omicida [plur. omicide]
Si registra, nel senso proprio di " uccisore del proprio simile ", in If XI 37 omicide, che qui, come pirate di XXVIII 84, compare fuori di rima, mentre eresiarche e idolatre (IX 127, XIX 113) sono in rima: v. Parodi, Lingua 248.
Gli o. nell'Inferno. - D. definisce la colpa degli o. contestualmente a quella dei tiranni e dei predoni, nel c. XI dell'Inferno (Morte per forza e ferute dogliose / nel prossimo si danno, e nel suo avere / ruine, incendi e tollette dannose; / onde omicide e ciascun che mal fiere, / guastatori e predon, tutti tormenta / lo giron primo per diverse schiere, vv. 34-39). Nel primo girone del settimo cerchio appunto li colloca, in una schiera distinta da quella dei tiranni, meno rei di costoro e quindi immersi nel bulicame (come D. chiama il Flegetonte per la sua somiglianza col Bulicame presso Viterbo, If XIV 79) solo fino alla gola o al petto o ai piedi; mentre i tiranni che dier nel sangue e ne l'aver di piglio (XII 105) sono tuffati infino al ciglio, e altri di questi, ancor più colpevoli, totalmente immersi nel profondo del fiume di sangue.
È possibile che D. abbia ripreso tal genere di pena (l'immersione differenziata) dalla Visio Sancti Pauli, dove peraltro il supplizio si applica agl'ignavi (in altre scritture sull'oltretomba ai lussuriosi) e non di un fiume di sangue bollente si tratta, ma di un fiume di fuoco. In proposito il Gmelin osserva che solo nella visione di Carlo il Grosso (sec. X) la pena è applicata ai tiranni. In D. trasparente è il collegamento del sangue del Flegetonte col sangue versato dai tiranni, dagli o. e dai predoni, i quali tutti sono vigilati e anche saettati dai centauri, introdotti dal poeta nel suo oltretomba cristiano in virtù della loro semi-bestiale violenza, degni custodi dei violenti contro il prossimo e le sue cose. Ne deriva un quadro potente e singolare cui conferiscono forza ed evidenza la sanguinosa allusione del Flegetonte e la belluina violenza delle fiere snelle. Degli o. (If XII 115-126), i quali con gli altri peccatori congeneri sono mostrati a D., che nel corso del canto continua a tacere, dal centauro Nesso (che Chirone ha incaricato di far da guida ai due poeti) solo uno è individualmente citato, pur se D. ne riconosca molti altri (v. 123). È Guido di Montfort (v.), di cui peraltro non si fa espressamente il nome, che fesse in grembo a Dio / lo cor che 'n su Tamisi ancor si cola (XII 119-120), che uccise cioè nel 1272, in una chiesa nei pressi di Viterbo, mentre si celebrava la messa (in grembo a Dio), il giovane principe Enrico di Cornovaglia, per vendicare la morte di suo padre Simone, di cui era responsabile Edoardo I re d'Inghilterra congiunto dell'ucciso (cfr. Villani Cron. VII 39). D. cita l'efferato delitto del Montfort per il suo evidente valore paradigmatico: il fatto ebbe amplissima risonanza e colpì in modo straordinario la fantasia popolare, sia per il rango dei personaggi coinvolti, sia per il suo carattere sacrilego, sia per le conseguenze che ne derivarono (la condanna, la scomunica e l'incarceramento del Montfort ad opera di Gregorio X).
Né è forse estraneo allo spicco particolarissimo che il poeta dà all'episodio, sottolineato dall'assenza di altri eventi o personaggi, il fatto che s'inserisca in un contesto politico disapprovato da Dante. Ugo di Montfort era difatti vicario generale in Toscana di Carlo d'Angiò e altresì marito di Margherita Aldobrandeschi contessa di Sovana e padrone, dopo la morte di Ildebrandino il Rosso, del glorioso comitato (v. ALDOBRANDESCHI); strumento quindi della politica antimperiale, della pressura cui erano assoggettati i gentili dell'imperatore, responsabile anch'egli dell'" oscurità " in cui era precipitata la più nobile feudalità italiana (cfr. Pg VI 109 111).
Bibl. - Sulla colpa inerente alla ‛ forza ' e i violenti in generale, v. E. Moore, The classification of Sins, ecc., in Studies in D., II, Oxford 1899; F. D'Ovidio, La topografia morale dell'Inferno, in Studi sulla " D.C. ", I, Caserta 1931 (passim); B. Nardi, Il c. XI dell'Inferno, Roma 1951. Tra le più notevoli letture del c. XII dell'Inferno, v. F. Pellegrini, Firenze 1907; G. Mazzoni, ibid. 1907 (poi in Almae luces malae cruces, Bologna 1941, 221-238); U. Bosco, in Tre letture dantesche, Roma 1942 (poi in Lett. dant. 211-219, e in D. vicino, Caltanissetta-Roma 1966, 237-254); F. Figurelli, in Lect. Scaligera I 393 ss. Su Guido di Montfort, v. G. Ciacci, Gli Aldobrandeschi nella storia e nella D.C., I, Roma 1935.