OLIVERO, Maria Maddalena, detta Magda
Nacque a Saluzzo, il 25 marzo 1910, figlia di Federico, magistrato torinese, e di Adele Ravarono, seconda di due sorelle (Teresa la maggiore).
A Torino, dove il padre era stato richiamato, Magda iniziò a studiare privatamente pianoforte col compositore Giorgio Federico Ghedini, coltivando anche l’arte del canto. Il primo tentativo di entrare all’EIAR, l’ente radiofonico nazionale, incontrò il rifiuto della Commissione Giudicatrice, presieduta da Ugo Tansini. La Olivero suscitò tuttavia l’interesse di Luigi Gerussi, allora direttore della Scuola per solisti dell’EIAR. Musicista di chiara fama, formatosi come accompagnatore alla scuola del celebre baritono Antonio Cotogni, depositario dei principi dell’antica scuola di canto, Gerussi credette nelle possibilità della giovane cantante, che si lasciò plasmare dal maestro. Da lui non apprese solo i fondamenti del canto, ma anche una disciplina di vita e una concezione dell’arte come missione morale alla quale si attenne fino alla morte. Le lezioni di Gerussi furono completate dalla frequentazione del corso di danza di Luigi Ernesto Ferraria, il cui metodo contribuì ad affinare le doti di cantante-attrice che contrassegnarono poi sempre la Olivero.
Il debutto radiofonico avvenne il 3 dicembre 1932 all’EIAR di Torino, Maria di Magdala nei Misteri dolorosi di Nino Cattozzo, cui seguirono la partecipazione in altre produzioni dello stesso ente, fino al debutto teatrale in Gianni Schicchi al Vittorio Emanuele di Torino il 31 ottobre 1933, seguito dal Nabucco (come Anna), che inaugurò la stagione del Teatro alla Scala di Milano il 26 dicembre. Nel 1935 e 1936 partecipò alle tournées del Carro di Tespi, producendosi in ruoli spinti come Suor Angelica (Torino, Vittorio Emanuele, 3 marzo 1936) e Cio-Cio-San in Madama Butterfly (Camogli, Teatro Principe, 23 aprile 1936), alternati ad altri schiettamente lirici, come Mimì (La bohème, La Spezia, Civico, 29 giugno 1936), o più leggeri, come Gilda (Rigoletto, Carpi, Comunale, 21 luglio 1936). In questi anni e fino al 1941 Magda Olivero si cimentò nel repertorio naturalista, accostandosi nel 1936 a I quattro rusteghi di Ermanno Wolf-Ferrari, Manon (Torino, EIAR), nel 1937 a Mese mariano di Umberto Giordano, Il campiello di Wolf-Ferrari (Torino, Carignano), Resurrezione di Franco Alfano (Roma, EIAR), nel 1938 a Turandot (Prato, Banchini), Manon Lescaut (Brescia, Grande), Marcella di Giordano (Milano, Scala), nel 1939 a L’amico Fritz di Mascagni (Pisa, Verdi), Cyrano de Bergerac di Alfano (Torino, della Moda), La vedova scaltra di Wolf-Ferrari (Torino, EIAR), Adriana Lecouvreur (Roma, EIAR), La leggenda di Sakùntala di Alfano (Torino, EIAR), nel 1940 a Francesca da Rimini di Riccardo Zandonai (Torino, della Moda), nel 1941 a Giulietta e Romeo di Zandonai (Roma, Opera). Negli stessi anni si dedicò inoltre alla produzione contemporanea italiana, nel 1937 Alcassino e Nicoletta di Mario Barbieri (Torino, EIAR), nel 1938 La caverna di Salamanca di Felice Lattuada (Genova, Carlo Felice), Notturno romantico di Riccardo Pick-Mangiagalli (Palermo, Massimo), La monacella della fontana di Giuseppe Mulè (Bologna, Comunale), nel 1940 Cleopatra di Armando La Rosa Parodi (Parma, Regio); a titoli dell’età barocca, nel 1937 il Monteverdi del Combattimento di Tancredi e Clorinda (Torino, Carignano), del Ballo delle ingrate (Cremona, Teatro all’aperto) e dell’Incoronazione di Poppea (Firenze, Boboli); ad alcuni titoli ottocenteschi, come nel 1938 La traviata (Reggio nell’Emilia, Carro di Tespi) e nel 1939 Mefistofele (Bergamo, Donizetti).
