VERNOCCHI, Olindo
VERNOCCHI, Olindo. – Nacque a Forlimpopoli (Forlì) il 12 aprile 1888 da Archimede, medico condotto, e da Elisa Ravaioli.
Cresciuto in un territorio, la Romagna, in cui le passioni politiche avevano radici profonde e il confronto tra i due principali gruppi, i repubblicani e i socialisti, era spesso acceso e non di rado trascendeva nello scontro fisico, aderì presto, ancora studente ginnasiale, al movimento socialista stringendo amicizia con Benito Mussolini, il quale in quegli anni si trovava a Forlimpopoli per frequentare la Regia scuola magistrale maschile Carducci.
Nel 1910 venne eletto consigliere comunale a Forlimpopoli tra le file della minoranza socialista; ruolo in cui venne riconfermato anche nelle successive elezioni amministrative del giugno 1914.
Nel dicembre del 1912 Mussolini, trasferitosi a Milano perché chiamato a dirigere l’Avanti!, affidò la direzione di La lotta di classe, organo della federazione socialista forlivese fondato nel gennaio del 1910, ad alcuni dei maggiori esponenti del socialismo provinciale: Biagio Pedrizzi, Gino Giommi, Aurelio Valmaggi e lo stesso Vernocchi. Quest’ultimo partecipò come delegato al XIV Congresso nazionale del Partito socialista italiano (PSI) che si tenne in Ancona (26-29 aprile 1914), svolgendo le mansioni di segretario. Alcune settimane dopo la conclusione dell’assise congressuale fu protagonista delle manifestazioni che animarono la ‘settimana rossa’ (7-14 giugno): fece parte del comitato locale che promosse lo sciopero generale, ma si mostrò contrario ad azioni violente nei confronti delle autorità pubbliche militari e civili.
Studente universitario in legge e collaboratore del Giornale del mattino di Bologna e dell’Avanti!, nella seconda metà del 1914 veniva descritto nelle note redatte dagli ispettori della Pubblica Sicurezza come un giovane «educato, intelligente, colto», come un amministratore comunale «diligente e competente» che riscuoteva «considerevole influenza» tra le fila degli iscritti e dei simpatizzanti del PSI (Roma, Archivio centrale dello Stato, MI, DGPS, DAGR, CPC, b. 5379, f. 73451, Scheda biografica). Una notorietà che alimentò tenendo numerosi comizi e conferenze in Romagna, e, soprattutto, per mezzo degli articoli pubblicati sulla Lotta di classe.
Schierato dalla parte della frazione intransigente che dall’estate del 1912 guidava la direzione del PSI, commentò lo scoppio della Grande Guerra muovendo da posizioni antimilitaristiche e internazionalistiche: il conflitto altro non era che una guerra voluta dalle borghesie nazionali che lottavano per la conquista dei mercati internazionali; l’unica battaglia che il proletariato doveva condurre era la lotta di classe, «quale unico mezzo» che avrebbe condotto «l’umanità sofferente verso la sua redenzione» (La nostra guerra, in La lotta di classe, 31 ottobre 1914). Benché in alcuni dei suoi articoli dell’estate del 1914 la condanna del militarismo fosse seguita da riflessioni francofile, non si spinse oltre e non approdò mai a posizioni interventiste: il proletariato italiano doveva continuare a sostenere una posizione di neutralità assoluta e tenersi pronto a promuovere un moto rivoluzionario. Rifiutò così l’opzione della «neutralità relativa» messa in campo dai riformisti e non seguì Mussolini lungo la strada della «neutralità attiva e operante», preludio alla svolta interventista di colui che lo stesso Vernocchi, nella primavera del 1912, aveva definito il «Duce» dei socialisti italiani. Ancora il 31 ottobre 1914 su La lotta di classe definì Mussolini «il nostro carissimo compagno», ma le strade dei due si separarono. In chiusura del 1914 il secondo, scrivendo dalle pagine del Popolo d’Italia del «cannibalismo imbecille dei socialisti forlivesi», accusò l’ormai ex amico di essere tra i maggiori interpreti del gruppo socialista romagnolo a lui maggiormente ostile.
