CAETANI, Onorato
Primogenito di Bonifacio, signore di Sermoneta, e di Caterina Pio di Savoia, nacque, quarto di questo nome, nell'anno 1542. Venne educato a Roma sotto la sorveglianza dello zio paterno, il cardinale Nicola Caetani, e già nel 1557 fu deciso tra la sua famiglia e l'altra potente casata romana dei Colonna il suo matrimonio con Agnesina Colonna, sorella di Marcantonio: i capitoli matrimoniali furono firmati in Napoli il 26 luglio 1558 e le nozze ebbero luogo nel 1560.
Al matrimonio i Caetani attribuivano grande importanza, non soltanto per la cospicua dote della sposa (33.000 ducati), ma soprattutto perché speravano da esso una soddisfacente soluzione della annosa rivalità con i Colonna, con i quali avevano da lungo tempo in sospeso varie questioni relative alle rispettive prerogative feudali. Legato da molti anni al partito francese, del quale anche il padre suo Camillo era stato un attivo esponente nello Stato ecclesiastico e che il fratello cardinale allora rappresentava nel Sacro Collegio, Bonifacio ritenne anche di dover chiedere l'approvazione del re di Francia a questo legame matrimoniale, e il sovrano diede calorosamente il suo consenso, poiché sperava che la nuova parentela con i suoi antichi sostenitori avrebbe indotto Marcantonio Colonna ad allontanarsi dal partito spagnolo.
In realtà finì per accadere il contrario, sia perché le speranze che i Caetani avevano a lungo nutrito nel favore della corte di Parigi andarono largamente deluse, sia perché il giovane C. subì sin dal principio l'influenza del più anziano e prestigioso cognato, legandosi durevolmente alle sue inclinazioni politiche e alle sue fortune militari.
Così, quando nel 1570 Marcantonio Colonna fu designato al comando della flotta ispano-pontificia, che in seguito al faticoso accordo raggiunto tra Pio V e Filippo II avrebbe dovuto, di concerto con la flotta veneta, portare soccorso all'isola di Cipro assalita dai Turchi, il C. decise di seguire il cognato nella spedizione, sebbene a questa iniziativa si opponessero ugualmente il padre e lo zio Nicola le resistenze dei quali - probabilmente determinate dalla ostilità francese all'avvicinamento tra il papa e la Spagna - furono vinte soltanto dall'intervento del cardinale Alessandro Farnese.
Non si hanno notizie sulla partecipazione del C. alla infelice spedizione, compromessa sin dal principio dalla tattica rinviante di Gian Andrea Doria. Egli rimase sempre, comunque, al fianco di suo cognato, sino a quando la squadra della lega si dissolse senza aver potuto recare alcun effettivo aiuto all'isola, e poi durante il fortunoso viaggio di ritorno della squadra pontificia, decimata dalle tempeste. In ogni modo l'episodio dovette rinsaldare i legami tra il Colonna ed il C., al quale quest'ultimo dovette l'anno successivo, nella nuova spedizione che si concluse con la vittoria di Lepanto, la carica effettiva di capitano generale della fanteria pontificia. Ufficialmente, invece, la carica, promessa dal papa al C. su richiesta di Marcantonio Colonna, gli venne contestata dalle mene del nipote di Pio V, il giovane e inetto Michele Bonelli che. con l'appoggio di alcuni personaggi di Curia ostili al Colonna, non nascondeva le proprie aspirazioni a quell'ufficio militare. Il Bonelli giunse persino a ostacolare il reclutamento condotto dal C. nello Stato pontificio, ma non poté impedire che durante la spedizione il suo rivale esercitasse di fatto il comando.
Alla battaglia di Lepanto il C. partecipò a bordo della galera "La Grifona", la prima nave cristiana venuta in contatto con i Turchi, essendo subito stato attaccato dalle galere del governatore di Valona, Kara Khodja e dall'altro famoso corsaro Kara Djali. L'esito dello scontro fu fortunato per il giovane con dottiero pontificio, che riuscì a impadronirsi di entrambe le galere avversarie. Meno brillante fu il ritorno, poiché a Napoli il C. congedò le milizie pontificie senza gratificarle, come esse si attendevano: non pare tuttavia che egli fosse responsabile dell'episodio, che gli fu spesso rimproverato, poiché ai suoi accorati appelli in proposito fu la Camera apostolica a opporre il più indifferente silenzio. Tornato a Sermoneta, il C. diede subito inizio alla costruzione della chiesa di S. Maria della Vittoria, in adempimento di un voto fatto durante la battaglia di Lepanto, ma i lavori dovettero procedere con una lentezza più proporzionata alle strettezze economiche della famiglia che non agli entusiasmi gratulatori del C., poiché la costruzione della chiesa fu terminata solo un trentennio dopo.
