CAETANI, Onorato
Figlio primogenito di Nicola, conte di Fondi, e di Giacoma Orsini, nacque verso il 1336. Morto Nicola intorno al 1348, il C. ereditò la contea di Fondi che gli fu confermata nel 1352 da Giovanna I. Da questa data egli riprese la politica espansionistica della sua famiglia, cercando di estendere i propri domini non solo nel Regno, ma anche nelle vicine regioni meridionali dello Stato pontificio. Nel 1356 circa riuscì a sottomettere Anagni e Sezze, mentre nel 1360 raggiunse un accordo con altri rami della famiglia Caetani che gli riconobbero le proprietà conquistate. La sua potenza non si basava soltanto sui propri domini ma anche sui suoi legami familiari. Il C. aveva sposato Caterina del Balzo sorella di Francesco, cognato di Luigi di Taranto; e una sorella del C. aveva sposato Stefanello Colonna.
La politica del C. preoccupava Urbano V che, dopo aver tentato inutilmente prima di limitame le conquiste poi di chiamarlo al servizio della Chiesa, nel 1367 decise di agire in modo fermo contro di lui. Il C. in quell'anno aveva posto l'assedio a Ferentino: il papa lo scomunicò e inviò un esercito contro di lui. Il C. fu costretto a ritirarsi: subito dopo anche Sezze si ribellava al suo dominio, mentre Urbano V scioglieva il popolo di Anagni dall'obbligo di fedeltà.
Siamo informati ben poco circa l'attività svolta dal C. negli anni successivi. Sembra comunque che egli - che aveva riconquistato Sezze - si fosse completamente rappacificato con la S. Sede. Il 19 marzo 1371 infatti il nuovo pontefice Gregorio XI accoglieva le proteste avanzate dal C. e da suo fratello Giacomo circa le vessazioni subite da parte di ufficiali pontifici e incaricava il cardinale d'Estaing di condurre un'inchiesta sulla questione. Inoltre all'inizio della guerra degli Otto santi il pontefice si rivolse anche al C. (3 nov. 1375), tra gli altri baroni fedeli alla S. Sede, per reprimere i disordini scoppiati in numerose città dello Stato pontificio. In seguito fu nominato rettore di Campagna e Marittima; e in tale veste scortò il papa in occasione del suo solenne ritorno a Roma il 17 genn. 1377. Gregorio XI lo considerava uno dei baroni più fedeli: il C. prestò alla Camera apostolica ingenti somme e accolse ad Anagni il pontefice quando questi, nel maggio, lasciò Roma turbata da tumulti popolari.
I vincoli di fedeltà che il C. aveva riallacciato con la S. Sede durante il pontificato di Gregorio XI non si mantennero sotto il successore di questo. Il C. che già durante il conclave era stato allontanato da Roma insieme con altri influenti feudatari, fu coinvolto nella politica antinapoletana perseguita da Urbano VI. Il nuovo pontefice, nel maggio 1378, lo privava del titolo di rettore di Campagna e Marittima e rifiutò la restituzione del debito contratto col C. da Gregorio XI per il motivo che il conte aveva utilizzato quelle somme per fini personali e non per il vantaggio della Chiesa di Roma. Non ci meravigliamo quindi se il C. accolse sotto la sua protezione, ad Anagni, i cardinali che si opponevano a Urbano VI: essi lo ringraziarono nella nota enciclica Urget nos del 9 agosto. Il 27 agosto, poi, il Sacro Collegio ribelle si trasferì a Fondi, protetto dalle truppe del C. e dai Bretoni di Bernard de La Salle, per il conclave da cui fu eletto Roberto di Ginevra che prese il nome di Clemente VII.
E nel palazzo del C., a Fondi, Clemente pose la sua residenza. Il 31 ottobre fu il C. a incoronarlo papain virtù di uno speciale privilegio concessogli. Clemente gli restituì il rettorato di Campagna e Marittima e il 22 novembre lo investì anche dei feudi di Sennoneta e Bassiano concedendogli, per tutte le sue terre, la successione per linea femminile dato che, proprio in quell'anno, era morto Cristoforo, suo unico figlio maschio (la figlia Bella sposerà, nel gennaio 1379, Baldassare di Brunswick, cognato di Giovanna I).
Fin dal 29 novembre Urbano VI aveva colpito con pene spirituali questo "iniquitatis filius" che Caterina da Siena inutilmente cercava di riportare all'obbedienza romana. Nel corso dell'inverno il C. prese parte alle operazioni con le quali i clementini cercarono di occupare Roma. Dopo le sconfitte da questi subite a Carpineto e a Marino, l'8 maggio 1379 Clemente VII versava al C. una somma di circa 2.000 fiorini per risarcirlo delle spese sostenute nella sfortunata impresa.