Il vivo successo ottenuto non fu però tale da porre la Olivero ai vertici della scena lirica nazionale, a motivo di una voce non voluminosa, ed ingrata per via di un evidente vibrato, anche se accompagnata da una tecnica d’alta scuola al servizio di uno stile raffinatissimo, perfin troppo per un pubblico abituato a un modo più esuberante di affrontare il melodramma, secondo un modello rappresentato, per le voci femminili, da Maria Caniglia. Ma a determinare la decisione di ritirarsi dalle scene fu il matrimonio con l’industriale Aldo Busch, celebrato a Luzzano nel Piacentino il 19 giugno 1941 (il desiderio di poter avere dei figli andò poi frustrato.) Terminata la guerra, le insistenze degli amici ottennero tuttavia che tra il 1946 e il 1950 Olivero si producesse ripetutamente in concerto a Reggio e a Saluzzo, e che infine decidesse di ritornare alle scene: il che avvenne il 20 gennaio 1951 al Grande di Brescia, uno dei teatri che più seppero accogliere e apprezzare la Olivero. Cantò La bohème e poi l’amatissima Adriana Lecouvreur, alla cui rinascenza e diffusione contribuì in maniera determinante, ricambiata dalla riconoscenza del compositore, Francesco Cilea, che nella Olivero vide l’interprete ideale della sua creatura. Diede ulteriore contributo al repertorio naturalista cantando lo stesso anno Iris nell’ambito delle manifestazioni promosse dal Comitato per le onoranze a Pietro Mascagni, presieduto dal presidente della Camera dei Deputati, Giovanni Gronchi. In luglio debuttò nella Manon di Massenet all’Arena di Verona. Vi ritornò nel 1952 (La traviata), nel 1954 (Mefistofele e Turandot, nella parte di Liù), nel 1960 (Minnie con Franco Corelli e Giangiacomo Guelfi nel sontuoso, storico allestimento della Fanciulla del West), nel 1962 (Tosca) e infine nel 1970 (Manon Lescaut con il giovane Placido Domingo, dove Olivero ottenne un successo strepitoso). Nel 1952 al Grande di Brescia ritrovò La traviata e nel 1954 al Comunale di Firenze fu di nuovo Margherita nel Mefistofele. In quell’anno, a Sirmione, incontrò Arturo Toscanini, che ebbe parole di viva ammirazione per lei.
Dal rientro sulle scene fino agli anni Sessanta la carriera della Olivero si mosse lungo due filoni: quello del naturalismo, e quello del Novecento italiano. Fu Minnie nella Fanciulla del West all’Opera di Roma il 30 marzo 1957, propiziata da Giacomo Lauri-Volpi, col quale l’anno prima aveva cantato Turandot alle Terme di Caracalla: il celebre tenore, impressionato dal magistero vocale, dall’aderenza allo stile pucciniano e dalle singolari risorse di attrice, aveva visto in lei la protagonista ideale della Fanciulla. In quest’ambito va segnalata l’Adriana Lecouvreur scaligera del gennaio 1958, che segnò il rientro della Olivero nel teatro milanese, cui fece seguito nel maggio 1959 la storica ripresa della Francesca da Rimini, diretta da Gianandrea Gavazzeni, con Mario Del Monaco e Giangiacomo Guelfi. Tuttavia, nonostante il successo arriso ai due allestimenti, la Scala richiamò la Olivero solo nella stagione 1973/74, Kostelnička nella “prima” locale della Jenůfa di Leoš Janáček, cantata in italiano.
Nel campo delle riscoperte di opere “antiche” si segnala la Penelope di João de Sousa Carvalho al São Carlos di Lisbona nel 1955. Quanto alla produzione del Novecento si devono ricordare la “prima” assoluta di Santa Rita da Cascia di Angelo Costaguta, nel ruolo eponimo, al Carlo Felice di Genova nel 1954, e Marta nella “prima” assoluta della Guerra di Renzo Rossellini al San Carlo nel 1956. Nel 1958 fu la protagonista nell’Assunta Spina di Francesco Langella nonché Carmela nel Don Ciccio di Ottorino Gentilucci alla RAI di Milano; Medea, Poppea, Giulietta, Donna Rosaura, Maria di Nazareth alla “prima” teatrale di Mondi celesti e infernali di Gian Francesco Malipiero alla Fenice di Venezia nel 1961; e Madame Flora nella Medium di Menotti al Teatro dell’Opera di Helsinki nello stesso anno; nel 1963 fu Melibea nella “prima” della Celestina di Flavio Testi alla Pergola di Firenze; nel 1964 la Priora del Carmelo nei Dialoghi delle Carmelitane di Poulenc al Massimo di Palermo; nel 1966 la Madre nell’Orfeide di Malipiero alla Pergola; nel 1968 la prima interprete della versione italiana della Voix humaine di Poulenc al Verdi di Trieste; nel 1970 la protagonista nella Voyante di Henri Sauguet alla Pergola.