Convinto sostenitore della pregiudiziale anticollaborazionista in caso di ingresso nel conflitto dell’Italia, nella primavera del 1915 Vernocchi sfidò i divieti governativi e le provocazioni degli interventisti animando nella sua terra numerose manifestazioni contrarie alla guerra come quella che si tenne il 2 maggio a Forlì e che lo vide tra gli oratori, insieme a Giacinto Menotti Serrati e Giovanni Bacci, di fronte a oltre 10.000 intervenuti.
Il 7 giugno 1915 venne richiamato alle armi e assegnato, come soldato di II categoria, al deposito dell’11° reggimento fanteria che allora era di stanza a Forlì, destinazione che gli permise di proseguire nel suo impegno politico all’interno degli organismi dirigenti locali del Partito socialista (il 19 giugno venne eletto quale membro del comitato direttivo della sezione socialista di Forlimpopoli). In seguito, però, le autorità militari decisero di trasferirlo ad Agrigento, nel 5° reggimento di fanteria con il grado di sergente, nel tentativo di far venire meno la sua energia al fronte antimilitarista attivo in Romagna. In Sicilia si impegnò attivamente per favorire la costituzione delle leghe operaie e la fondazione della locale Camera del lavoro. Il 13 aprile 1919 prese parte al I Congresso socialista della provincia agrigentina. Il 6 giugno, ottenuto il congedo illimitato, lasciò l’isola e rientrò in Romagna dove rimase però solo per pochi giorni perché venne subito chiamato a Roma a lavorare nella redazione locale dell’Avanti!.
Negli anni del travagliato primo dopoguerra acquisì all’interno del PSI un ruolo di dirigente nazionale che avrebbe consolidato durante i mesi dell’esperienza dell’Aventino fino a ottenere, il 25 aprile 1925, l’elezione a segretario nazionale.
Candidato alle elezioni politiche del 15 maggio 1921 nel collegio di Agrigento, ottenne 1897 preferenze, piazzandosi dietro a Cesare Sessa, il più votato (2554 preferenze) dei candidati socialisti. Sul fronte del dibattito interno al Partito socialista si schierò tra le fila del gruppo dei massimalisti e si oppose alla scissione comunista di Livorno del gennaio del 1921; a seguire, nel corso del XVIII Congresso nazionale che si tenne a Milano dal 10 al 14 ottobre, nel suo ruolo di segretario della Frazione, diede un contributo significativo all’affermazione del gruppo massimalista unitario guidato da Serrati e Adelchi Baratono che puntava ad allontanare qualunque ipotesi di ‘collaborazionismo’ dei socialisti in chiave governativa, evitando però rischi di nuove e laceranti scissioni o espulsioni che avrebbero ulteriormente indebolito le forze socialiste nella battaglia contro la reazione fascista. Nel corso del XIX Congresso (Roma, 1-4 ottobre 1922) sostenne la posizione di Arturo Vella, contrario a un’adesione incondizionata del PSI all’Internazionale comunista. Nel corso del dibattito congressuale, sancita l’espulsione di coloro che avevano aderito alla frazione collaborazionista, guidata da Filippo Turati, Claudio Treves e Giuseppe Emanuele Modigliani – fondatori del Partito socialista unitario (PSU) –, Vernocchi e Vella si adoperarono per evitare anche l’espulsione dei centristi che avevano votato per alcune mozioni assieme ai «destri», ma il loro ordine del giorno venne battuto da una mozione congiunta di Abigaille Zanetta e Serrati che delegava alla nuova direzione la decisione finale su quella questione. Nei mesi seguenti, in sintonia con Vella e Pietro Nenni, quest’ultimo entrato tra le file del PSI nel 1921, sostenne una linea di decisa contrarietà al progetto di fusione con il Partito comunista d’Italia sancito nel corso del IV Congresso dell’Internazionale comunista (novembre-dicembre 1922) e fortemente sostenuto da Serrati. I fusionisti furono sconfitti nel XX Congresso del PSI (Milano, 15-17 aprile 1923), a conclusione del quale Vernocchi fu eletto nella nuova direzione. Quest’ultima, riunitasi il 19 aprile, assegnò la direzione dell’Avanti! a un triunvirato guidato da Nenni e di cui facevano parte Riccardo Momigliano e lo stesso Vernocchi.