Dopo il trasferimento di Clemente ad Avignone, il C. mantenne i contatti col papa. Nell'autunno del 1379, nella Curia avignonese, egli sollecitò aiuti per la regina Giovanna e per se stesso. Il pontefice rispose con larghezza: oltre a ricchi doni personali, consegnò al C. 20.000 fiorini per le sue operazioni militari e una lettera di cambio di altri 15.000 da far pervenire alla regina; infine ampliò i domini del C. concedendogli alcune terre nella zona di Gaeta, confiscate all'abbazia di Montecassino (di obbedienza urbanista).
Mentre si preparava la spedizione di Luigi d'Angiò, che la regina era sul punto di adottare, il C. tornò ad occuparsi delle sue terre. Sua moglie Caterina del Balzo aveva cercato con energia, in sua assenza, d'assicurargli basi a Sezze e a Velletri, in vista della lotta contro i Caetani palatini per il possesso di Ninfa. Nel luglio 1380 il C. li sconfiggeva: Ninfa non si sarebbe mai più risollevata dalla rovina portatale dalla guerra, mentre i vinti si rivolgevano a Urbano VI per chiedere un aiuto militare.
In questo momento il C. era giunto al culmine della sua potenza. L'erezione presso Formia, intorno al 1380, della fortezza di Castellonorato, i lavori di risanamento intrapresi per suo ordine nelle regioni paludose e le distribuzioni di terre ai contadini contribuirono a creare intorno al suo nome un'aureola di leggenda. Ma l'invasione del Regno da parte di Carlo di Durazzo, iniziata nel 1381, doveva segnare l'inizio della sua decadenza politica.
Urbano VI, prima di incoronare re di Napoli Carlo III di Durazzo, gli aveva concesso il titolo di rettore di Campagna e Marittima: era chiara rintenzione del papa di colpire in primo luogo il Caetani. E in effetti Carlo di Durazzo, appena conquistata Napoli, catturò Baldassare di Brunswick, genero del C., lo fece accecare e poi lo lasciò morire miseramente. Il C., privo di eredi diretti, combatteva oramai per sé solo mentre suo fratello Giacomo passava al servizio di Carlo per conquistare Fondi. Inoltre, verso la fine del 1381 Velletri si ribellò e cacciò i mercenari bretoni del C. e, ad Alatri, gli agenti di Urbano VI rendevano pubbliche le sentenze del papa contro di lui.
Ma il C. non cedette: l'osservatore mantovano Cristoforo da Piacenza scriveva, nel dicembre 1381, di non credere a una rapida soluzione del conflitto. Eppure il C. fu tanto abile da firmare allora la pace, se non con il papa, almeno con il Comune di Roma: "Tale trattato pose fine al periodo più attivo e prospero del suo operato… Egli teneva solidamente in suo potere l'intera Marittima e, nella Campagna, Anagni e alcuni tra i più importanti castelli: Fumone, Frosinone, Ceccano" (Falco). Nello stesso tempo cominciarono a circolare voci su una presunta sottomissione del C. a Urbano VI, tanto che Clemente VII sentì il bisogno di smentirle confermando al C. (8 maggio 1383) tutte le concessioni precedenti. D'altronde il C., con grande lealtà, portò il suo aiuto a Luigi I d'Angiò quando costui cercò di conquistare il Regno: Carlo di Durazzo lo condannò in contumacia. Nel settembre 1384 Luigi I, alla vigilia della morte, incluse il C. tra i suoi esecutori testamentari: segno evidente della sua riconoscenza per i servizi resi negli ultimi due anni dal C. alla causa di Avignone.
Nel corso della successiva guerra tra i partigiani di Luigi II d'Angiò e di Ladislao di Durazzo, la fedeltà del C. alla stessa causa non venne meno. Nell'ottobre del 1389 Urbano VI moriva. Il suo successore, Bonifacio IX, dopo avere all'inizio rinnovato le condanne del suo predecessore, ritenne in seguito opportuno di adottare una politica più duttile. E per facilitare le trattative progettate tra le due obbedienze, nel 1390 il C. firmò una tregua col nuovo pontefice romano, tregua che fu in seguito più volte rinnovata. Egli si mantenne però fedele sostenitore di Clemente VII, poi di Benedetto XIII, come testimomano parecchi atti della Curia avignonese. Quando alcuni emissari di questa vennero nell'estate del 1396 per incontrare l'"intruso", fu il C. che li accolse a Terracina e li scortò sulla strada per Roma, dopo una sosta al castello di Marino, che aveva acquistato nel 1385. In tale occasione Benedetto XIII gli offrì una coppa di madreperla montata in oro, ornata di perle e di pietre preziose.