La sua dedizione a questo repertorio si manifestò anche nel decennio seguente nelle parti di Maria in Confessione di Sandro Fuga al Nuovo di Torino nel 1971; Caterina da Siena nella Lode della Trinità di Gerardo Rusconi alla RAI di Torino nel 1972; Filomela in Filomela e l’infatuato di Malipieroalla RAI di Roma nel 1972; la Baronessa nel Capello di paglia di Firenze di Nino Rota alla Petite Salle della Monnaie di Bruxelles nel 1976; e Claire Zachanassian nella Visita della vecchia signora di Gottfried von Einem al San Carlo nel 1977. In questo decennio va segnalato nel repertorio naturalistico di fine Ottocento il debutto nel ruolo eponimo della Wally di Catalani al Donizetti di Bergamo nel 1972, nella Contessa della Donna di picche di Čajkovskij al Verdi di Trieste nel 1973, nella Lucia delle selezioni dei Promessi sposi di Amilcare Ponchielli e di Errico Petrella date al Casinò di San Remo nel 1973, in una serata preceduta da un’importante tavola rotonda con la partecipazione di tre illustri musicologi, Fedele d’Amico, Mario Morini, Giampiero Tintori.
Benché non fossero mancate le comparse su ribalte della penisola iberica, al Cairo o in alcune città europee nell’ambito di tournées di compagnie italiane, è nel decennio 1960-1970 che la Olivero sviluppa un’attività internazionale di più ampio respiro. Va segnalata la partecipazione nel 1967 al Festival dell’opera italiana a Dublino, dove cantò Adriana Lecouvreur, poi Fedora a Bilbao e Oviedo con Del Monaco e il 4 novembre dello stesso annoalla Civic Opera di Dallas, dove, chiamata dal sovrintendente Lawrence Kelly e dal direttore artistico, Nicola Rescigno, concertatore di fama internazionale, debuttò in Medea di Luigi Cherubini. L’esibizione, preparata dalla Olivero con la proverbiale professionalità e coronata da enorme successo, destò vasta eco, per il valore di un’interpretazione che reggeva il confronto con quella, storica, di Maria Callas. La Olivero fu così il primo soprano italiano, dopo Ester Mazzoleni (1909), ad accostarsi a Medea, che poi ebbe modo di eseguire anche in forma di concerto nel 1971 al Concertgebouw di Amsterdam, dove nel 1962 era già stata ospite in un concerto di pagine operistiche e dove tornò negli anni seguenti. Il successo accese l’interesse del pubblico e della critica americana. Dopo aver ripreso la partitura di Cherubini nel 1968 alla Music Hall di Kansas City, ritornò a Dallas nel 1969 in Fedora, nel 1970 nel Tabarro e in un concerto in cui cantò arie d’opera nella prima parte e La voix humaine nella seconda, e nel 1974 per Tosca. Il celebre contralto Marilyn Horne, colpita dalla sua arte e spinta da Rodolfo Celletti, fece pressioni sulla direzione del Metropolitan di New York affinché la prima scena lirica degli Stati Uniti, uno dei teatri più famosi al mondo, si fregiasse, almeno una volta, della presenza di un’artista di questa levatura. Così nel 1975 Olivero cantò Tosca al Met, che riprese nel 1979, nel Metropolitan Opera Tour che toccò Cleveland, Boston, Atlanta, Memphis, Dallas, Minneapolis e Detroit.
Negli USA comparve anche nel 1969 al Bushnell Memorial Auditorium di Hartford, Connecticut, in Adriana Lecouvreur. Nel 1970 venne chiamata alla Symphony Hall di Newark, New Jersey, a pochi chilometri da New York, per Tosca; nel 1971 per Fedora, che cantò anche al War Memorial Auditorium di Trenton, N.J.; nel 1973 per Adriana Lecouvreur (vi tornò nel 1976 per Mefistofele). Nel 1977 e nel 1979 si esibì in concerto alla Carnegie Hall di New York; nel 1971 aveva già cantato alla Philharmonic Hall, diretta da Thomas Schippers. Nel 1977 fu al Gaillard Municipal Auditorium di Charleston, South Carolina, con la Donna di picche. In questi anni si produsse anche in Spagna e in alcuni teatri dell’America latina.