La secessione dell’Aventino, cominciata il 27 giugno 1924, fu sostenuta con convinzione da Vernocchi che vedeva in essa la possibilità di dare vita a una sorta di «antiparlamento» che avrebbe dovuto assumere «una precisa significazione rivoluzionaria». Muovendo da questa visione, di fronte all’incapacità dei gruppi dell’Aventino di incidere sulla realtà, perché compressi tra la necessità di mantenere la via della legalità, il rifiuto del re di intervenire per porre fine all’esperienza di governo di Mussolini e la progressiva riduzione degli spazi di azione conseguente all’approvazione della legislazione repressiva voluta dal capo del fascismo, Vernocchi maturò una posizione di aperta critica nei confronti del comitato astensionista. Si dichiarò inoltre contrario a qualunque ipotesi di blocco antifascista in caso di elezioni politiche poiché tale scelta avrebbe inevitabilmente aperto la strada a una riunificazione con i riformisti del PSU e, nel caso di un’eventuale vittoria delle liste bloccarde, questa linea politica avrebbe finito per determinare l’inserimento dei massimalisti nell’area di governo, al fianco dei liberali giolittiani e salandrini. Il Partito socialista, scrisse Vernocchi, avrebbe dovuto sganciarsi dall’Aventino ma non avrebbe dovuto rientrare in Parlamento: il PSI doveva salvaguardare il «metodo rivoluzionario intransigente» perché, aggiungeva, «il proletariato non può vendere la propria indipendenza di classe e il suo diritto alla sua battaglia per il piatto di lenticchie della libertà borghese»; occorreva dunque «esercitare una pressione di forza e anche di violenza», sostenere «una lotta di classe sempre e non mai collaborazione» (La scelta è tra difesa e liquidazione del Partito, in Avanti!, 27 febbraio 1925). Una posizione, quella favorevole all’uscita dall’Aventino, che finì per guadagnare consensi crescenti tra le file del Partito socialista: nella primavera del 1925 il segretario nazionale dei socialisti massimalisti Tito Oro Nobili, sostenitore del mantenimento dell’esperienza aventiniana, fu costretto alle dimissioni e, come si è già ricordato, venne sostituito da Vernocchi.
In seguito alla promulgazione delle leggi fascistissime, e dunque alla soppressione dei partiti politici,Vernocchi fu sottoposto a un’intensa vigilanza che si fece più stringente nella primavera del 1927, dopo la notizia dell’esistenza di un piano finalizzato a favorire il suo espatrio in Francia. Ciò nonostante tentò con tenacia di mantenersi in contatto con parte del gruppo dirigente del PSI, ponendosi al centro di una fitta rete di rapporti personali ed epistolari che coinvolgevano Vella e Musatti e una nutrita schiera di confinati e detenuti politici quali Ugo Coccia (che lo aveva sostituito alla guida del partito nel dicembre del 1926), Ernesto Schiavello, Luigi Fabbri, Domenico Viotto, Giuseppe Romita, Riccardo Momigliano.
Nel marzo del 1928 un’ampia relazione della questura di Roma definiva l’ex segretario socialista come un soggetto «veramente pericoloso» a cui «facevano capo i vari tentativi di ripresa dell’attività dei socialisti massimalisti». Tre mesi più tardi, il 21 giugno, Vernocchi fu arrestato e condannato a due anni di confino; ma il 12 luglio venne rimesso in libertà per intervento diretto di Mussolini che ne dispose la «liberazione condizionale» (Roma, Archivio centrale dello Stato, MI, DGPS, DAGR, Uffici dipendenti della sezione prima, Ufficio di confino di polizia, Fascicoli personali 1926-1943, b. 1060). L’intervento del capo del governo era stato sollecitato dallo stesso Vernocchi per mezzo di una missiva nella quale quest’ultimo dichiarava la sua estraneità a qualunque attività propagandistica di stampo sovversivo.
