OMERO
Iconografia. - L'iconografia di O. offre il più importante esempio di ritratto di ricostruzione nell'arte greca, una forma di ritratto che permetteva all'artista, libero da ogni tradizione iconografica precisa, di interpretare e rivivere il personaggio, di fare cioè del soggetto una creazione personale. O. il cantore del mito, era in effetto un mito egli stesso e la tradizione che lo indicava cieco è stata in fondo l'unico elemento determinante dell'iconografia. Non sono molte in realtà le testimonianze relative a ritratti del poeta. Il più antico era in Olimpia, opera di Dionysios di Argo (v.) e faceva parte del donario di Mikythos (Paus., v, 26, 2). Di altre statue una era nel monumento di Teodette sulla via Sacra da Atene ad Eleusi e l'immagine sola di O. si conservava al tempo di Plutarco (Vita dec. Orat., Isocr., 10); di un'altra parla Luciano (Demosth. enc., i, 2) in rapporto con un monumento tolemaico. Una statua di bronzo era a Delfi; ad Io si mostravano anche i monumenti di O. e di sua madre Climene (Paus., x, 24, 2). Altra si trovava nello Zeusippo di Costantinopoli (Cedren., Hist. Compend., 369, i, 648). Di quest'ultima sappiamo che rappresentava il poeta pensieroso, con ampia barba e chioma, gli occhi chiusi; era vestito del tribònion sopra il chitone. Alla stessa immagine si riferisce una lunga èkphrasis di Cristodoro (Anthol. Pal., 320-350); da essa si ricava che O. era rappresentato stante in aspetto di vecchio venerando e mite, col petto scoperto e senza corona, le mani sovrapposte e appoggiate al bastone. La cecità non toglieva la "grazia degli occhi spenti", miele delle Pieridi alitava dalla bocca divina; sembrava ascoltare Apollo o una delle Muse. Il discorso è retorico, ma indica chiaramente un'iconografia e ricostruisce in certo qual modo tutto quel che un artista antico voleva comprendere in un ritratto di Omero. Statue erano ancora ad Argo (Certamen Hom. et Hes., 18; Aelian., Var. hist., ix, 15), a Smirne (Strab., xiv, 73 e v. sotto) a Colofone (Plut, De vita Hom., i, 4, 5; Anth. Fal., xvi, 292) oltre a quella famosa dello Homereion di Alessandria, del 200 circa (Aelian., Var. hist., xiii, 22). Una statua di O. seduto doveva essere quella che adornava la biblioteca di Pantainos ad Atene, edificio di età traianea: il poeta in trono, tra le personificazioni stanti di Iliade (v.) e Odissea (v. iason); poco probabile infatti appare l'ipotesi del Raubitschek di identificare nella statua perduta di Nicanore, poeta dell'età augustea, chiamato dai contemporanei "Nuovo Omero".
Nessuna delle immagini accennate o descritte corrisponde in qualche modo con sicurezza a quelle che possediamo in opere di scultura, nella glittica o nella monetazione, anche perché la maggior parte delle immagini note sono busti o teste, più difficili da descrivere e da riconoscere in una descrizione.