L’addio alle scene avvenne il 27 marzo 1981 al Teatro Filarmonico di Verona con La voix humaine. Peraltro in quell’anno era stata contattata da Carlo Alberto Capelli per Amica di Mascagni, che avrebbe dovuto andare in scena al Regio di Parma nella stagione successiva; ma il progetto non ebbe seguito. Tuttavia la cantante, ormai settuagenaria, ha continuato a prodursi in concerto fin oltre la metà degli anni Ottanta, e continuò a far parte di giurie di concorsi di canto internazionali, a tenere masterclasses, a rilasciare interviste, a ricevere premi. Nel 1993, ottantatreenne, incise per la casa Bongiovanni di Bologna una selezione di Adriana Lecouvreur. Rimane poi memorabile, e per certi versi leggendario, l’episodio avvenuto a palazzo Cusani a Milano nel 2009, testimoniato anche da riprese amatoriali visibili in rete: in quell’occasione, durante un momento festoso e celebrativo, la Olivero confidò al pubblico di aver sognato più volte la grande frase di Francesca, nella Francesca da Rimini, «Paolo, datemi pace», intonandola poi con voce salda, alla venerabile età di 99 anni.
Si è spenta a Milano, l’8 settembre 2014. Nel 2007, in suo onore, è stato fondato a Milano il Concorso internazionale che porta il suo nome.
Pur con una voce non bella in natura, ma in virtù di una tecnica esemplare, conservatasi intatta nella lunga carriera e sempre raffinata mediante uno studio diuturno, la Olivero può essere considerata una delle cantanti più nobili e complete del secolo XX, depositaria dei dettami della grande scuola di canto italiana. Grazie alla raffinata cultura, al rigore del metodo e alla non comune capacità di concentrazione, ha saputo trasformare in evento artistico ogni esecuzione teatrale e concertistica da lei affrontata, ponendo la tecnica di canto al servizio della frase e della parola e completandola con un’arte teatrale che la ascrive tra le più complete e felici cantanti-attrici del Novecento, seppur legata a un gusto che oggi può magari apparire datato. Maestra nel canto legato, spianato e declamato, dominava l’estensione fino al Do acuto, che all’occasione modulava con abilità e competenza, e sapeva sfoggiare delicate, celestiali messe di voce, alla maniera delle grandi virtuose del tempo antico. Possedeva un aereo gioco di mezzevoci e pianissimi che, alternato a espressioni incisive e appassionate, ne illuminavano il canto con un affascinante chiaroscuro, sempre dettato dalle ragioni drammatiche e mai piegato a mero sfoggio di virtuosismo. Nelle parole di un critico tedesco, a proposito di una registrazione di Ebben?... Ne andrò lontana nella Wally: «In questa scena d’addio la protagonista decanta il proprio dolore nella posa vocale di una Madonna Assunta. Magda Olivero è la celebrante d’un estremo strazio – e nel momento stesso in cui l’ascoltatore ha il sentimento che, approssimandosi l’acuto, la vetta non potrà mai venir scalata, e teme che la voce si rompa, ecco che lei glissa su un trepido pianissimo, lieve come un sospiro, per poi lasciarlo crescere, crescere, crescere» (Kesting, 2010, pp. 885 s.).
A questo bisogna aggiungere l’abilità nel canto di coloratura, appreso nei primi anni di carriera, quando pareva «che il suo destino fosse quello di interpretare personaggi come Lucia o Gilda» (Celletti, in Quattrocchi, 1984, p. 18), a riprova del possesso di una formazione belcantistica paragonabile solo a quella della Callas. Per gusto e per inclinazione si dedicò in particolare al repertorio naturalista, facendo di Manon Lescaut, La fanciulla del West, Francesca da Rimini, Tosca e tante altre partiture della Giovane Scuola Italiana altrettanti cavalli di battaglia. Rivisse in lei il tipo della prima donna liberty, alla maniera di Maria Farneti, anche se la superiorità tecnica permise alla Olivero di sottrarre queste partiture alle approssimazioni veristiche che ne svilivano lo stile. L’identificazione con la protagonista di Adriana Lecouvreur fu totale: la Olivero ne divenne l’interprete per antonomasia, in una lettura scenico-vocale rimasta fino ad oggi insuperata. Accanto al repertorio operistico, Olivero fu anche magistrale esecutrice di musica vocale da camera; sempre fedele a sé stessa, superiore al genio volubile delle mode, praticò la romanza da salotto, contribuendo a diffonderla e a farla apprezzare.
