NUOVO TESTAMENTO
1. Definizione. - I Cristiani hanno chiamato Nuovo Testamento la seconda parte della Bibbia (v.), contrapposta quale testimonianza del "nuovo patto nel sangue di Cristo" (I Cor., ii, 25, lat. novum testamentum) all'"antico patto" Antico Testamento (Gal., 4, 25 ss.). Dal punto di vista storico, inoltre, il Nuovo Testamento è la fonte letteraria fondamentale per gli inizî della religione e della chiesa cristiana.
La "lieta novella" della vita, dell'insegnamento, della morte e della resurrezione di Gesù era tramandata, in origine, soltanto nel Vangelo e nell'Apostolos (raccolta degli scritti considerati autentici degli apostoli e dei discepoli degli apostoli). Nel quadro della formazione e dello sviluppo del canone del N. T. (v. oltre), ebbe poi luogo una suddivisione, corrispondente a quella dell'Antico Testamento in Sacre scritture: il Vangelo secondo Matteo, secondo Marco, secondo Luca (i tre detti Sinottici, perché presentano la maggior parte delle narrazioni parallele), e secondo Giovanni; un libro di storia, ossia gli Atti degli apostoli di Luca; gli scritti didattici: le lettere di Paolo, ai Romani, 1 e 2 ai Corinzî, ai Galati, agli Efesini, ai Filippesi, ai Colossesi, 1 e 2 a Timoteo, a Tito, a Filemone, la lettera agli Ebrei (questa lettera solo per la chiesa cattolica, dato che è considerata non paolina dalle chiese protestanti ed inserita tra le lettere di Giovanni nel Testamento di Lutero, cioè dal settembre 1522 in poi), le cosiddette epistole "cattoliche" (1 e 2 lettera di Pietro, 1, 2 e 3 lettera di Giovanni, le lettere di Giacomo e di Giuda), e un libro profetico: la rivelazione segreta (l'Apocalisse) di Giovanni.
2. Cànone e apocrifi. - La lingua dei manoscritti originarî, oggi perduti, dei libri del N. T., è la lingua greca parlata nel Mediterraneo orientale nel I sec. d. C., la cosiddetta koinè.
La stesura dei quattro Vangeli canonici e degli Atti degli apostoli può essere attribuita agli anni fra il 70 d. C. e la fine del I sec., quella dell'Apocalisse al 96 d. C. circa, cioè all'epoca della persecuzione di Domiziano. La datazione delle lettere degli apostoli risulta, in genere, da dati interni o dalle reciproche citazioni; esse hanno comunque la loro forma definitiva già prima della fine del I secolo. Alcune lettere vengono citate dai padri della chiesa, accanto ai Vangeli, all'incirca nella prima metà del II sec., pertanto le loro copie devono essere state largamente diffuse.
Il più antico frammento conservato di un testo del N. T. è dato dal papiro Rylands 457 (P52) (Manchester), datato intorno al 130. Ulteriori papiri, che sono venuti alla luce soltanto in questi ultimi anni, documentano nel III sec. tutte le parti importanti del N. T.; accanto ai frammenti di papiri appaiono, dal IV sec. in poi, i codici di pergamena, tra i quali i più antichi - il Vaticano e il Sinaitico - restituiscono il testo completo del N. T.; così pure, nel V sec., il codice Alessandrino (v. bibbia).
In complesso il testo greco del N. T. è attestato, fino al VI sec., da 80 codici e frammenti all'incirca, e da altrettanti frammenti papiracei, così che il N. T. è l'opera letteraria dell'antichità meglio documentata.
La rapida diffusione del Cristianesimo, anche nell'ambito della koinè greca, rese necessarie, già nel II sec., traduzioni del N. T. in altre lingue. Così, ancora nel II sec., nacquero due versioni siriache, l'armonia evangelica di Taziano, il cosiddetto Diatessaron, e la cosiddetta Vetus Syra, che presentava i quattro Vangeli separatamente (Syrus Sinaiticus e Syrus Curetanus). Ad esse seguirono, nel V sec., la Pĕshiṭtā (in cui mancano alcune delle epistole cattoliche e l'Apocalisse) e poi, nel VI sec., la Filosseniana, che raccoglie tutto il canone del Nuovo Testamento. Le prime traduzioni in lingua latina risalgono ugualmente al Il sec. e furono continuate nel corso del III secolo. Poiché da questa traduzione latina (la cosiddetta Vetus Latina) derivano molteplici versioni parallele, Girolamo iniziò nel 383, per incarico di papa Damaso, una nuova traduzione, che, con il nome di Vulgata, divenne il testo ufficiale della chiesa cattolica, anche se le comunità nordafricane e spagnole matennero fino al Medioevo forme miste delle due versioni.
Le prime traduzioni del N. T. nella chiesa copta risalgono al III-IV sec. per il dialetto sahidico (alto Egitto), al VI sec. per il dialetto bohairico (basso Egitto); nel V sec. il N. T. venne tradotto in etiopico e in armeno; questa ultima versione derivava dal siriaco. La prima traduzione in lingua germanica fu intrapresa nel IV sec. dal vescovo goto Wulfilas; i più antichi manoscritti conservati risalgono al V-VI sec.; il più ricco tra essi è il Codex aureus della Biblioteca Universitaria di Upsala (VI sec.).
La storia della formazione del canone del N. T. è, ai suoi inizî, di difficile ricostruzione. Fino alla seconda metà del IV sec. si dovrà distinguere, in generale, tra scritti "riconosciuti", "contestati" e "falsificati" del N. T.; i confini tra questi gruppi sono notevolmente elastici, variando a seconda dell'epoca e dell'autore. Fu necessario, in ultima analisi, il più ampio riconoscimento di un'autorità centrale nella chiesa - de facto il riconoscimento del vescovo romano come papa - per giungere alla formazione definitiva del canone del N. T.: nel 405 papa Innocenzo III fissò il canone (diviso in 27 parti), così come lo aveva formulato nel 367 Atanasio, nella xxxix lettera pasquale; questo canone fu posto alla base della Vulgata da Girolamo, e riconosciuto espressamente dal sinodo africano di Ippona del 393.
L'indice del canone nel codice Claromontanus, elaborato a Roma nel IV sec. (Parigi, Bibliothèque Nationale, gr. 107) - che menziona come autentici e quindi autorevoli il Pastore di Erma, gli Acta Pauli e l'Apocalisse di Pietro, la cosiddetta Sticometria del patriarca bizantino Niceforo (808-818) - e le variazioni del numero degli scritti neotestamentari nelle traduzioni siriache del V-VII sec., dimostrano come sia in Occidente che in Oriente si discutesse sempre ancora sui singoli scritti: in pratica però intorno al 400 la formazione del canone è definitiva; soltanto la chiesa della Siria orientale (o nestoriana, che elimina l'Apoc., 2 Petr., 2 e 3 Ioh., Iud.), e la chiesa etiopica (che invece aggiunge il Pastore di Erma, la 1 e 2 lettera di Clemente, le Costituzioni Apostoliche), si scostano ancora oggi dal canone del Nuovo Testamento.
In relazione a questo articolo, sono particolarmente significativi due gruppi di apocrifi del N. T., che ancora a lungo dopo la loro eliminazione dal canone hanno influito sull'arte figurativa cristiana della tarda antichità (e, in seguito, in misura anche notevole sull'arte medievale): si tratta dei cosiddetti Vangeli dell'infanzia e degli Atti apocrifi. I primi, e soprattutto il cosiddetto Protovangelo di Giacomo e il Vangelo dello Pseudo-Matteo, completano, in forma leggendaria, la storia dell'infanzia e della gioventù di Gesù, e la storia della vita di Maria e Giuseppe, svolte in modo relativamente breve nei Vangeli canonici, mentre gli Atti apocrifi descrivono ampiamente le vite - viaggi, predicazione, miracoli e martirio - degli apostoli e dei loro discepoli.