Il numero elevato delle repliche del cosiddetto Epimenide, classificabili in due serie tipo Monaco-Gliptoteca n. 273 e tipo Vaticano, Sala delle Muse n. 512, ha fatto pensare a diversi studiosi (F. Poulsen, Albizzati, Böhringer, Laurenzi) ad una possibile identificazione con l'O. del donario di Mikythos. Esso sarebbe quindi opera peloponnesiaca, del 460 a. C., data abbassata leggermente dallo Schweitzer (circa 450) che però pensa per le due serie di repliche, l'una più stringata e arcaizzante, l'altra alquanto più naturalistica, a due indipendenti derivazioni dalla statua del donario di Mikythos, fra loro lontane nel tempo. Ma si tratta in realtà più che altro di varianti di gusto da attribuire ai Copisti per cui si è quasi certi di riconoscervi il più antico ritratto di ricostruzione di O., non già quello del vate cretese Epimenide (v.). Notava giustamente il Winter che gli occhi chiusi in una statua eretta non possono significare se non cecità, e - possiamo aggiungere - rappresentano per l'arte di stile severo, ancora legata all'arcaismo, l'unico modo possibile di esprimerla, in mancanza di interessi per gli aspetti patologici del soggetto umano. È certo però, per quel che sappiamo, che dell'arte arcaica, subarcaica e classica restano poche immagini: la totale assenza dal repertorio della ceramica e l'isolamento del tipo Monaco-Vaticano possono variamente spiegarsi, ma più che con la tendenza a rifuggire dall'abnorme e dalla rappresentazione dei difetti fisici, forse con quello stesso estremo rispetto dell'epos omerico che in genere nell'iconografia della saga troiana teneva lontani gli artisti dal mettersi, in qualche modo, in gara con Omero. Si passa quindi, nell'ordine cronologico, al tipo rappresentato dal bustino in bronzo di Modena (altra copia a Berlino, Altes Museum, n. 809) indicato esplicitamente dall'iscrizione graffita sul petto e la cui autenticità nessuno ha messo in discussione. La data oscilla fra il 430 (Böhringer) e il 360 (Schweitzer e, dubitativamente, Laurenzi), secondo che si pone attenzione al geometrismo decorativo delle chiome e della barba o al modellato naturalistico delle guance e al rendimento delle palpebre, non diretto ad esprimere la cecità patologica, essendo indicata nell'occhio la pupilla. In effetto il rendimento dell'occhio sarebbe tale genericamente, per qualsiasi personaggio assai attempato. Cfr. in proposito la cosiddetta Lysimache (Mustilli, Mus. Mussolini, n. 125; Laurenzi, Ritr. Gr., 10) e il cosiddetto Licurgo Vaticano (Lippold, Vat. Kat., iii, p. 95, n. 530; Laurenzi, Ritr. Gr., 28). L'O. Modena-Berlino è certamente eclettico e pertanto assai difficile da attribuire ad una scuola definita e, in certo senso, un problema che rimane aperto. Una emissione monetale d'argento di Ios della metà del IV sec., inaugura del resto, per quel che ci consta, il tipo di O. divinizzato, direttamente desunto dalla tipologia di Zeus. L'idealizzazione del volto, risolto in una benevola maestà, esclude l'intenzione iconografica e l'occhio aperto, con la pupilla segnata, indica l'estraneità dalla tradizione dell'O. cieco.
L'interesse per l'iconografia di O. si fa più frequente con l'ellenismo in relazione a diversi fatti: il culto che ad O. cominciò a prestarsi, specialmente ad Alessandria, per opera dei Tolomei, l'intensificarsi degli studi intorno ai poemi, al testo, alla lingua, al mondo poetico di O.; l'ormai acquisita coscienza della necessità della rappresentazione ritrattistica, che facilmente portava a ricostruire le iconografie anche scarse di tradizione, la somma di ricerche intellettualistiche che la ricostruzione comportava, la ricerca infine dell'abnorme confluiscono in un tipo spesso replicato (sedici copie note) comunemente indicato come Apollonio di Tiana (v.). Il riconoscervi O. è stato facilitato dall'evidente analogia che con questo tipo presenta una testa di profilo su di una moneta di Amastri del Ponto del 150 a. C. in cui l'iscrizione indica esplicitamente O., argomento che certo ha più valore dell'altro offerto dal mosaico di Monnus a Treviri in cui un tipo analogo è indicato come Esiodo. Del resto l'identificazione con O. è generalmente accettata, salvo che da P. Arndt, da S. Reinach, e dal Böhringer, mentre è lasciata indeterminata dal Laurenzi. L'originale in genere vien datato fra il 300 e il 270, nella corrente tradizionalista accanto al Metrodoro ed all'Ermarco. Si è pertanto discusso se questo tipo iconografico possa riferirsi al ritratto di Atene (V. Poulsen, Hekler) o a quello di Smirne-Costantinopoli (Visconti). Escluso pertanto Apollonio di Tiana, che visse nel I sec. d. C., il problema sta nel riconoscere O. oppure Esiodo, dato che non è evidente il carattere distintivo dell'iconografia di O., cioè la cecità; la forma dell'occhio nelle repliche che possediamo, tutte in marmo, non l'escluderebbe in modo tassativo, ma l'iconografia delle monete di Ios del sec. IV documenta che la tradizione di O. cieco non era esclusivamente accettata; del resto la cecità non poteva convenire ad immagini di un O. venerato come nume; pertanto, se si accetta l'identificazione con O. questo tipo andrebbe fatto risalire probabilmente ad una statua di culto; I. Sieveking e P. Wolters, seguiti da K. Schefold, hanno attribuito l'originale all'accademismo classicista del I sec., forse a ciò indotti dal carattere delle repliche, nessuna delle quali è di qualità molto elevata. Una di queste, il ritratto capitolino "Filosofi 30", è compresa da alcuni studiosi nell'iconografia di O. e, del resto, essa è abbastanza vicina, dal punto di vista fisionomico se non stilistico, all'Apollonio di Tiana. L'esistenza di una statua con questo tipo di testa, in Roma nel sec. XVI è attestata da una tradizione di disegni (Episcopius, I. Gheyn il Giovane). La benda sul capo è indubbiamente carattere di eroizzazione, il che esclude il particolare della cecità. È un ritratto dalla forma pomposa, affine al Cratete e all'Euripide del tipo Londra. L'originale si data quindi (V. Poulsen, Schefold) intorno al 330. Anche per questo tipo si e pensato ad un ricollegamento con la tradizione letteraria; dubitativamente K. Schefold ha pensato all'O. del Monumento di Teodette.