Una nuova nota della prefettura capitolina, redatta nel marzo del 1929, contenuta nel fascicolo del Casellario politico centrale, informa che Vernocchi viveva con i «proventi» del suo lavoro di impiegato presso la sede romana della Società assicurazioni Phoenix e che continuava a mantenersi in contatto con i maggiori dirigenti del disciolto partito socialista massimalista e con alcuni animatori della Concentrazione antifascista attiva in Francia. Per tutti gli anni successivi che precedettero la caduta di Mussolini, nell’estate del 1943, Vernocchi mantenne rapporti costanti con il movimento clandestino di matrice socialista.
Alla fine di agosto del 1943 partecipò al «congressino di partito» (espressione di Nenni che venne eletto segretario del ricostituito Partito socialista) che si tenne a Roma, a casa di Oreste Lizzadri, e che diede vita al Partito socialista di unità proletaria, in cui confluirono i dirigenti del vecchio Partito socialista italiano, del Movimento di unità proletaria e della romana Unione proletaria italiana.
Nel 1945 il governo Parri lo nominò commissario straordinario dell’Istituto nazionale Luce, ribattezzato Istituto nazionale Luce nuova, affidandogli il compito di rifondarlo con una missione e un carattere culturale che fossero in sintonia con i principi di uno Stato democratico. Dopo essersi occupato del rientro a Roma delle attrezzature e dei materiali filmici dell’Istituto che si trovavano a Venezia, dove era stato trasferito, si dedicò all’accertamento delle responsabilità dei dipendenti che nell’autunno del 1943 avevano accolto l’invito del ministero della Cultura popolare della Repubblica sociale italiana a collaborare. Ma, soprattutto, lavorò al difficile rilancio della produzione filmica promossa dall’Istituto che era stato chiamato a dirigere: il 26 luglio 1945 arrivò sugli schermi il primo numero del Notiziario Luce nuova, in sostituzione del precedente Giornale Luce, ad appena quattro mesi dall’interruzione della serie realizzata a Venezia. Dal luglio del 1945 all’ottobre del 1946 vennero prodotti ventidue numeri del Notiziario, quattro cortometraggi e un lungometraggio.
Con le consultazioni del 2 giugno 1946 venne eletto deputato alla Costituente tra le file del Partito socialista di unità proletaria (che nel febbraio del 1947 riprese la denominazione di Partito socialista italiano). Nel corso del suo mandato fu relatore, nella primavera del 1947, della legge sull’ordinamento dell’industria cinematografica nazionale.
Morì a Roma il 9 marzo 1948.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio centrale dello Stato, MI, DGPS, DAGR, CPC, b. 5379, f. 73451 Olindo Vernocchi; Uffici dipendenti della sezione prima, Ufficio di confino di polizia, Fascicoli personali 1926-1943, b. 1060, f. Olindo Vernocchi.
Opera omnia di Benito Mussolini, a cura di E. Susmel - D. Susmel, IV, V, VI, VII, Firenze-Roma 1951-1953, ad ind.; A. Landuyt, Le sinistre e l’Aventino, Milano 1973, ad ind.; G. Isola, O. V., in Il movimento operaio italiano. Dizionario biografico 1853-1943, a cura di F. Andreucci - T. Detti, V, T-Z, Roma 1978, pp. 212-215; D. Angelini, O. V. e la Lotta di classe (1914-1915), in Romagna arte e storia, V (1985), 14, pp. 65-72; G. Tamburrano, Pietro Nenni, Roma-Bari 1986, ad ind.; G. Arfè, Storia dell’Avanti!, a cura di F. Assante, Napoli 2002, ad ind.; U. Chiaramonte, Arturo Vella e il socialismo massimalista, Manduria-Bari-Roma 2002, ad ind.; E.G. Laura, Le stagioni dell’aquila. Storia dell’Istituto Luce, Roma 2004, ad ind.; V. Emiliani, Il fabbro di Predappio. Vita di Alessandro Mussolini, Bologna 2010, ad ind.; P. Mattera, Storia del PSI, 1892-1994, Roma 2010, pp. 53-124.