SAVINI NICCI, Oliviero. –
Nacque a Selci in Sabina (Rieti) il 20 ottobre 1877 da Angelo Savini e da Angela Giuseppi, in una numerosa famiglia contadina.
Laureatosi in scienze sociali nell’Università di Firenze il 1° luglio 1899, entrò nel 1900 nell’amministrazione provinciale dell’Interno. L’8 febbraio 1902 sposò Elvira Majorana Calatabiano, prima figlia del senatore Salvatore Catalabiano, dalla quale avrebbe avuto quattro figli (Lavinia, Valeria, Mario e Angelo). Nel 1923 gli venne riconosciuto il titolo trasmissibile di nobile, che già dal 1861 era stato concesso alla sua famiglia, e l’anno successivo, a seguito di una sua documentata istanza, fu autorizzato ad aggiungere il cognome Nicci al suo, diritto esteso ai discendenti diretti.
Savini Nicci teneva molto al doppio cognome, essendo riuscito a provare, attraverso pazienti ricerche, il legame tra le due famiglie risalente al matrimonio tra un Nicci e una Savini e l’adozione dei due cognomi da parte dei discendenti; si chiamava infatti Angelo Savini Nicci il progenitore della famiglia, trasmigrata a Selci all’inizio del XIX secolo. Questa vicenda testimonia il suo interesse, emerso sin da giovane, per gli studi storici e genealogici, che lo indusse a frequentare archivi e biblioteche e a pubblicare un numero cospicuo di saggi, per lo più dedicati alla sua terra di origine.
Tra il 1900 e il 1920 la sua carriera si svolse nell’ambito del ministero dell’Interno, interrotta da incarichi diversi che lo videro, nel 1903, distaccato presso il gabinetto di Angelo Majorana (sottosegretario e dal 1904 ministro delle Finanze nel secondo ministero Giolitti), cui Savini Nicci era unito da vincoli di parentela per parte di moglie; nel dicembre del 1905 fu assegnato alla Commissione reale per il credito comunale e provinciale, nel 1906-1907 nel Gabinetto del sottosegretario all’Interno Giuseppe De Nava e poi al Tesoro come segretario particolare del ministro Majorana. Tra il 1908 e il 1918 rimase nel ministero dell’Interno prima alla Sanità e poi, dal 1911, alla Divisione del personale; durante la guerra, tra il 1915 e il 1917, diresse anche l’Ufficio della censura telegrafica internazionale. Nel 1916, all’età di trentanove anni, fu promosso capo Divisione; venne nominato prefetto il 24 febbraio 1919 e assegnato a Macerata dal 10 marzo, ma presto fu richiamato a Roma, dove il 5 luglio gli venne affidato il ruolo di direttore generale amministrativo presso il Commissariato degli approvvigionamenti e consumi alimentari (una delle amministrazioni speciali sorte durante la guerra), incarico mantenuto fino al 1920; dalla fine di gennaio all’inizio di giugno del 1919 fu nel Gabinetto del vicepresidente del Consiglio (fino al marzo ministro dell’Interno ad interim) Giovanni Villa, nella fase finale della Presidenza di Orlando. Tra aprile e giugno del 1920 fu chiamato alla collaborazione diretta con Francesco Saverio Nitti come segretario capo alla Presidenza del Consiglio e suo capo di Gabinetto all’Interno, un legame e un rapporto di fiducia che da allora avrebbero avuto grande peso nella sua vita.
Lo stesso Nitti decise, il 9 giugno 1920, la sua nomina a consigliere di Stato, assegnato inizialmente alla Sezione I e alla VI appena costituita per le terre liberate, poi nel 1923 alla V, ove si specializzò in materia di istituzioni e professioni sanitarie, contribuendo a creare i fondamenti di una nuova giurisprudenza in quell’ambito. Nel 1921 partecipò come segretario generale ai lavori della Commissione parlamentare sull’ordinamento delle amministrazioni dello Stato voluta da Giovanni Giolitti e presieduta dal senatore Giovanni Cassis.
