancora nel settembre del 1896 egli veniva incaricato da Visconti Venosta di una missione diplomatica a Londra presso lord Salisbury. Ma con il 1896 il C. esce di fatto dalla scena politica, anche se rimarrà alla Camera (ricoprendone anche la carica di vicepresidente) fino al 1911, quando verrà nominato senatore.
Si dedicò allora prevalentemente a quell'attività di relazioni mondane e culturali che erano congeniali alla sua tradizione familiare. Appassionato cultore della musica, amico di Wagner e di Liszt, fu anche presidente dell'Accademia filarmonica romana. Morì a Roma, il 2sett. 1917.
Fonti e Bibl.: Necrologi, in IlMessaggero, 9 sett. 1917; Il Giornale d'Italia, 3 sett. 1917; Roma, Archivio Caetani, Misc. 1250/1274; 1251-1275; 1252/1276(lettere al figlio Gelasio); Roma, Museo centrale del Risorgimento (alcune lettere del C.: v. schedario); Atti parlamentari, Camera, Discussioni, legisl. XI-XII, XIV-XX; ad Indices; Senato, Discussioni, legisl. XXI-XXIV, ad Indices; Sommario degli Atti del Comune di Roma, a cura di E. Arbib, Roma 1895, pp. 40 ss., 73 s., 103 s., 145 ss., 363 s.; I documenti diplomatici italiani, s. 3, I-III, Roma 1953-1962, ad Indices;D. Farini, Diario di fine secolo, a cura di E. Morelli, I-II, Roma 1961-62, ad Indicem; S.Cilibrizzi, Storia parlam., polit. e diplom. d'Italia. Da Novara a Vittorio Veneto, II, Roma 1925, pp. 3, 12-15, 24, 26, 36, 38, 58;G. Dalla Vedova, La Società geografica italiana e l'opera sua nel sec. XIX, Roma 1904, pp. 39-47;Id., Don O. C., in Boll.della R. Soc. geogr. it., s. 5, LIV (1917), pp. 610-613; B. Croce, Storia d'Italia dal 1871 al 1915, Bari 1943, pp. 210, 212;A. Caracciolo, Roma capitale dal Risorgimento alla crisi dello Stato liberale, Roma 1956, pp. 142, 194 s., 203, 211, 213, 269 s.;G. Carocci, A. Depretis e la politica interna italiana dal 1876 al 1887, Torino 1956, pp.288, 439;E. Serra, L'accordo italo-francese del 1896 sulla Tunisia, in Riv. stor. ital., LXXIII (1961), pp. 471-490, 496.