Il cosiddetto Vangelo di Nicodemo e le cosiddette Gesta Pilati ispirano alcuni particolari delle illustrazioni della passione di Cristo (interrogatorio davanti al Sinedrio e a Pilato, Descensus ad inferos, il cosiddetto limbo). Del Protovangelo di Giacomo si conosce, dal 1958, un manoscritto del III sec. (Papyrus Bodmer V), e se ne data la formazione intorno al 150; quanto alla datazione all'VIII-IX sec., ancora ultimamente proposta da O. Cullmann per il Vangelo dello Pseudo-Matteo, essa deve essere corretta almeno in alcuni punti, dato che in questo Vangelo per la prima volta appaiono due particolari della natività e dell'infanzia di Cristo già testimoniati in rappresentazioni figurative del IV sec. o dell'inizio del V.
Considerazioni analoghe valgono per gli Atti apocrifi, per quanto possano avere un interesse nell'ambito di questo articolo; in particolare alcuni episodi singoli delle vite di Paolo e di Pietro, ci appaiono più anticamente in raffigurazioni che nella tradizione letteraria conservata.
Tra i manoscriti miniati del N. T. bisogna distinguere, a seconda del testo, le seguenti forme (quanto alle differenti possibilità di disposizione delle miniature, v. oltre): edizioni complete, evangeliari (testi che tramandano soltanto i Vangeli), epistolari (solo il corpus delle lettere inclusi gli Atti), evangelistari (contenenti solo estratti dei Vangeli nella successione delle letture corrispondenti all'ordinamento dell'anno ecclesiastico), lezionari o libri di pericopi (con le corrispondenti lezioni e pericopi da: Vangeli, Atti, corpus delle epistole, Apocalisse, e a volte anche Antico Testamento).
Nelle edizioni complete, negli evangeliarî e nelle raccolte delle pericopi il testo vero e proprio è spesso preceduto dalla lettera di Girolamo a Damaso, da quella di Eusebio di Cesarea a Carpiano e dalle cosiddette tavole canoniche (v. codice).
3. Rappresentazioni simboliche. - Le prime interpretazioni figurative di avvenimenti e figure del N. T. (e dei testi apocrifi) risalgono, per quanto ci è dato oggi di sapere, alla prima metà del III secolo. Le più antiche rappresentazioni del N. T. a noi note si trovano, insieme a raffigurazioni dell'Antico Testamento, nelle catacombe romane (la cripta di Lucina, i cosiddetti cubicoli dei sacramenti [cub. A 2 - A 6] delle catacombe di Callisto, la tomba di Clodius-Hermes) e nel fonte battesimale della domus ecclesiae di Dura-Europos. Nella seconda metà del III sec. le scene del N. T. appaiono sui sarcofagi cristiani (sarcofago di bambino nel Palazzo dei Conservatori, frammenti n. 67606 e 67607 del Museo Nazionale Romano).
In questi tre gruppi di monumenti le rappresentazioni del N. T. - come quelle dell'Antico, paradigmi con cui costituiscono unità compositive - sono in primo luogo simboli del credo cristiano, fiducioso nella liberazione della morte - sia corporale sia spirituale.
Questo motivo fondamentale determina la scelta delle scene, che risultano exempla del potere del Redentore, potere di salvezza e di vittoria sulla morte - resurrezione di Lazzaro, guarigione di malati (che è sempre nello stesso tempo remissione dei peccati, conformemente al testo evangelico) - e simboli della ἐϕόδια Χριστοῦ (I Clem., 2, 1), della "aqua et panis vitae " (Ioh., 4, 14; 6, 48), cioè dei sacramenti istituiti da Cristo, il battesimo e l'eucarestia: scene di battesimo, dialogo di Gesù con la Samaritana, guarigione del paralitico (Ioh., 5 ss.; episodio citato per la prima volta da Tertulliano, De bapt., 5, quale simbolo del battesimo), moltiplicazione dei pani nel deserto (Ioh., 6).
Questi avvenimenti vengono quasi senza eccezione raffigurati nel modo più sintetico - ad esempio, dell'episodio del paralitico è raffigurato, in genere, soltanto il miracolato col suo letto sulle spalle, e della moltiplicazione vediamo solo un banchetto o la benedizione dei pani - e anche nei casi eccezionali in cui un episodio del N. T. è rappresentato in due atti, un'attenta analisi del nesso compositivo dimostra che l'idea di salvezza è sempre il criterio principale della scelta.
Soltanto sullo scorcio del IV sec. si delinea, soprattutto nella scultura dei sarcofagi, uno spostamento d'interesse, in quanto ora la persona stessa di Cristo è il centro dell'attenzione (sarcofagi con fregi figurati a uno o due registri): in primo luogo i suoi miracoli vengono frequentemente esemplificati; sono inoltre introdotte scene della vita e della passione di Cristo e degli apostoli.
Il seguente schema stabilisce un confronto numerico tra le scene del N. T. raffigurate nelle catacombe e quelle sui rilievi dei sarcofagi del III e IV sec.:
annunciazione 2 (+ 2 ?): 2; dubbio di Giuseppe 0:4; visitazione 0:1; nascita di Gesù 1?:10; viaggio dei re Magi 2:5; i Magi dinanzi a Erode 2?:14; adorazione dei Magi 12:50; strage degli innocenti 0:3; battesimo 4:7; nozze di Cana 2:34; Samaritana 4:9; guarigione del servo del centurione 0:6; del paralitico 19:33; dell'emorroissa 4:30; del cieco 7:50; resurrezione del figlio della vedova di Naim 0:10; della figlia di Giairo 1:4; di Lazzaro 53:36; discorso della montagna 3:i; moltiplicazione dei pani 30:55; miracolo della fonte di Pietro 26:120.
Le scene seguenti sono finora documentate soltanto sui rilievi dei sarcofagi (oltre un affresco a Dura-Europos):
Gesù lapidato (Ioh., 10, 31 ss. e apocrifo) 2; ingresso in Gerusalemme 14; lavanda dei piedi 4; confirmatio Petri 56; Getsemani 1; tradimento di Giuda 3; Cristo davanti a Pilato 13; morte di Giuda 1; coronatio Christi (la corona è di alloro invece che di spine, Lat. 171) 1; crux invicta (croce anastatica per la resurrezione) 25 (in mezzo a scene della passione o di miracoli, oppure fra gli apostoli in adorazione); Christus victor (la croce è il labarum dell'imperatore o del condottiero) 4; donne al sepolcro 2 (più 1 a Dura-Europos); incredulità di Tommaso 1; pesca miracolosa 2; consegna delle chiavi a Pietro 9; ascensione 1 (sarcofago di Servanne); oltre a questo, dagli Atti scene anche queste ancora non documentate nelle catacombe -: liberazione di Pietro dal carcere 1; Anania e Saffira 2; resurrezione di Tabita 2; predica di Filippo 3; e, dagli Atti apocrifi, a parte il miracolo della fonte di Pietro, già menzionato (e che nei rilievi del IV sec. sostituisce il miracolo della roccia di Mosè ed è in genere contrapposto alla resurrezione di Lazzaro), prigionia dei prìncipi degli apostoli 40; cosiddetta cattedra di Pietro 17; scene di miracoli 5; crocefissione di Pietro 5; martirio di Paolo 7; Paolo e Tecla 1.