Il C., peraltro, non cessava di tramare contro il pontefice romano. A partire dal 1395 egli cominciò a scorrere la campagna romana mentre suoi complici, in numero sempre maggiore, congiuravano a Roma. L'operazione, segretamente coordinata da Benedetto XIII e dal re di Aragona, era volta a costringere Bonifacio IX alla fuga, per sostituirlo con il pontefice avignonese. Preparato con mezzi probabilmente insufficienti, l'attacco portato contro Trastevere nell'inverno 1396-97 fallì. Ciononostante Bonifacio IX acconsentì ancora una volta a rinnovare la tregua; né la sconfitta pose fine alla congiura diretta dal Caetani. Questa volta, però, il complotto fu sventato in tempo, e un certo numero di personaggi romani di secondo piano furono giustiziati. In un primo tempo il C. parve sfuggire alle rappresaglie; ma in seguito il pontefice non rinnovò la tregua e aprì un processo contro di lui, che si concluse con la scomunica maggiore (2 maggio 1399). Ben presto fu indetta una crociata contro il C.; tra altri, Montecassino fu esentata dal pagamento delle decime a condizione di devolverne l'ammontare alla lotta e il re Ladislao, vassallo della Chiesa, fu invitato ad attaccare da sud, contemporaneamente alle truppe papali, il C. che, da vent'anni, si era schierato tra i peggiori nemici della sua famiglia.
Il C. era ormai solo: alla perdita del figlio, del genero e della sorella si era aggiunta, nel gennaio 1398, quella della moglie; i suoi parenti lo detestavano; taluni dei suoi famigliari erano passati al servizio dei suoi nemici, mentre i suoi alleati lo abbandonavano uno dopo l'altro. Bonifacio IX conferì al cardinale Fieschi, alla fine del 1399, il vicariato su tutti i territori del C.; all'inizio del 1400 il cardinale si mise alla testa delle truppe con Andrea Tomacelli, fratello del papa, mentre Ladislao investiva prima Traetto e quindi Fondi. Già molte località erano cadute: Anagni, ripresa (maggio 1399) da Giordano Colonna, poi Sezze e Cisterna. Invano, il 15 genn. 1400, il C. tentò un ultimo disperato assalto contro Roma, da porta del Popolo; trentuno assalitori, catturati, furono impiccati.
Al C. non restava ormai che sottomettersi. Il 23 marzo Bonifacio IX gli fece sapere di aspettare una capitolazione senza condizioni; un mese più tardi (20 aprile) un attacco di apoplessia uccise in poche ore il conte di Fondi. Una delle sue ultime fortezze, Terracina, si arrese in giugno. Così buona parte del Lazio si trovò "pacificata" nel momento in cui i pellegrini vi affluivano per il giubileo della fine del secolo.
Fonti e Bibl.: Regesta chartarum, a cura di G. Caetani, II, San Casciano Val di Pesa 1927, ad Indicem;III, ibid. 1928, ad Indicem;N. Valois, La France et le grand Schisme d'Occident, Paris 1896, I, pp. 13, 16-17, 71, 87, 149-50, 156-57, 159-60, 164, 166, 173, 179-80, 191, 234, 318; II, pp. 13, 52, 64 s., 83, 160; E. Baluze, Vitae paparum avenionensium, a cura di G. Mollat, I, Paris 1914, ad Indicem;II, ibid. 1927, ad Indicem;G. Caetani, Caietanorum genealogia, Perugia 1920, ad Indicem;L. von Pastor, Storia dei papi, I, Roma 1925, pp. 116 s.; G. Falco, I Comuni della Campagna e della Marittima nel Medio Evo, in Arch. della R. Soc. rom. di storia patria, XLIX (1926), pp. 259-282; G. Caetani, Domus Caietana, I, San Casciano Val di Pesa 1927, ad Indicem;L. Ermini, O. I C., conte di Fondi, e lo Scisma d'Occidente, Roma 1938 (con ulter. indicazione di fonti e di bibl. e con una appendice di documenti); A. Natale, La felice società dei balestrieri e dei pavesati a Roma…, in Arch. della R. Soc. rom. di storia patria, LXII (1939), pp. 71, 83, 108 s., 113-115; E. R. Labande, Rinaldo Orsini, comte de Tagliacozzo († 1390), et les premières guerres suscitées en Italie centrale par le grand Schisme, Monaco-Paris 1939, pp. 26, 28, 30, 36, 48 s., 60, 81, 129 s., 135, 175, 237 s.; O. Prerovsky, L'elezione di Urbano VI e l'insorgere dello Scisma in Occidente, in Misc. della Soc. romana di storia patria, XX, Roma 1960, pp. 101-102, 154, 169, 190 (con ulteriori indicazioni di fonti).