Ramo della linguistica che studia, all’interno di una o più lingue o dialetti, il sistema dei nomi propri, i processi di denominazione e le loro caratteristiche. I nomi propri, infatti, presentano problemi diversi dalle altre parole in quanto, perduto il loro valore originario di appellativo, restano isolati da tutto il rimanente materiale lessicale della propria lingua, così che a volte presentano caratteri di estrema conservatività e arcaicità. L’o., le cui basi storiche e scientifiche furono poste verso la metà del 19° sec., si suddivide, a seconda che indaghi i nomi propri di persona o di località, in antroponimia e toponomastica; in senso più ristretto è sinonimo di antroponimia.
La moderna ricerca antropologica, a partire dalle classiche riflessioni di C. Lévi-Strauss, ha fatto propria l’idea che ogni sistema antroponimico ha lo scopo di individuare e di classificare tanto le persone cui il nome è attribuito, quanto chi attribuisce il nome. Uno specifico settore degli studi antropologici, particolarmente interessato alle società europee, ha inoltre indagato sui rapporti tra meccanismi di attribuzione antroponimica (per es., dare il nome dei nonni ai propri figli, secondo regole variabili e pur sempre precise; oppure la creazione di soprannomi) e costruzione dell’identità individuale e di gruppo.
L’antica Grecia, in origine, conosceva soltanto il nome individuale, imposto nel decimo giorno di vita; ben presto gli si aggiunse il nome del padre in genitivo (frequente, specie nell’epos, un patronimico in -δης o -ίων), e all’occorrenza l’indicazione del luogo d’origine. Presso i Romani il nome intero si compone di tre elementi: il praenomen, nome individuale scelto dai genitori e imposto nel nono o nell’ottavo giorno di vita (dies lustricus), il nomen o gentilizio, nome ereditario della gens, il cognomen, o soprannome, che fu riconosciuto ufficialmente come parte del nome solo al tempo di Silla. I prenomi, che furono sempre in numero assai limitato, venivano abbreviati con l’iniziale puntata (però C.=Gaius; M′=Manius; Ti.=Tiberius); in caso di omonimia s’indicava il prenome del padre e, se necessario, del nonno. I figli adottivi assumevano i tre nomi dell’adottante più un ulteriore cognomen formato con il suffisso -anus dal gentilizio di origine (C. Iulius Caesar Octavianus, figlio di Ottavio e adottato da Gaio Giulio Cesare). Lo schiavo manomesso assumeva il gentilizio del padrone, preceduto da un prenome romano di libera scelta e seguito, con funzione di cognomen, dal nome individuale originario. Successivamente, durante il Basso Impero, sia il prenome sia il gentilizio tendono a sparire, mentre si allarga l’uso del cognomen o di altri nomi (signa o supernomina).
Il cristianesimo diffonde i nomi biblici, in particolare in Oriente e pochissimo in Occidente (Daniele, Geremia), e con il 3° sec. comincia a divulgare i nomi di apostoli o santi (Petrus, Paulus). Verso la fine dell’Impero sopravviene un’ondata di nomi germanici (gotici, longobardi e franchi). Nell’11° sec. in tutta l’Europa cristiana presentano grande diffusione, specialmente in alcune regioni tra cui la Toscana, i nomi augurativi, sul tipo di Benvenuto, Bonagiunta, Durante. Più tardi il patronimico tende a diventare cognome. Il processo d’origine e di fissazione dei cognomi si compie tra il 9° e il 16° sec. nella maggior parte dell’Europa (➔ cognome).