Questo sommario deve essere chiarito e completato dalle seguenti considerazioni: nella pittura delle catacombe le scene del N. T. conservano quasi esclusivamente, anche nel corso del IV sec., il simbolismo paradigmatico della prima cristianità; scene cristologiche in senso più stretto rimangono eccezionali, oppure vengono introdotte di volta in volta in locali o tombe in una prospettiva tale che anch'essi siano da intendersi come simboli di salvezza.
L'adorazione dei Magi già raffigurata intorno al 300 nella cosiddetta cappella greca delle catacombe di Priscilla - viene spesso contrapposta, in special modo sui sarcofagi, quale simbolo della vera regalità di Cristo, alla scena del rifiuto di adorazione da parte dei tre giovani babilonesi. Sui rilievi dei sarcofagi si può osservare uno sviluppo graduale nell'impiego dei temi del N. T.: Cristo taumaturgo (dal 270 in poi), Cristo e i princìpi degli apostoli come precursori anche in scene della passione (che, significativamente, è descritta solo negli atti per così dire preparatori: prigionia, interrogatorio); con la crux invicta (simbolo della resurrezione, come segno di vittoria dell'Uno - e così di tutti i credenti - sulla morte), sulla via dei duces in militia Christi (Gerke), che porta al martirio sulla croce o sul greto del Tevere (dal 340 circa in poi); Cristo quale maestro degli apostoli, nelle scene della consegna dei comandamenti o delle chiavi; la Maestà (dal 350 circa in poi); quest'ultimo gruppo di scene non ha verosimilmente avuto origine nell'arte funeraria, ma ad essa è derivata dalle composizioni absidali delle grandi basiliche.
E che nei primi due stadi l'interesse paradigmatico debba aver avuto un ruolo decisivo, anche se forse equilibrato da altri interessi, risulta d'altronde evidente anche dalla disposizione delle scene sui sarcofagi:
a) scene dell'Antico e del N. T. vengono impiegate parallelamente in tutte le classi di sarcofagi; le prime simboleggiano la Promessa, le seconde la realizzazione della Promessa in Cristo;
b) i sarcofagi su cui sono unicamente rappresentate scene tratte dal N. T. sono relativamente rari - in paragone al numero complessivo dei sarcofagi conservati;
c) anche in questa classe di sarcofagi non si arriva mai ad un ciclo "continuo" di scene "storiche", nel senso di un'ininterrotta illustrazione narrativa; la scomposizione di un racconto in due o tre atti rimane un caso assolutamente infrequente;
d) l'ampliamento dello schema tradizionale delle scene con l'aggiunta di figure secondarie o di altri particolari narrativi è accertata fino ad ora, sia nelle catacombe che nei sarcofagi, solo in casi singoli, estremamente primitivi, o, al contrario, molto tardi, cosicché è possibile vedere in questa tendenza un'influenza da sfere estranee all'arte funeraria.
4. Cicli narrativo-storici. - Soltanto indirettamente è possibile ricostituire la storia primitiva delle illustrazioni nel senso più stretto del N. T., dato che i più antichi manoscritti miniati ci sono stati conservati solo frammentariamente e, oltre a tutto, risalgono solo al VI secolo. Le pitture parietali, l'artigianato e le fonti letterarie ci danno tuttavia la possibilità di superare questo limite di tempo.
Bisogna pertanto tener conto della forma letteraria del N. T., e in special modo dei Vangeli: una gran parte di essi, e soprattutto la narrazione dei miracoli, è svolta parallelamente da più di un evangelista; questi spesso differiscono l'uno dall'altro solo in particolari di così minima importanza, che generalmente non è possibile accostare una interpretazione figurativa ad una determinata versione del testo evangelico, quando non sia strettamente unita al testo stesso.
Si prenderanno quindi le mosse da una specie di armonia figurativa dei Vangeli, e si parlerà a parte solo delle eccezioni e delle rappresentazioni singole più importanti.
Raffigurazioni di avvenimenti del N. T. di carattere storico-narrativo, più potenti dal punto di vista formale di quelle simboliche, appaiono per la prima volta nella prima metà del III sec., ossia quasi contemporaneamente alle più antiche rappresentazioni a noi note.
Negli scavi di Dura-Europos fu scoperto, nel 1932, anche un edificio di culto cristiano: nell'angolo esposto verso N-O di un'abitazione, trasformata, dopo il 232, in domus ecclesiae, si trova un battistero con piscina, sulla quale sorge un'edicola, le cui pareti erano completamente rivestite da affreschi raffiguranti scene bibliche. Nella parziale distruzione dell'edificio (nel 256), la maggior parte degli affreschi andò purtroppo perduta; si sono conservati, nella lunetta dietro l'edicola, una raffigurazione del Buon Pastore, che riporta nel gregge un agnello smarrito, qualificato qui come simbolo di salvezza dalla scena del peccato originale rappresentata in basso (v. Ireneo, Adv. haeres., iii, 19, 3; 27, 7 s. a proposito della 1 Cor., 15, 20-28; i sarcofagi di Velletri e il sarcofago di Agricio a Treviri).
Sulla contigua parete settentrionale è indicata, in due scene, la guarigione del paralitico presso il lago (Cristo accanto alla lettiga del malato, e questi, guarito, che si allontana con la barella sulle spalle); accanto, Pietro che cammina sulle acque (Cristo porge la mano all'apostolo che sta affondando: sullo sfondo la barca con i discepoli); nella zona inferiore, l'arrivo delle tre donne, la mattina di Pasqua, al sepolcro vuoto, che ha l'aspetto di una tomba palestinese, con attico e acroteri stellati.
Degli affreschi della parete meridionale si sono conservate solo due scene: Davide e Golia, e la Samaritana alla fonte; in quest'ultima immagine colpisce l'assenza della figura di Cristo.
Non si può mettere in dubbio che il contenuto che informa la scelta delle immagini si riferisca allo scopo per cui era utilizzato il locale: esempi delle virtù guaritrici dell'aqua-vitae-Christus. Le peculiarità iconografiche, in rapporto alle rappresentazioni romane contemporanee, indicano d'altra parte che si deve presupporre qui una tradizione figurativa diversa, originale, di cui si potrebbero trovare gli antecedenti in miniature; la stessa cosa si può dire anche per gli affreschi della sinagoga nella stessa località (v. bibbia).
Nelle catacombe romane abbiamo finora, nel III sec., un unico esempio, comparabile a questo, di rappresentazioni più fortemente narrativo-illustrative di scene del N. T.: nell'attico della tomba di Clodius Hermes (v. roma) vediamo un'immagine della parabola del Buon Pastore e del suo gregge, che, se differisce nei particolari, è simile nella concezione generale; accanto a questa scena abbiamo una riproduzione su ampia scala della moltiplicazione dei pani nel deserto, cioè di quella narrazione evangelica dalla quale derivarono sia il banchetto cristiano che la benedizione del cibo. Anche in questo caso si potrebbe pensare ad un motivo derivato da miniature; resta comunque il problema dell'esistenza di eventuali, più ampi e ininterrotti cicli di illustrazioni del N. T., problema che non può essere risolto, dati i soli 3 o 4 esempî antichi di illustrazioni a carattere più particolarmente narrativo; ad essi si può forse affiancare la rappresentazione, ripetuta due volte, della guarigione del paralitico su uno dei più antichi sarcofagi cristiani con fregi figurati (Museo delle Terme, frammento 67607), del 270 circa.
