Oceano
Sulla scorta delle antiche concezioni, ancora valide nel Medioevo, ovviamente riportate a una terra considerata sferica, non più piatta, D. considera l'O. come il mar che la terra inghirlanda (Pd IX 84), che circonda cioè la " quarta abitabile ", limitata dalle foci del Gange, da Gade, dal parallelo di 67° nord e dall'equatore (v. anche GERUSALEMME); unica terra emersa, fuori di questi limiti, l'isola oceanica sulla quale sorge la montagna del Purgatorio. La conferma della collocazione della gran secca nell'emisfero settentrionale è in Cv III V 12, ove D. richiama espressamente, in ausilio a questa tesi, Alberto Magno e Lucano.
La presenza di un O. continuo attorno alle terre emerse è ribadita in molti luoghi danteschi. In Cv III V 9 ove, con un esempio ripreso da Alberto Magno, D. suppone che se due pietre cadessero sulla superficie terrestre dai due poli celesti, artico e antartico, esse finirebbero sui due poli terrestri, ambedue situati nell'O. (v. ANTIPODI; LUCIA; MARIA); in Ep XI 26 ut de palaestra... undique ab Occeani margine circumspecta, ove palaestra sta per la terra emersa; in Ep VII 12 e 13, con significato di limite estremo dell'Impero (Aen. I 287), così come in Mn I XI 12, ove D. sostiene che l'imperatore, poiché sua... iurisdictio terminatur occeano solum, è, a differenza dei sovrani che regnano nei vari paesi, libero dal desiderio di estendere i propri domini; in VE I VIII 4, ove l'O. (meglio una parte di esso) è considerato limite occidentale dell'area di diffusione del jo, che viene così a comprendere anche la regione scandinava e lo Jutland, regioni peraltro malamente conosciute ai tempi di Dante. Un particolare aspetto dei rapporti tra terre emerse e acque marine è ampiamente trattato nella Quaestio (v.), dove (§ 15) D. usa Amphitrite in luogo di Occeanus, denominazione che si ritrova in molti trattati scientifici (ad es. nell'opera di Pietro d'Abano, Conciliator differentiarum), mentre nel passo citato delle epistole (VII 12 e 13) usa ambedue i termini, con il medesimo significato.
Il Parodi, ricordando che Roberto Grossatesta nel suo De Sphaera parla di due mari, Anfitrite e Oceano, distinti uno dall'altro, e interpretando ciò che dice il Sacrobosco nel suo De Sphaera mundi, sostiene che per D. l'O. è il mare che cinge a mezzogiorno la terra abitabile e che si estende oltre l'equatore, mentre gli altri limiti della quarta abitabile sono cinti da Anfitrite; poiché l'Impero, secondo D., comprende tutta la quarta abitabile, si verrebbe così a intendere l'uso dei due toponimi nell'epistola a Enrico VII. A ciò si può opporre che il passo dell'epistola è l'unico luogo ove D. usa i due termini; che nella Quaestio Anfitrite è contrapposto ai mari mediterranei, quindi sta per O.; che in tutti gli altri luoghi, esclusi ovviamente quelli ove si serve di parafrasi, D. usa O.; infine che egli deriva " Anfitrite " dai classici (Ovid. Met. I 13-14 " nec bracchia longo / margine terrarum porrexerat Amphitrite ") i quali spesso si servivano dei nomi mitologici per indicazioni geografiche o di altro genere.
Bibl. - E. Sanesi-G. Boffito, Traduzione e riassunto riveduto e approvato dall'autore de La Geografia di D. secondo E. Moore, in " Riv. Geog. Ital. " XII, Firenze 1904 (rec. di P.L. Rambaldi, in " Bull. " XII [1905] 201); E.G. Parodi, Anfitrite e O., in " Bull. " XXVIII (1921) 57-59; D.A., De situ et forma aquae et terrae, a. c. di G. Padoan, Firenze 1968, 18 nota.