Al 250 data lo Schefold un rilievo del Museo dei Conservatori (ma circa al 350 D. Mustilli) in cui riconosce O. od Epimenide con una Musa. È una delle pochissime figure intere, seminuda, appoggiata ad un tronco; la testa non ha rapporto con alcuna delle iconografie note attraverso i busti, contraddistinta dal voluminoso sviluppo dei capelli e della barba. È questa un'opera di artigianato, che ammette pertanto una formazione eclettica e giustifica quindi le incertezze sulla cronologia. La testa, che per il volume dei riccioli si avvicina alla tipologia di Zeus, ricorda quella dell'O. seduto nel noto rilievo di Archelaos di Priene (v.), più volte messo in rapporto con il culto dello Homereion di Alessandria. La macchinosa costruzione che dalla terra sale all'Olimpo, ove siede Zeus, ha il suo vero centro nell'ordine più basso dove, ad O. seduto in trono fra le personificazioni dei suoi poemi, si offre un sacrificio cui partecipano figure allegoriche.
All'Egitto appartiene pure la grande statua seduta acefala del Serapeo di Memfi, decorativa e baroccheggiante, l'unica statua di O. conservata.
L'eclettismo antologico rende abbastanza accettabile la datazione del rilievo di Archelaos intorno al 100 a. C., pur non potendosi escludere a priori una più tarda. Interessante è la tipologia dell'O. seduto, che ritorna in alcune monete degli Smirnei. Ma i conî monetali riportano tre tipi diversi: quello del 188-8o mostra una figura "in maestà" con la mano sinistra stretta allo scettro e nella destra un rotolo. Altre monete riportano una figura assai più modesta e stringata: il poeta è rappresentato in posa raccolta e pensierosa, con la destra al mento. Questo tipo è stato ripetuto nelle monete degli Smirnei (ed anche a Colofone) per circa un secolo. Si è pensato pertanto che esso riproduca la statua di culto dello Homereion della città. La data d'inizio di questi coni, 180 a. C., stabilisce un terminus ante quem e lo schema è del resto affine all'Ermarco. Il tipo maestoso dei coni del 188-8o sarebbe più tardo. Non è possibile identificare nelle repliche scultorie i tipi delle teste; non conosciamo quindi con sicurezza quale sia stata l'interpretazione che di O. dettero l'alto e il medio ellenismo. È invece largamente noto da repliche diverse per qualità e fedeltà un ritratto di O. che F. Poulsen, sviluppando enunciati già proposti dal Furtwängler e dall'Amelung, ritenne una replica del virtuosismo veristico rodio, coevo ed affine al Laocoonte, della stessa statua di culto dello Homereion tolemaico di Alessandria (circa 200 a. C.). A parte il rapporto con questa statua, per noi sconosciuta, quello stilistico col Laocoonte è persuasivo (rifiutato solo dal Bòhnnger) e pertanto la cronologia è connessa con quella del celebre gruppo. Il virtuosismo veristico, attraverso le dettagliate notazioni anatomiche di superficie e la sensibilità per gli aspetti patologici, ha ripreso il tema della cecità, sensibilizzandolo nel particolare rendimento delle palpebre, della vecchiezza, precisata dalle guance scavate e dalle molte rughe, dalla maestà, espressa attraverso le vistose masse della barba e delle chiome. Che realmente questo tipo iconografico rifletta le descrizioni di Cristodoro e Cedreno è difficile asserire: la statua dello Zeuxippo era eretta, con le mani appoggiate al bastone, come in una nota tipologia di Asklepios, di origine rodia (v. asklepios). Dalle copie in bronzo (Firenze) o in marmo non si capisce bene l'inclinazione della testa, che potrebbe