Soltanto nel IV sec. siamo su terreno sicuro. Due monumenti soprattutto, con autentici cicli del N. T., possono venire chiariti soltanto riferendosi retrospettivamente a manoscritti illustrati (Gerke: libri di modelli, Musterbücher); tanto più che, nel primo esempio, le scene dell'Antico Testamento, che appaiono insieme a quelle del N. T., si rifanno sicuramente, in ultima analisi, a cicli di miniature: si tratta della cosiddetta Lipsanoteca di Brescia (B) (Volbach, Elfenbeinarbeiten, n. 107; d'ora in poi citato: Volbach) e del sarcofago di Servanne (5), a due registri, del 380 circa.
Quanto è stato detto diventerà ancora più chiaro se confronteremo questi monumenti con altre opere in avorio più tarde: una valva di dittico nel Museo del Castello Sforzesco a Milano (CS, Volbach, 111, datata intorno al 400), l'avorio dell'ascensione a Monaco (ME, Volbach, 110, del 400 circa), le cosiddette "tavole della passione" a Londra (L, Volbach, 116, del 420-30).
L'importanza di questo gruppo di monumenti per la storia primitiva dell'illustrazione del N. T. consiste essenzialmente nel fatto che da essi trae origine un ciclo della passione e della resurrezione (dall'orazione nell'orto fino all'ascensione), che ha così poco in comune con l'iconografia sorta, prima della metà del secolo, sui sarcofagi con scene della passione, che bisogna postulare modelli autonomi, dai quali le scuole di artigianato di Roma (ME? L?), di Milano (CS, ME? L?) e della Gallia (S) attingevano il loro assortimento.
Il catalogo seguente è un tentativo di ricostruzione del ciclo complessivo:
ingresso in Gerusalemme? ultima cena? lavanda dei piedi? Cristo nell'Orto (B), Cristo sveglia i discepoli (S), bacio di Giuda (S), arresto (B), Cristo dinanzi al sommo sacerdote (B), negazione di Pietro (B, L), Cristo dinanzi a Pilato (B, S, L), Calvario (L), crocefissione (L), morte di Giuda (B, L), le guardie e le donne al sepolcro (S, L, CS, 2 scene, ME: tomba vuota), apparizione ai discepoli (S, B, ma in versioni differenti), incredulità di Tommaso (L), ascensione (rediit ad patrem: S, ME).
Finché non si troveranno ulteriori argomenti per la datazione degli avorî di Brescia proposta dal Delbrück (ossia intorno al 320, mentre ultimamente Beckwith, Gerke, Grabar, Volbach propendono per il 350-70), gli archetipi postulati dovrebbero essere datati almeno un po' prima della metà del IV secolo. Ad un risultato analogo porta anche il tentativo di fissare cronologicamente la formazione di un secondo ciclo cristologico: questo comprendeva tutta la vita di Cristo, dall'annunciazione a Maria fino all'inizio della vita pubblica, in 12 scene almeno (senza i miracoli). I monumenti da cui può essere ricavato sono: il registro superiore del sarcofago di Servanne (S), i frammenti della cosiddetta cassetta di Werden (W, Londra, Victoria and Albert Museum, Volbach, 118, inizio V sec., per Beckwith copia carolingia dall'originale del V sec.), la copertura, divisa in 5 parti, di un codice di Milano (M, v, 119, V sec.): tutti questi monumenti sono originari di Roma, dell'Italia settentrionale o della Gallia (S):
annunciazione vicino alla fontana (Protev. Giac., ii, 1 ss.) (W, M), dubbio di Giuseppe (S, W, 2 scene), la prova delle acque (Protev. Giac., 16, 1 ss.) (M, S: Maria e Giuseppe) visitazione (W), natività (col bue e l'asino, dal Ps. Mt., 14, come sui sarcofagi della seconda metà del IV sec., v. oltre) (W, M), i Magi con la cometa (W, M), adorazione dei Magi (5, W, M), praesentatio?, strage degli innocenti (B, M), Gesù dodicenne al tempio (M), battesimo (S, W, M, B), discepoli di Giovanni (S, W), chiamata dei primi apostoli (S).
La copertina di libro di Milano continua il ciclo, oltre a questo, con le nozze di Cana, la guarigione dei due ciechi e del paralitico, la resurrezione di Lazzaro, la moltiplicazione dei pani, il pranzo e l'obolo della vedova; così pure il pezzo di riscontro del dittico di Berlino, al Louvre (v, 1113): guarigione dell'emorroissa, del paralitico e dell'indemoniato.
A questi due ultimi esempî citati si possono accostare altri monumenti (o piuttosto i loro archetipi), in Firenze (v, 108, fine IV sec.), Nevers (Volbach, 114, inizio V sec.), Londra British Museum (Volbach, 115 e v, 117, del 420-30), Parigi, Louvre (Volbach, 121, V sec.), e il cosiddetto dittico Andrews (Londra, Victoria and Albert Museum, Volbach, 233, ivi datato al IX sec. ma diversamente dal Beckwith e da altri).
Tutti questi monumenti dimostrano l'ampiezza delle variazioni nelle rappresentazioni della medesima scena, la diffusione nello spazio delle varie tipologie e il loro rapporto con le forme iconografiche, soprattutto con le scene di miracoli, dell'arte funeraria del III e IV secolo:
a) al più tardi nella seconda metà del IV sec., ampi cicli illustrativi furono accostati ai Vangeli e alle narrazioni apocrife dell'infanzia di Gesù;
b) anche il ciclo di Cristo taumaturgo ha due radici: una nell'arte funeraria e l'altra nella serie di immagini storico-narrative;
c) questi cicli non si possono ricondurre ad un unico archetipo, ma proprio agli inizî bisogna presupporre diverse rappresentazioni figurative parallele del N. T.;
d) gli inizî dell'illustrazione del N. T. non si possono localizzare in un unico centro; diverse località vi hanno contribuito in ugual misura.
Il fatto che anche i Vangeli apocrifi siano stati illustrati, Vangeli che in Occidente, dopo la fissazione dei canoni, erano per lo meno sospetti, rende probabile per questo tipo di raffigurazioni l'esistenza di fonti orientali (egiziane). Che l'Oriente - Bisanzio, la Siria, Alessandria - fosse partecipe delle origini dell'illustrazione del N. T., lo dimostrano altre opere di artigianato minore alla luce di un preciso paragone iconografico (le particolarità stilistiche potrebbero teoricamente essere dovute a rielaborazioni locali di modelli importati, tanto più che gli esempî che addurremo sono un po' più recenti).
Così la cattedra di Massimiano a Ravenna (Volbach, 140, metà VI sec., ravennate? con influssi della Siria? di Costantinopoli? secondo la recente opinione del Beckwith -, egiziani).
Del ciclo del N. T. rappresentato su di essa sono conservate le seguenti scene:
annunciazione (Maria è in atto di filare), dubbio di Giuseppe, prova delle acque, visitazione, viaggio a Betlemme (Protev. Giac., 17, 3 ss.), presepio, adorazione dei Magi, battesimo, Cana, la Samaritana, guarigione di due ciechi, nutrizione di 5.000 persone, moltiplicazione dei pani, ingresso in Gerusalemme.
Su di un enkòlpion d'oro di Adana, al museo di Istanbul (VI sec.), abbiamo, sul recto: annunciazione (Maria in atto di filare), visitazione, nascita, annunciazione ai pastori, adorazione dei Magi, fuga in Egitto; sul verso: guarigione del cieco, del lebbroso, dell'emorroissa, del paralitico e dell'indemoniato, resurrezione di Lazzaro e dialogo con la Samaritana.
