ONOCENTAURI (᾿Ονοκένταυροι; anche ἡ ὀνοκενταῦρα)
La parola traduce, nella versione biblica dei Settanta, gli animali del deserto, sciacalli, menzionati in due passi di Isaia (xiii, 21; xxxiv, 13); gli animali favolosi che il profeta immagina abbiano la loro sede fra le rovine delle due empie città distrutte, Babilonia ed Edom, erano ben noti nella cultura di Israele, che ne impronta la rappresentazione alle più antiche civiltà orientali circostanti. Eliano (Hist. animal., xvii, 9) descrive una creatura fantastica di aspetto femminile nel viso, nel collo, nei lunghi capelli, nelle braccia e nelle mani, mentre i fianchi, il ventre e i piedi posteriori sarebbero di natura asinina. Gli O. ricompaiono poi nei Physiòlogi e nei Bestiari medievali, nei quali spesso simboleggiano, data la loro ibrida natura, il farisaismo eretico, ovvero la condizione umana, per metà spirituale, per metà belluina e dedita alle passioni.
L'unica rappresentazione sicura, giacché è identificata dall'iscrizione honokentayra, di questo essere favoloso, è nel mosaico di età sillana, con scene nilotiche, proveniente dal tempio della Fortuna Primigenia a Palestrina; nella parte superiore del quadro, popolato di animali reali e fantastici (probabilmente alludenti alle remote origini del fiume) è eretta su una roccia la centauressa, passante, con chioma bionda fluente, mammelle umane, corpo asinino; pur seguendo fedelmente la descrizione di Eliano, questa immagine se ne discosta in un particolare, giacché ha due zampe al posto delle braccia umane.
Da notare inoltre che l'accoppiamento di un corpo equino, od asinino che fosse, ad un tronco femminile, ha un precedente già nell'arte greca più antica: un'anfora da Tebe, al Louvre, con Perseo che uccide la Gorgone, mostra l'essere mitico privo dei suoi consueti attributi ofidici; è una vera e propria centauressa, con busto femminile, le quattro zampe e il resto del corpo equini. Seppure l'aspetto di cavallo è qui derivato da una estensione del concetto della nascita di Pegaso dal suo sangue, e quindi da un motivo leggendario specifico, resta il fatto che questo connubio, più inconsueto di quello che dà origine alle figure dei centauri, non era ignoto alla primitiva arte greca.
Bibl.: W. H. Roscher, in Roscher, III, i, 1897-909, c. 914-915, s. v. Onokentauroi; K. Preisendanz, in Pauly-Wissowa, XVIII, 1939, c. 487-491, s. v. Sul mosaico di Palestrina: C. I. G., III, Berlino 1853, pp. 858-9, e fig.; D. S. Pieralisi, Osservazioni sul musaico di Palestrina, Roma 1858, p. 25; G. Gullini, I mosaici di Palestrina, Roma 1956, tavv. I, XXVI (in basso); S. Aurigemma, Il restauro di consolidamento del mosaico Barberini, condotto nel 1952, in rendiconti della Pontificia Accademia Romana di Archeologia, XXX-XXXI, 1957-59, pp. 88-98, figg. 49-50. Sull'anfora beotica: A. De Ridder, Amphores béotiennes à reliefs, in Bull. Corr. Hell., XXII, 1898, p. 449, tavv. IV-V.