Le manovre del Bonelli contro il C. culminarono nella primavera del 1572, mentre ci si preparava a una terza spedizione della lega cristiana contro il Turco - non avvenuta poi per la defezione della Repubblica di Venezia - con la concessione ufficiale della carica e del titolo di generale delle fanterie pontificie al nipote del papa (tuttavia polemicamente tale titolo era riferito al C. nella bolla di Sisto V del 23 ott. 1586, con la quale la signoria di Sermoneta fu elevata a ducato).
La delusione indusse il C. ad abbandonare il servizio pontificio per passare a quello spagnolo: la sua domanda fu favorevolmente accolta da Filippo II, che gli attribuì il comando di una galera della squadra di Sicilia con una pensione annua di 1.500 scudi. Così veniva sancito esplicitamente il passaggio della famiglia Caetani dal servizio francese a quello spagnolo, poiché nel conclave seguito di lì a poco per la morte di Pio V il cardinale Nicola Caetani emulava il nipote sostenendo sino all'elezione il candidato di Filippo II, il cardinale Boncompagni. La gratitudine di Gregorio XIII per il cardinale di Sermoneta si espresse, lo stesso 13 maggio 1572, giorno dell'elezione, con la concessione al C. delle cariche di governatore di Borgo e di capitano generale della guardia pontificia; il C. fu naturalmente costretto a rinunziare al comando della galera siciliana, ma Filippo II gli conservò la pensione, anche questa in omaggio all'opera svolta in conclave dal cardinale di Sermoneta.
Alla morte del padre, nel 1574, il C. ne ereditò la successione; di fatto la direzione della famiglia rimase nelle mani del vecchio cardinale e il C. ebbe tutti i vantaggi e gli svantaggi degli alterni rapporti dello zio con Gregorio XIII, che finì col privare il C. delle sue cariche e di vari benefici. Morti pressoché contemporaneamente il cardinale Nicola e papa Boncompagni nel 1585, le fortune del C. ebbero una nuova ripresa con l'elezione di Sisto V. Questi fu infatti prodigo di favori per la famiglia Caetani, probabilmente in ricordo della sua vecchia amicizia con Nicola: il posto di questo nel collegio cardinalizio fu infatti conservato ai Caetani con l'elezione di un fratello del C., Enrico; e, per quanto riguardava lo stesso C., il papa soddisfece a quella che era una antica aspirazione dei signori di Sermoneta, elevando questo feudo alla dignità di ducato con bolla del 23 ott. 1586. Pare che con questa concessione Sisto V intendesse anche sollecitare la partecipazione del C. ai grandiosi progetti di bonifica della Pontina che costituirono uno dei motivicentrali del pontificato.
Con la nuova dignità si apre anche per il C. la possibilità di stabilire su nuove e più prestigiose basi la devozione della sua casa a Filippo II. Nel gennaio 1587 egli si recò a Madrid, accompagnato dal figlio Gregorio, e soprattutto da cospicue somme di denaro che gli consentirono l'indispensabile sfarzo nella sua permanenza alla corte; Filippo II gli concesse udienza l'8 febbraio. Il C. poté dichiararsi pienamente ripagato dei 40.000 scudi che gli costò l'iniziativa, poiché il sovrano, in nome delle gesta del C. a Lepanto, ma soprattutto per l'utilità di conservarsi la devozione di una tra le più antiche famiglie del patriziato romano, gli concesse l'Ordine del Toson d'oro, una dignità goduta a quel tempo in Roma soltanto da Marcantonio Colonna.
Il momento particolarmente felice attraversato dalla famiglia Caetani sembrò coronato dalla concessione al cardinale Enrico della carica di camerlengo, di responsabile, cioè, delle finanze pontificie. Alla somma richiesta dal pontefice, 50.000 scudi, il cardinale ed i suoi fratelli concorsero con denari presi in prestito dalle banche e dal cardinale Alessandro Farnese. Così la situazione economica della famiglia, già compromessa dalla fastosa permanenza del primogenito alla corte spagnola, diveniva di notevole gravità: in realtà il C. e i suoi fratelli dovettero rite - nere che l'esercizio del camerlengato avrebbe potuto magicamente risanare le finanze familiari, come, del resto, era nelle tradizioni di questa importante carica.