Infine ricordiamo le ampolle di: Monza e di Bobbio (v. ampolla). Le scene rappresentate sono: annunciazione, nelle due iconografie: Maria in atto di filare o di attingere acqua; visitazione, fuga e salvezza di Elisabetta con Giovanni bambino (dallo Pseudo-Matteo), natività, adorazione dei pastori e dei Magi, battesimo, crocefissione, donne al sepolcro, limbo, Gesù sulle acque, incredulità di Tommaso, ascensione (per l'iconografia della crocefissione e dell'ascensione v. oltre). Si credeva generalmente che si trattasse di copie dei dipinti monumentali o dei mosaici dei santuarî della Terra Santa, ma questa opinione è stata recentemente confutata dal Bagatti e dal Grabar: quest'ultimo data le ampolle al VI sec. e ne localizza il centro di produzione in Palestina, indicando però Costantinopoli come la probabile patria di origine degli archetipi. Attribuzione che però anche recentemente è stata rifiutata da Chr. Ihm.
Le premesse sopra postulate - e cioè la formazione parallela e relativamente antica di molteplici redazioni figurative di cicli del N. T. nei varî centri artistici dell'Occidente e dell'Oriente - rendono comprensibile il fatto che nella decorazione delle chiese più antiche a noi rimaste (o di cui abbiamo notizia dalla tradizione letteraria), i committenti, o meglio gli artigiani che eseguivano pitture murali o mosaici, potessero ispirarsi ad un grande repertorio tipologico, scegliendo secondo le esigenze contingenti (spesso obbedendo ai regolamenti liturgici, che erano differenti nelle singole province della chiesa).
Le intenzioni didattiche e pratico-teologiche variavano a seconda del tempo e della località; dei monumentali biblia pauperum per l'istruzione degli analfabeti, si può parlare, in senso più lato, solo nell'alto Medioevo, quando nelle chiese vennero raffigurati cicli di più di 6o scene del solo Nuovo Testamento. Nella prima antichità è prevalente l'idea della concordantia veteris et novi testamenti.
Nella seconda metà del IV sec., Prudenzio, descrivendo una chiesa spagnola non meglio identificabile (Saragozza?), contrappone 24 scene dell'Antico Testamento (dal peccato originale all'esilio babilonese) ad altrettanti avvenimenti del N. T. (senza però che fosse sempre chiara un'intima relazione in senso veramente tipologico):
annunciazione a Maria (in casa), Betlemme (la natività), adorazione dei Magi, annunciazione ai pastori e adorazione, strage degli innocenti, battesimo, pinnacolo del tempio (tentazione di Gesù), Cana, guarigione del paralitico alla piscina probatica, morte di Giovanni, Gesù sulle acque, guarigione dell'indemoniato di Gerasa, moltiplicazione dei pani e dei pesci, Lazzaro, tradimento di Giuda, Cristo dinanzi a Caifa, Cristo legato alla colonna e flagellato, crocefissione fra i due ladroni, discesa al limbo, molteplici apparizioni di Cristo risorto, ascensione (nella stessa versione del sarcofago di Servanne ecc., v. oltre), lapidazione di Stefano, (Atti, 3, 11; 10, 11 ss.), conversione di Paolo.
I cicli della basilica di S. Felice a Nola (Cimitile), sono più recenti e basati anch'essi sull'idea della concordantia (una sed ambobus gratia fontis adest, lex antiqua novam firmat, veterem nova complet, Paolino di Nola, Epist., xxxii, 5); tra le scene del N. T. le seguenti, testimoniate dai Carmina di Paolino di Nola, possono essere sicuramente accertate: Gesù sulle acque, crocefissione, Pasqua, interrogatorio di Paolo.
Un ciclo molto simile deve essere stato eseguito, intorno al 400, in una chiesa di Milano (i tituli dello Pseudo-Ambrogio elencano 9 scene del N. T., tra le quali la trasfigurazione, che appare qui per la prima volta).
Il ciclo di rappresentazioni del N. T. della chiesa di S. Sergio a Gaza (VI sec.) comprendeva, secondo la descrizione del contemporaneo Concio, 5 scene dell'infanzia, 10 di miracoli, 9 della passione (dall'ultima cena all'ascensione).
Della decorazione pittorica delle grandi chiese romane del IV sec., sono rimaste solo tracce; la ricostruzione, intrapresa dal Wilpert, dei cicli di S. Costanza (oltre a scene dell'Antico Testamento, comprendeva anche 14 rappresentazioni del N. T., delle quali 4, conservate, sono sicuramente identificate), di S. Giovanni in Laterano (6 Antico - 6 N. T.) e del vecchio S. Pietro (W: sotto Liberio, 52 scene dal N. T. e 8 dalla storia di Pietro), prende le mosse da raffigurazioni più recenti (e da cicli illustrati di altre località) e non può quindi essere utilizzata per la storia primitiva dell'illustrazione del Nuovo Testamento.
Le due più antiche serie di rappresentazioni monumentali del N. T. conservate a Roma risalgono alla metà del V sec.: sono i mosaici dell'arco trionfale di S. Maria Maggiore e la porta lignea di S. Sabina.
I primi raffigurano un ciclo dell'incarnazione, la cui singolarità dal punto di vista iconografico era condizionata da una circostanza particolare e dal committente, se il motivo era la glorificazione della Theotokos, secondo le definizioni del Concilio di Efeso, ad opera di papa Sisto III (v. maria). Così si spiega il carattere festoso e ieratico, nello stesso tempo, di queste immagini, e l'interruzione del seguito "storico" delle scene per il crescendo delle rappresentazioni; è pure interessante il poter stabilire che, anche dopo la fissazione dei canoni, e in opere così ufficiali, si raffiguravano scene tratte da testi apocrifi; in questo caso abbiamo due scene: Maria in atto di filare, e i governatori dell'Egitto che vengono incontro alla Vergine e al Bambino (dallo Pseudo-Matteo).
Dei 28 pannelli originarî della porta lignea di S. Sabina, se ne sono conservati 18, tra i quali 12 o 13 con scene del N. T., gli altri 5 con rappresentazioni dell'Antico Testamento. Dato che la disposizione primitiva dei riquadri non è sicura, elenchiamo, in ordine cronologico, le scene cristologiche:
Zaccaria davanti al tempio (oppure: imperatore davanti alla basilica?), adorazione dei Magi, trasfigurazione (oppure: Emmaus?), guarigione del cieco - Cana - moltiplicazione dei pani (su un solo pannello), negazione di Pietro, Cristo dinanzi a Caifa, Cristo dinanzi a Pilato, crocefissione (riguardo all'iconografia di questa scena, v. oltre), donne al sepolcro, apparizione di Cristo risorto alle donne, poi ai discepoli, ascensione (v. oltre), la "Chiesa" (secondo il Grabar: la redenzione): Ecclesia tra i principi degli apostoli, sormontata da corona e stella, Sol e Luna; nella zona superiore, Cristo nella mandorla (questa raffigurazione appare ancora una volta, e quasi identica, su una delle ampolle di Bobbio [n. 20]).
Dei 12 mosaici del battistero di Napoli si sono conservate le seguenti scene:
Cana, la Samaritana, pesca miracolosa, moltiplicazione dei pani, donne al sepolcro, traditio legis; in questo caso le possibilità di rispondenza simbolica allo scopo per cui era utilizzato l'ambiente determinarono la scelta delle scene; i tituli? del battistero neoniano di Ravenna (prima metà del V sec.), tramandano un programma in gran parte identico.