convenire, così com'è stata riprodotta, tanto ad una figura stante e un po' curva in avanti, che seduta. Questo tipo ha avuto maggior fortuna e da esso dipendono rielaborazioni in diversi formati di età romana, quando era obbligatorio avere nelle biblioteche le immagini dei grandi antichi, primo fra tutti Omero. Pare che il primo a introdurre questa consuetudine nel mondo romano sia stato Asinio Pollione (Plin., Nat. hist., xxxv, 2, 9) ma non è detto esplicitamente che egli possedesse un ritratto di Omero. Plinio dice soltanto a questo proposito che le iconografie mancanti si ricostruivano e la mancanza dava forma ai non traditi vultus, citando come esempio il ritratto di Omero. L'aderenza alla leggenda del "vecchio di Chio cieco e divino" ha certamente servito ad accreditare questa iconografia, risolta talora in forme barocche (Napoli) anche se è la più cerebrale e quindi la meno poetica. Sembra poco probabile identificarla con un'immagine di culto, per la sua lontananza dalla idealizzazione propria dell'O.-Zeus, dalle monete di Ios al rilievo di Archelaos, alle monete di Smirne. Dopo la scuola rodia del tardo ellenismo non pare si siano più creati nuovi tipi di Omero.
Forse ascendenza pittorica ha lo sbalzo in argento da Ercolano unica rappresentazione conservata dell'apoteosi di O.: il poeta è portato a volo da un'aquila, fra le personificazioni dell'Iliade e dell'Odissea (v. apoteosi). Ad una grande statua classicistica si è pensato per le figurazioni riprodotte su monete di Smirne, Colofone, Chio, Nicea, Temno, dell'età degli Antonini, molto diverse da quelle delle monete degli Smirnei del II sec. a. C. Un altro tipo monetale contemporaneo, di Nicea, dipende forse da un archetipo pittorico. L'iconografia di O., in forme assai generiche, ritorna in contorniati romani del IV e V sec. d. C. Ma già prima, nella media età imperiale, si trova l'immagine di O. su sarcofagi del tipo detto "delle Muse"; solo o unito a Socrate in un caso. Non compare invece O. nel repertorio dei mosaici con figure di poeti o sapienti dell'antichità, abbastanza frequenti nel II-III secolo.
Monumenti considerati. - Per i tipi di O.-Epimenide, O.-Apollonio di Tiana e per l'O. del rilievo di Archelaos: v. le rispettive voci. Statua supposta di O. nella Biblioteca di Pantainos: H. A. Thompson, in Hesperia, xxiii, 1954, p. 62 ss.; A. E. Raubitschek, ibid., p. 317 ss. Tipo Modena-Bologna: K. Schefold, op. cit. in bibl., p. 158, 3. Monete di Ios: K. Schefold, op. cit., p. 78, 3. Monete di Amastris: K. Schefold, op. cit., p. 172, 1. Tipo Capitolino, Filosofi, 30: K. Schefold, op. cit., p. 88, 2. Rilievo Conservatori: v. epimenide. Serapeion di Memfi: J. Lauer-Ch. Picard, Les statues ptolémaïques du Serapeion de Memphis, Parigi 1955, p. 111 ss., figg. 58-60. Monete di Smirne: K. Schefold, op. cit., p. 172, 2-4. Tipo di virtuosismo veristico: M. Bieber, op. cit. in bibl., figg. 598-9; F. Magi, in Memorie Acc. Pont., ix, 1, 1960, p. 45. Argento da Ercolano: R. Horn, in Arch. Anz., l, 1935, c. 550. Monete della Ionia: British Museum Coins, Ionia, tavv. 8-10, 15. Contorniati: A. Alföldi, Die Kontorniaten, Budapest 1941. Sarcofagi: H. I. Marrou, Mousikos aner, Grenoble 1937, nn. 61, 90.
Bibl.: L. Laurenzi, Ritratti greci, Firenze 1941; K. Schefold, Die Bildnisse der antiken Dichter, Redner und Denker, Basilea 1943; M. Bieber, The Sculpture of the Hellenistic Age, New York 1955; A. Sarudska, Quelques remarques sur l'iconographie d'Homère, in Bull. Corr. Hell., LXXXVI, 1962, p. 504 ss.