Nei mesi difficili prima dell’avvento del fascismo Savini Nicci fu capo di Gabinetto all’Interno con Ivanoe Bonomi nel 1921-22; dalla posizione di chi ben conosceva questa amministrazione, avrebbe partecipato alle relazioni nascenti tra l’alta burocrazia e il personale politico fascista, continuando però a interloquire incessantemente con Nitti, fornendogli in una fitta corrispondenza privata notizie sull’attività del ministero.
Iscritto precocemente al fascio di Selci in Sabina il 2 marzo 1923, negli anni del fascismo oltre al suo ruolo di consigliere di Stato ricoprì diversi incarichi: fu componente, ininterrottamente dal 1929, della commissione di vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti e gli istituti di previdenza e della Commissione araldica romana, membro dal 1937 del Consiglio superiore dei lavori pubblici e dal maggio del 1940 del Tribunale superiore delle acque pubbliche. Nel luglio del 1941 entrò a far parte del Consiglio superiore della pubblica istruzione.
Nel 1938 si trovò a occuparsi personalmente di una delicata questione familiare, la scomparsa del nipote della moglie, il fisico Ettore Majorana, avvenuta il 25 marzo 1938; grazie alla sua amicizia con il vice capo della polizia Carmine Senise, mise in moto le ricerche, ottenendo che venissero svolte con particolare impegno e spiegamento di mezzi e con altrettanta riservatezza. In quello stesso periodo dovette subire le attenzioni della polizia per una serie di lettere indirizzate a diverse istituzioni pubbliche, fra cui il Tribunale speciale per la difesa dello Stato, in cui veniva accusato di continuare a tenere rapporti con Nitti e di informarlo su quanto avveniva in Italia (nel suo diario è rimasta traccia di una visita a Parigi al suo ‘patron’ nel 1933), ma il capo della polizia Arturo Bocchini ordinò personalmente di non procedere al controllo della corrispondenza, come era stato deciso invece dal questore di Roma.
Sempre in quegli anni fu tra i magistrati che, ricorrendo ad artifici interpretativi, riuscirono a contenere gli effetti della legislazione razziale del 1938-39. Il 24 dicembre 1942 ottenne la nomina a presidente di Sezione del Consiglio di Stato e fu assegnato alla IV; il 22 luglio 1943 fu posto fuori ruolo a disposizione del presidente e dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943 riuscì a evitare il trasferimento al Nord con conseguente sospensione dello stipendio. Subito dopo la liberazione di Roma (giugno 1944) poté riprendere la direzione dell’Istituto postelegrafonico per cui era stato designato alla fine di agosto del 1943 e che avrebbe mantenuto fino ad aprile del 1945; nello stesso periodo si ristabilì la sua stretta collaborazione con Bonomi, ora presidente del Consiglio, da cui derivarono la sua nomina a presidente della Commissione di epurazione per la Pubblica sicurezza e il conferimento da parte dello stesso presidente del Consiglio di ‘incarichi delicati’ fra cui quello dell’epurazione dei gradi elevati (27 ottobre), compresi quelli della Corte dei conti. Alla fine del 1944 però fu deferito anch’egli al giudizio di epurazione per le accuse di un suo collega, senza che gli fossero attribuiti precisi addebiti; prosciolto da ogni imputazione con decisione della commissione di primo grado del 5 gennaio 1945, riprese le proprie funzioni il 12 agosto come presidente della Sezione V.
Grazie alla sua competenza araldica, nell’autunno del 1944 si pensò di nominarlo commissario del re per la Consulta araldica, ma la nomina non ebbe seguito a causa del contemporaneo avvio del procedimento di epurazione; fu poi tra i membri della Commissione nominata il 27 ottobre 1946 con l’incarico di scegliere l’emblema del nuovo Stato repubblicano, sotto la presidenza di Bonomi, e di quella presieduta da Meuccio Ruini e incaricata di proporre una riforma del Consiglio di Stato, nominata il 10 maggio 1946. Venne collocato a riposo, per limiti di età, il 20 ottobre 1947 con il titolo onorario di presidente del Consiglio di Stato. Subito dopo, a testimonianza che il legame con Nitti non si era di fatto mai interrotto, si presentò alle elezioni politiche del 1948 per il Senato nel collegio di Rieti, in una coalizione elettorale di centrodestra, il Blocco nazionale, che nasceva dall’unione dell’Uomo qualunque con il Partito liberale e con l’Unione per la ricostruzione nazionale, fondata da Nitti nel 1945, ma non risultò eletto.