Della decorazione figurativa delle chiese ravennati del V sec. abbiamo troppo poche notizie per poter affermare con sicurezza che vi fossero raffigurati grandi cicli tratti dal N. T.; del VI sec. ci rimane invece un ciclo monumentale e i tituli di una concordantia veteris et novi testamenti.
Sulle pareti della navata centrale di S. Apollinare Nuovo vennero contrapposti, nell'epoca di Teodorico, i cicli della vita e della passione di Cristo:
nozze di Cana - ultima cena, moltiplicazione dei pani e dei pesci - Getsemani, chiamata di Pietro e di Andrea - bacio di Giuda, i ciechi di Gerico - arresto di Cristo, l'emorroissa - Cristo dinanzi a Caifa, la Samaritana - predizione del rinnegamento, Lazzaro - Cristo rinnegato, Farisei e gabellieri, morte di Giuda, obolo della vedova - lavaggio delle mani di Pilato, separazione di pecore e montoni - salita al Calvario, paralitico di Cafarnao - donne al sepolcro, indemoniato di Gerasa - Emmaus, paralitico alla piscina - incredulità di Tommaso.
I motivi della scelta delle scene e della loro contrapposizione (nella misura in cui questa dovesse avere un particolare significato tipologico), l'assenza di scene dell'infanzia di Cristo e, soprattutto, della crocefissione, non hanno trovato una spiegazione definitiva, almeno fino ad oggi, dato che le scene non corrispondono interamente alle serie note delle pericopi; d'altra parte non conosciamo abbastanza bene eventuali forme particolari della liturgia ariana per poter fare derivare da essa queste peculiarità. Anche la concordantia attribuita ad Elpidio Rustico, medico personale di Teodorico, non solo dà un seguito diverso delle scene, ma ne fa anche una scelta differente (tre scene soltanto sono di identico contenuto, ma i tituli non sono sufficienti per stabilire paragoni iconografici):
peccato di Eva - annunciazione a Giuseppe, cacciata dal Paradiso - accoglienza in Paradiso del buon ladrone, Noè chiude l'Arca - visione di Pietro (Atti, 10, 11 ss.), confusione dei linguaggi nella costruzione della Torre di Babele - discorsi in tutte le lingue il giorno di Pentecoste, Giuseppe venduto dai fratelli - Giuda vende Cristo, Abramo sacrifica Isacco - salita di Gesù al Calvario, caduta della manna - moltiplicazione dei pani e dei pesci, salita di Mosè sul Sinai - discorso della montagna, e poi, senza paralleli tipologici: Maria e Marta, il servo del centurione, Cana, la donna paralitica, l'emorroissa, il figlio della vedova di Naim, Zaccheo sull'albero, Lazzaro.
Nelle chiese di Roma, analoghi cicli del N. T. si trovano soltanto all'inizio dell'VIII sec. (cappella mariana di S. Pietro, opera di papa Giovanni VII - 15 scene -; S. Maria Antiqua, dove 11 immagini tra le 20 conservate sono illustrazioni del N. T.; S. Paolo fuori le mura, con 42 scene degli Atti, v. oltre).
È discussa la datazione delle seconde scene dell'infanzia conservate a S. Maria di Castelseprio, dall'annunciazione fino all'arrivo in Egitto.; è comunque sicuro che i modelli di questo ciclo risalgono almeno fino al VI secolo. La densità della serie di episodî è un elemento in favore di una datazione al primo Medioevo.
In età carolingia s'iniziano i monumentali biblia pauperum e i più ricchi cicli del N. T.: a S. Giovanni in Müstair-Münster (Cantone dei Grigioni, Svizzera), il solo ciclo illustrativo dei Vangeli comprendeva originariamente 62 scene, delle quali 33 conservate: dai tituli e dalle descrizioni delle chiese di Ingelheim e St. Gallen, possiamo dedurre che tali ampie rappresentazioni figurative non erano affatto rare.
Beda il Venerabile († 735) nella sua vita dell'abate Benedetto Biscop, di Wearmouth, riferisce come questi riportasse innumerabilis copia di libri di ogni specie dal suo quarto viaggio a Roma (678); tra questi anche manoscritti miniati, che servirono da modello per gli affreschi della chiesa di S. Pietro eretta da Benedetto, raffiguranti sull'arco trionfale la Madonna in mezzo ai 12 apostoli, sulla parete S la evangelica historia, su quella N visioni dell'Apocalisse di Giovanni (questo è il più antico documento di un ciclo dell'Apocalisse). Dal suo quinto viaggio a Roma (684), Benedetto ritorna con "ancora più ricchi manoscritti" che servirono a loro volta da modelli per le dominicae historiae picturae della chiesa di S. Maria e del chiostro di S. Paolo; in quest'ultimo si nota il proposito di stabilire una concordantia dei due Testamenti: il coordinamento tipologico del cammino di Abramo e Isacco verso il sacrificio con la salita al Calvario di Cristo, è ammesso espressamente; già avevamo visto analoghe contrapposizioni nei tituli di Elpidio Rustico a Ravenna e anche figurativamente ce ne resta la testimonianza su di un avorio dell'VIII-IX sec. (v, 158).
Uno dei Vangeli latini illustrati, giunti nel VII sec. nelle missioni inglesi, ci è conservato: è il ms. 286 del Corpus Christi College di Cambridge, il cosiddetto St. Augustin's Gospels (prima in Canterbury). Insieme con le quattro pagine miniate inserite (più tardi) in un Vangelo della Reichenau del IX sec. (Monaco, Staatsbibl., cod. 23631, Clm. 2), è il più antico esempio di manoscritto con un ciclo di miniature del N. T., e d'altra parte, è appena più recente, - è datato al più tardi alla fine del VI sec. - dei più antichi frammenti di manoscritti greci miniati del N. T. che ci sono pervenuti. Il fatto che le 24 scene complessivamente conservate e il "ritratto" dell'evangelista Luca siano, a loro volta, soltanto copie di più antichi modelli, è provato dalla successione delle scene e dal loro coordinamento al testo.
Quest'ultimo presenta un aspetto originale: nei Vangeli sono inserite, e pertanto sciolte da un'immediata concatenazione col testo, una o più pagine illustrate (in questo caso 2), su cui sono, in genere, rappresentate numerose scene (qui 12).
Il fol. 125 del manoscritto di Cambridge presenta, entro una larga cornice colorata, quattro colonne, divise ognuna in tre quadretti, a loro volta incorniciati (talvolta con due scene). Questi rappresentano la passione, dall'ingresso di Cristo in Gerusalemme fino alla salita al Calvario, con l'aiuto di Simone di Cirene; è curioso il fatto che queste immagini si riferiscano talvolta al Vangelo di Matteo, tal'altra a quello di Giovanni (quando si può stabilire che esse appartengano ad un Vangelo determinato), benché la pagina sia inserita tra la fine del Vangelo di Marco e l'introduzione di quella di Luca. Queste raffigurazioni e quelle della seconda pagina miniata furono chiarite, nell'VIII sec., da brevi scritte, analoghe ai tituli, che si attengono, spesso letteralmente, al testo evangelico.
La derivazione di questo ciclo da un altro più antico risulta evidente dalla doppia interruzione della successione "storica" delle scene, dalla mancanza dell'episodio del rinnegamento e dall'assenza di Malco nella scena dell'arresto, in cui Pietro è raffigurato con la spada alzata.