I calcoli dei Caetani avrebbero potuto avere successo se essi non si fossero sentiti più inclinati ad aumentare il prestigio della casa, che sembrava ritornare ai fasti del secolo XIV, che non a risanamela situazione economica. E quando Sisto V, il 24 sett. 1589, designò il cardinale Enrico alla difficile nunziatura di Francia, nel momento di maggior virulenza delle guerre di religione, né il porporato, né i suoi fratelli seppero anteporre le ragioni dell'econonlia familiare alle attrattive di una carica che lusingava il loro orgoglio e le loro ambizioni. Come scriveva al C. il fratello Camillo, patriarca di Alessandria, "questa cosa o darà l'ultimo crollo alla Casa nostra o l'esalterà al cielo" (Caetani, p. 189). In realtà - come si dimostrò nel breve giro di un anno, quanto cioè durò la nunziatura - l'ipotesi pessimistica aveva sin troppo ragione di essere poiché la legazione, con i pericolosi frangenti in cui il cardinale venne a trovarsi e con le spese spropositate alle quali fu costretto, si tradusse in un carico insostenibile per la famiglia.
Di poco posteriore alla partenza del cardinale Enrico per la Francia, quando ancora, cioè, Sisto V non aveva avuto modo di coinvolgere nella disapprovazione dell'operato del nunzio anche i suoi familiari, fu la visita del pontefice allo Stato dei Caetani, e più particolarmente alle Paludi pontine che avrebbero dovuto essere al centro dell'opera di risanamento progettata dal papa. In questa medesima occasione il papa rinnovò al C. le proprie buone disposizioni nei riguardi della famiglia di Sermoneta, dichiarando esplicitamente che "voleva farla ricca" (ibid., p. 202).
Ma questi buoni propositi non durarono a lungo, poiché il dissidio scoppiato tra il pontefice e il suo legato in Francia, colpevole di troppe iniziative personali e in particolare di un atteggiamento di troppo rigido appoggio alla lega - mentre il papa andava sempre più inclinando a un tentativo di accordo con Enrico di Navarra - compromisero il favore di cui sino allora i Caetani avevano goduto alla corte pontificia.
La decisione di Sisto V di sospendere il pagamento dell'assegno mensile al nunzio e di rifiutargli ogni somma necessaria alla sua missione - una decisione che di fatto esautorava il legato, anche se al provvedimento formale non si arrivò per l'opposizione del collegio dei cardinali - ridusse ben presto il C. alla completa rovina: egli scriveva infatti, nel gennaio del 1590, al fratello Enrico: "la Casa sta in termini che non si può sperare sollevazione, se non che Nostro Signore Dio lo faccia miracolosamente, e bisognerà per necessità risolversi, o vendere una parte dello stato, ovvero l'offizio del Camerlengato, che li debiti già arrivano alli 300.000, e semo nel principio; né bisognerà sperare, né far conto, se non nel nostro… e alla fine dubito infinitamente che la memoria che lassaremo di noi sarà di aver annichilata la Casa nostra" (Lettere di O. C., p. 228).
In questi frangenti Sisto V minacciava di rifarsi delle spese compiute in Francia in suo nome dal legato sui benefici ecclesiastici di lui e rimettendo in vendita la carica di camerlengo cui i Caetani pensavano come all'ultima risorsa; non soltanto, ma dimostrava tutto il suo risentimento verso i congiunti dell'infelice nunzio ingiungendo al patriarca di Alessandria, colpevole di aver espresso solidarietà con la politica del fratello, di trattenersi agli arresti in casa sotto penadi una ammenda di 10.000 scudi, e costringendo lo stesso C. a restarsene nei suoi feudi, fuori di portata dal pontefice terribile.