Morì a Roma il 14 giugno 1955.
Opere. La politica zooiatrica del Regno d’Italia, Roma 1910; La famiglia Savini-Nicci di Sabina, Roma 1925; I movimenti in Sabina delle truppe dirette alla occupazione di Roma nel 1870, in Terra Sabina, 1925; Profili di uomini illustri sabini: Pier Francesco De Rossi (1591-1673), ibid.; La Sabina feudale: gli Orsini, ibid., 1926; Trasferimento della sede del governo della Sabina tiberina da Collevecchio a Poggio Mirteto, ibid.; Memorie sabine nelle chiese e nei monumenti di Roma, ibid., 1927; I duchi Cesi di Acquasanta, ibid., 1928; Memorie su varie località sabine contenute in un manoscritto vaticano, ibid.; Patrizio e patriziato romano, Roma 1930 (anche in Latina gens, 1934); Il castello di Foglia in Sabina, ibid., 1935; Una ricchissima fonte di notizie sabine, quasi inesplorata: gli atti della G. Visita del card. Andrea Orsini (1779-1782), ibid.; Vescovio (antica cattedrale della Sabina), ibid.; Le spedalità romane: legislazione, giurisprudenza, pratica, Roma 1935; Le premesse storiche e logiche del Concordato, in Il diritto ecclesiastico, 1939, pp. 70 ss.; Le sanzioni a difesa del rito giurisdizionale dinanzi al Consiglio di Stato, in Scritti giuridici in onore di Santi Romano, II, Padova 1940, pp. 567-606; Lo stato giuridico del clero, ibid., 1940, pp. 377 ss.; Beccaria Cesare, in Enciclopedia cattolica, Firenze 1948-1951, ad vocem; Pagine di storia tratte dalla rivista “Terra sabina-Latina Gens”, 1969; Roma, Biblioteca nazionale centrale, dattiloscritto Storia del patriarcato sabino e dell’Istituto sabino per gli studi.
Fonti e Bibl.: Vita vissuta, note di diario di Savini Nicci (1877-1945) conservate presso il nipote Francesco Savini Nicci; Roma, Consiglio di Stato, Fascicoli del personale, f. 715; Roma, Archivio centrale dello Stato, Francesco Saverio Nitti, sc. 94, f. 947; Presidenza del Consiglio dei Ministri, Gabinetto, 1919, 1.1.552; 1920, 1.1.652; 1.1.1217; 1921, 1.1.1735; 1944-47, 1.7/10124.29.3 e 10124.51.2.2; 1.3.1/10073-1-1; 1.1.9/14006; Ministero dell’Interno, Direzione generale Pubblica sicurezza, Divisione Polizia politica, Fascicoli personali, b. 1218; Ibid., Divisione Affari generali e riservati, 1940, b. 73, cat. A1.
G. Melis, Due modelli di amministrazione tra liberalismo e fascismo. Burocrazie tradizionali e nuovi apparati, Roma 1988, ad ind.; Id., Storia dell’amministrazione italiana, 1961-1993, Bologna 1996, ad ind.; M. Saija, I prefetti italiani nella crisi dello stato liberale, I, Milano 2001, ad ind.; M. Giannetto, S. N., O., in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia. Le biografie dei magistrati (1861-1948), II, Milano 2006, pp. 1222-1227; M. Cardia, L’epurazione della magistratura alla caduta del fascismo. Il Consiglio di Stato, Cagliari 2009, ad ind.; S. Roncoroni, Ettore Majorana, lo scomparso e la decisione irrevocabile, Roma 2013.