Andrà peraltro osservato che nella sua carriera la Olivero non ebbe il pieno riconoscimento dovuto alla sua arte e venne tenuta ai margini dello star system, delle grande ribalte internazionali, e spesso anche in Italia, con qualche eccezione, fu confinata sulle migliori scene della buona provincia. Sintomatici in tal senso il suo rapporto ufficiale con la sala di registrazione e la sostanziale indifferenza dei grandi marchi discografici nei suoi confronti. Nel 1938 la Cetra la impegnò quale Liù nella Turandot e in una serie di pezzi, realizzati tra il 1939 e il 1953, con risultati ritenuti esemplari dalla critica. Fanno testo Io son l’umile ancella e Poveri fiori, gemme de’ prati dall’Adriana Lecouvreur. Spicca L’altra notte in fondo al mare dal Mefistofele, ed eccelle il finale primo della Traviata, che con quello della Callas dev’essere ritenuto il più completo mai consegnato al disco, per la perfezione del canto e la capacità di riportare la vocalità di Verdi, comprese le agilità della cabaletta, Sempre libera degg’io, alle ragioni del dramma. Solo nel 1969 la Decca la impegnò in una selezione della Francesca da Rimini e nella registrazione completa della Fedora a fianco di un Del Monaco ormai in evidente declino. Si deve aggiungere un recital dal titolo “Quando il canto diventa preghiera”, realizzato all’Angelicum di Milano per Ariston. Fatto salvo un video della Tosca, ricavato da un’edizione televisiva RAI del 1960, regìa di Mario Lanfranchi, e la citata selezione dell’Adriana Lecouvreur del 1993, nessuna casa discografica ha raccolto la sua leggendaria interpretazione dell’opera di Cilea. Tuttavia la discografia live permette di documentare l’arte della Olivero, che il settore più accorto della critica italiana – Fedele d’Amico, Mario Morini, Rodolfo Celletti e Giorgio Gualerzi in testa – ha sempre sostenuto e valorizzato.
Per molti anni, dal 1967, Olivero animò la santa messa nella solennità dell’Assunta (15 agosto) nella chiesa parrocchiale di Solda (Sulden), una delle più belle stazioni di villeggiatura sul versane altoatesino dello Stelvio, dove la cantante, che i suoi fans con rispetto chiamavano “la Signora”, soleva trascorrere le vacanze all’Hotel Posta. Al di là del pregio delle esecuzioni, raccolte in registrazioni live, la si ammirava nell’offrire a Dio la propria arte, in una concezione religiosa del canto maturata nell’intimo di una visione della vita alimentata da una fede sincera e tenace: tratto non secondario dell’originale personalità e dell’alta statura morale di Magda Olivero.
G. Lauri-Volpi, Voci parallele, Milano 1960, p. 232; R. Celletti, Le grandi voci, Roma 1964, pp. 588 s.; Id., M. O., ieri, oggi, domani, in Discoteca, LXXXVII (1969), pp. 21-25 (con discografia); M. Morini, M. O.: l’artista, le scelte, il personaggio, in Discoteca, LXXXVII (1969), pp. 16-20; V. Quattrocchi, M. O. Una voce per tre generazioni, Parma 1984 (con bibliografia); Grandi voci alla Scala, novembre 1993, n. 5, monografico: M. O. (con saggi di M. Selvini e G. Landini); G. Landini, I grandi cantanti di Casa Sonzogno, in Casa musicale Sonzogno. Cronologie, saggi, testimonianze, a cura di M. Morini, N. Ostali, P. Ostali jr, Milano 1995, ad ind.; K.J Kutsch - L. Riemens, Großes Sängerlexikon, IV, Bern - München 1997, pp. 2590; Francesco Cilea, a cura di D. Ferrario, N. Ostali, P. Ostali jr, Milano 2000, ad ind.; R. Celletti, Storia dell’opera italiana, II, Milano 2000, pp. 652 s., 737; V. Quattrocchi, M. O. I miei personaggi, Parma 2006; E. Giudici, L’opera in CD e video, Milano 2007, ad ind.; J. Kesting, Die großen Sänger, Kassel 2010, pp. 884-889.