L'atteggiamento del papa verso i suoi antichi protetti apparve così poco equanime che quando, con grande sollievo del C. e dei suoi fratelli, Sisto V morì, il collegio dei cardinali decise alcune misure riparatrici: mentre infatti, il nunzio in Francia veniva onorevolmente richiamato in Roma con una esplicita approvazione del suo operato e si disponeva il pagamento in suo favore degli assegni sospesi da Sisto V e di una somma di 25.000 scudi, a parziale restituzione delle spese sostenute per la legazione, il duca di Sermoneta, su proposta del cardinale di Montalto, fu affiancato al capitano generale delle truppe pontificie, il pronipote di Sisto V Michele Peretti, con la carica di luogotenente generale ed il compito di arruolare 2.000 uomini di fanteria per il mantenimento dell'ordine e la difesa di Roma in tempo di sede vacante, una carica che era ancora sua durante i tre conclavi per l'elezione di Gregorio XIV, di Innocenzo IX e di Clemente VIII. Così il C. riprendeva dignitosamente il proprio posto alla corte pontificia, confortato negli ultimi anni della sua vita da un più equilibrato contegno dei successori di Sisto V - del resto troppo brevemente regnanti - verso la famiglia Caetani, privo certamente delle grandi effusioni di Gregorio XIII e di papa Peretti, ma altrettanto alieno dai loro rovinosi cambiamenti di umore.
Nonostante lo stato di grave disagio economico, o forse proprio perché, con l'esercizio del camerlengato finalmente ripreso dal cardinale Enrico, le cariche ed i benefici ecclesiastici costituivano ormai la principale risorsa per le finanze esauste della famiglia, il C. ed i suoi fratelli si impegnarono per quanto potevano nel procacciare nuove cariche ecclesiastiche a se stessi ed ai loro congiunti, anche se queste comportavano, almeno all'inizio, nuovi gravosi impegni economici, per far fronte alle spese di rappresentanza: così Camillo dovette anche all'assiduo prodigarsi del C. ed alle sue relazioni con la corte spagnola dapprima la nunziatura di Germania e poi soprattutto quella di Madrid, ritenuta la più importante del tempo non soltanto politicamente, ma anche perché prometteva le più cospicue pensioni, un vero "boccone da bolognesi", come si esprimeva lo stesso Camillo (ibid., p.263).
Quanto al C., egli è ricordato ancora nell'esercizio di una funzione pubblica nel 1591, allorché, insieme con Virginio Orsini e con Carlo Spinelli, capeggiava una spedizione contro i briganti dello Stato ecclesiastico, conclusa però senza alcun soddisfacente risultato.
Morì in Roma di "febbre maligna" il 9 nov. 1592 e fu sepolto in S. Maria della Vittoria a Sermoneta.
Torquato Tasso, che fu in buone relazioni con due figli del C., Antonio e Bonifacio, ricorda il duca di Sermoneta nel canto XX, strofa 131, della Gerusalemme conquistata.
Dal suo matrimonio con Agnesina Colonna, morta nel 1578, il C. ebbe otto figli, tutti maschi: Pietro; Antonio; Benedetto, che ebbe vari benefici ecclesiastici minori, accompagnò lo zio Camillo nella nunziatura di Germania ed in quella di Spagna, qui studiando all'università di Alcalá, protetto da Filippo II che sembrava riservargli "la maggior ventura che possi haver italiano in questa corte" (Caetani, p. 294), ma morto precocemente in Alcalá il 18 ott. 1596;Bonifacio; Ruggero, capitano nell'esercito spagnolo in Fiandra ed in Francia, cavaliere dell'Ordine di Alcantara, morto a Barcellona nel dicembre del 1602 o nel gennaio successivo; Filippo; Gregorio, cavaliere dell'Ordine gerosolimitano, morto a Firenze nel 1592.
Fonti e Bibl.: G. F. Peranda, Lettere, Venezia 1601, passim; Lettere di O. C. capitano generale delle fanterie pontificie nella battaglia di Leanto, a cura di G. B. Carinci, Roma 1893; Archivo general de Simancas, Catalogo XXIII, Papeles de Estado, Milan y Saboya (siglo XVI y XVII), a cura di R. Magdaleno, Valladolid 1961, p. 185; A. Guglielmotti, Marcantanio Colonna alla battaglia di Lepanto, Firenze 1862, ad Indicem;P. Pantanelli, Not. istoriche… appartenenti alla terra di Sormoneta, Roma 1911; L. von Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1929, pp. 560, 567; X, ibid. 1928, p. 505; A. Salimei, GliItaliani a Lepanto, Roma 1931, pp. 78, 105; G. Caetani, Domus Caietana, II, San Casciano Val di Pesa 1933, ad Indicem.