Simili considerazioni valgono anche per la pagina di Luca: tra le coppie di colonne che sorreggono l'edicola in cui troneggia l'evangelista, caratterizzato come Luca dall'animale simbolico nell'arcata (ma il libro aperto sul grembo indica il testo di Giovanni, 1, 6 !), sono inserite, a destra e a sinistra, tre zone illustrate, ognuna divisa a sua volta in due quadri. Di queste 12 scene, 6 derivano dal Vangelo di Luca (sic: a sinistra, dall'alto in basso: Lu. 1, 12*; 2, 48*; 5, 3; 5, 8; 7, 12*; 5, 27; a destra: Lu. 10, 25; 11, 27*; 9, 58; 13, 6*; 14, 2*; 19, 1 ss.); anche qui l'ordine cronologico è interrotto in due punti e mancano alcune rappresentazioni altrove fisse. Tra l'altro, due elementi, la lacuna tra i quadri 1 e 2 - annunciazione a Zaccaria e Gesù dodicenne al tempio - e l'interruzione delle immagini della passione alla scena del Calvario, ci costringono all'ipotesi che, oltre ai tre ritratti degli evangelisti, manchino almeno altre due pagine miniate, con scene dell'infanzia e della passione, cosicché il manoscritto avrebbe compreso, originariamente, un ciclo di almeno 72 se non 84 illustrazioni dei Vangeli.
Le quattro pagine miniate del cimelio di Monaco (codice di Hatto) presentano un'interessante suddivisione interna dei fogli: nella pagina, incorniciata, è inscritta una larga croce: all'estremità dei due bracci, in alto e in basso, sono inserite due scene, e una terza raffigurazione è situata tra i bracci orizzontali della croce stessa.
Le scene rappresentate sono: folio 1: a destra, in alto, il dubbio di Giuseppe (dubbio che non viene dissipato da un angelo, come per esempio sulla Cattedra di Massimiano, ma dalla mano di Dio); in basso, il matrimonio di Maria; in mezzo, l'adorazione dei Magi; - folio iv: in alto, l'ordine di Erode di uccidere gli infanti, scena che viene svolta ampiamente anche negli altri due quadri. Il folio 11, nell'impaginazione, venne girato nel codice di Hatto; in origine rappresentava sul recto, in alto, il cammino dei discepoli verso Emmaus, in basso, la cena di Emmaus e, in mezzo, l'apparizione di Cristo, risorto, presso il lago; sul verso, negli angoli a lato delle braccia della croce, i quattro simboli degli evangelisti, sempre raffigurati col libro e, tranne l'aquila di Giovanni, inseriti come busti in medaglioni; sui bracci della croce, due discepoli in cammino e Tommaso dinanzi a Cristo; nella zona centrale, la riunione degli apostoli nella casa "dalle porte chiuse", e l'apparizione di Cristo.
È evidente che questi sono frammenti di un ciclo originariamente molto più vasto. Si può supporre che sul primo foglio fossero raffigurate, nell'ordine, l'annunciazione e la visitazione e, in mezzo, la scena della natività; negli angoli - analogamente alla copertina eburnea di Milano - i busti, inseriti in medaglioni, dei quattro evangelisti. Il ciclo complessivo doveva essere di poco inferiore, numericamente, a quello del St. Augustin's Gospels e precedere il testo come summa illustrativa.
Un'altra variante di questa illustrazione, sempre nell'ambito dei più antichi manoscritti miniati del N. T., è presentata dal Codice Purpureo della biblioteca diocesana di Rossano (VI sec.).
Le parti conservate del testo (Mt. fino a Mc. 16, 15, in caratteri onciali argentei su pergamena purpurea; le tre prime righe di ogni Vangelo sono in oro) sono precedute da un foglio ornamentale il titolo delle pagine (perdute) del Canone (nell'asse della croce sono inseriti, in grandi medaglioni, i busti degli evangelisti) - un ritratto di autore: Marco in atto di scrivere il suo Vangelo su di un rotulo sotto il dettato della Sophia? - e tre fogli doppi, dipinti sulle due facciate, - quindi un complesso di 12 illustrazioni corrispondenti a 17 scene del Nuovo Testamento.
Sotto le illustrazioni delle prime dieci pagine miniate, sono quattro busti di profeti dell'Antico Testamento, che indicano verso l'alto e svolgono dei rotuli con i corrispondenti testi profetici. Le numerose lacune del ciclo del N. T. e gli evidenti scambi successivi tra i varî fogli, giustificano il seguente ordinamento delle parti conservate:
1) guarigione del cieco nato, che nella scena accanto si lava gli occhi;
2) parabola del buon Samaritano, al posto del quale qui interviene Cristo, che cura il ferito e paga l'oste della locanda (il cod. 286 di Cambridge raffigura soltanto l'introduzione di questa pericope);
3) resurrezione di Lazzaro, che viene chiamato fuori da una grotta (Ioh., ii, 39);
4) ingresso in Cerusalemme; qui Cristo è raffigurato in atto di cavalcare, ma, per la prima volta, non a cavalcioni del cavallo;
5) purificazione al tempio;
6) parabola delle vergini savie e delle vergini stolte;
7) ultima cena e lavanda dei piedi;
8) e 9) communio apostolorum: Cristo porge il pane e il calice agli apostoli, che si accostano chinati e con le mani velate;
10) preghiera nell'orto degli ulivi e risveglio dei discepoli;
11) zona superiore: Cristo trascinato davanti a Pilato dai sommi sacerdoti e dagli scribi; in basso: restituzione dei danari d'argento e morte di Giuda;
12) Pilato propone ai Giudei la scelta fra Cristo e Barabba.
Alcune lacune di questo ciclo possono essere colmate dai frammenti dell'altro Codice Purpureo greco del VI sec., il cosiddetto Sinopensis (Parigi, Bibliothèque Nationale suppl. gr. 1286), benché esso presenti un'altra delle tipologie dell'illustrazione biblica dell'antichità: le miniature si trovano sul margine inferiore delle singole pagine di testo (testo a cui sono direttamente accostate), e incorniciate lateralmente, a sinistra e a destra, da figure di profeti con scritte.
Si sono conservate le seguenti miniature:
fol. 10v in due atti, Mt. 14, 10 s.; fol. 11 (molto danneggiato), Mt. 14, 15 ss.; fol. 15, Mt. 15, 32; fol. 29, Mt.
20, 29 s.; fol. 30v, Mt. 21, 19 s. (questa scena compare già una volta, alla fine del IV sec., su di un sarcofago di St. Trophimes ad Arles; il cod. 286 di Cambridge ha, invece di questa, la parabola dell'albero di fico).
L'unico manoscritto miniato tardo-antico del N. T. sicuramente datato è il codice siriaco Plut. i, 56 della Bibl. Laurenziana di Firenze, scritto e miniato nel 586 dal monaco Rabūlā nel convento di Zagba in Mesopotamia.
Anche in questo codice il ciclo delle raffigurazioni precede il testo; il miniatore aveva però due diverse serie di archetipi a disposizione: illustrazioni "a piena pagina", con figure singole o grandi composizioni sceniche, e miniature ai margini. Queste ultime si sono dapprima sviluppate nelle illustrazioni dei rotuli e solo successivamente sono derivate ai margini laterali della colonna dei codici; in origine, negli archetipi, queste miniature marginali erano di sicuro accostate direttamente, di volta in volta, alle narrazioni che illustravano (così bisogna immaginarsi i modelli del St. Augustin's Gospels e dell'artigianato minore).
Sulle miniature "a piena pagina" sono rappresentati:
fol. 1 l'elezione di Matteo, fol. iv Madonna col bambino, sotto un portico, fol. 2 i SS. Eusebio di Cesarea e Animonio di Antiochia, fol. 9v gli evangelisti Giovanni e Matteo seduti, in una cornice architetturale, fol. 10 Luca e Marco, in una cornice analoga, ma stanti, fol. 13 la crocefissione; in basso, in un registro più stretto: in mezzo il sepolcro vuoto, a sinistra l'annuncio della resurrezione alle donne, a destra l'apparizione di Cristo risorto alle donne; fol. 14 Cristo in trono, affiancato da due asceti e due monaci, fol. 14v la Pentecoste.
In mezzo a questi fogli sono inserite, dal fol. 3 fino al 9, e dal 10v fino al 12, le tavole del Canone, accanto alle quali sono complessivamente rappresentate, senza un ordine preciso, 26 scene della vita e della passione di Cristo, senza nesso apparente con i paralleli delle pericopi; a volte una scena occupa i due margini della pagina. Il ciclo comincia con l'annuncio a Zaccaria (v. cod. 286) e seguita con l'annunciazione a Maria (che sta filando, come sulla cattedra di Massimiano, la natività, la strage degli innocenti, il battesimo - fol. 4v, le due ultime scene sono però in ordine inverso), fino alle scene dei miracoli, tra le quali la raffigurazione del passo di Mt. 18, 27 (fol. 9) è un unicum nell'arte tardo-antica. Il fol. 10v e il fol. 11v (da qui in poi mancano, in alto a lato dell'arco, i profeti dell'Antico Testamento) comprendono ancora, complessivamente, cinque guarigioni miracolose; il fol. liv inizia il ciclo della passione con l'ingresso in Gerusalemme e la communio apostolorum (cfr. il Rossanensis), il tradimento e la morte di Giuda, Cristo dinanzi a Pilato, a cui si riconnette immediatamente, sul fol. 13, la miniatura della crocefissione che occupa tutto il foglio. L'odierno ordinamento dei fogli risale ad una rilegatura del XII sec., nella quale si tagliarono parte dei margini e alcuni dei quadretti marginali furono cancellati e sostituiti da testi siriaci. L'archetipo derivava certamente da un manoscritto greco o latino: lo dimostra la circostanza che, proprio nei quadretti marginali, la direzione della scrittura semitica e di quella occidentale si scambia frequentemente.
Vicini alle miniature del codice di Rabūlā, per motivi in parte iconografici e in parte stilistici, sono i fogli miniati inseriti nell'evangeliario di Ečmiadzin (del 986): Cristo in trono fra santi ed evangelisti (due da ogni lato), Maria orans (in trono!), sacrificio di Abramo, annuncio a Zaccaria, annunciazione a Maria (in casa, stante), adorazione dei Magi, battesimo di Cristo. Queste miniature vengono comunemente attribuite al VI o VII sec., ossia a una data contemporanea a quella della copertina di Milano.
Un altro manoscritto siriaco pre-iconoclastico contiene ancora 5 piccole miniature marginali accanto ai fogli del Canone (Parigi, suppl. syr., 5).
I manoscritti irlandesi ed anglosassoni precarolingi, e i testi continentali che derivano da essi, rinunciano completamente a illustrazioni del testo, e si limitano a pochi quadri. Ad esempio, Codice di Kells: 3 "ritratti" interi di evangelisti, Maria, tentazione di Cristo, arresto. Evangeliario di Lindisfarne: ritratti di autori dei quattro evangelisti; Codice di Echternach: simboli degli evangelisti; per la rappresentazione della crocefissione nel cod. 51 di St. Gallen, v. oltre.
Questi documenti della storia primitiva dell'illustrazione dei Vangeli fino al 60o circa, sopra elencati, sia diretti (come i manoscriti miniati), sia indiretti (artigianato minore, pitture murali, fonti: letterarie), rendono possibile l'accertamento di un ciclo comprendente: circa 17 scene dell'infanzia di Gesù (dall'annuncio della nascita del Battista fino a Gesù dodicenne nel tempio); 36 scene della vita (dal battesimo alla resurrezione di Lazzaro) e altre 30 circa della passione e resurrezione (dall'ingresso in Gerusalemme fino alla Pentecoste). Da monumenti più recenti, soprattutto manoscritti, nei quali, accanto alle scene sicuramente testimoniate nell'arte primitiva se ne trovano altre, delle quali finora non si conoscono documenti antichi diretti, si può però dedurre che anche questi che abbiamo elencato fossero soltanto una parte dei cicli di illustrazioni del N. T. diffusi tra il VI e il VII sec., analogamente a quanto accade per l'illustrazione dell'Antico Testamento. Questa conclusione è possibile solo nel caso in cui le immagini note e quelle altrove ignote non siano diverse le une dalle altre, dal punto di vista sia stilistico che iconografico, nella loro nuova collocazione.
In questo nesso hanno un particolare significato gruppi di manoscritti che non illustravano il N. T. o parti di esso, ma presentavano scene neotestamentarie usate in altre concatenazioni, o traevano i loro modelli figurativi da campi diversi facilmente identificabili.
Al primo gruppo appartengono le Omilie e simili testi didattico-liturgici: ad esempio i Sacra Parallela di Giovanni Damasceno (Parigi gr. 923, v. bibbia per l'Antico Testamento) e il Codice di Gregorio di Nazianze di Parigi (gr. 510, v. bibbia). Il primo, raccoglie circa 90 illustrazioni del N. T. tra le quali un quarto non sono conosciute altrimenti prima del 6oo, salvo che in casi isolati o in altra veste iconografica; il secondo consta di circa 58 scene, di cui 10 appaiono per la prima volta, senza per questo poter essere considerate creazioni del X secolo. Dobbiamo piuttosto cercare i loro archetipi nei manoscritti, sul tipo del Parigi gr. 115, in cui il testo era via via illustrato sul margine, oppure del Parigi gr. 74 sul quale piccoli gruppi di scene formano strisce inserite nelle colonne del testo. Benché ambedue questi manoscritti appartengano al X o XI sec., essi risalgono sicuramente ad archetipi notevolmente più antichi, come si può dedurre da un paragone con altri manoscritti, analoghi nel sistema di illustrazione, ma ben diversi nei particolari iconografici.
Il primo dei due manoscriti comprende ancora 52 immagini distinguibili, riferentisi al Vangelo di Matteo e a parti di quello di Giovanni; nell'altro manoscritto, 110 scene derivano da Matteo, 67 da Marco, 103 da Luca e 95 da Giovanni.
Al primo si possono paragonare il Copt. 13 Parigi, il gr. 74, vi, 23 della Laurenziana e il manoscritto Gelathi (Georgia); ad ambedue i codici si può avvicinare l'inventario di 37 miniature greche del Cod. 48 della Biblioteca del convento di St. Gallen. È comune ad ambedue i gruppi l'uso di illustrare volta per volta tutti i passi, le narrazioni parallele, dei Sinottici.
Delle cosiddette Katenenbibeln catalane (Neuss), solo quella del Vaticano (lat. 5729, "Bibbia di Farfa" o "di Bipoll"), dell'XI sec., possiede un ampio ciclo di illustrazioni del N. T.; qui le raffigurazioni occupano 9 pagine (f. 366-367v, segue la lista dei capitoli di Matteo, e 368v-37ov), su 5-7 strisce, di cui ognuna contiene più d'una scena, e precedono il testo di Matteo, illustrando però anche passi di tutti e 4 i Vangeli e costituendo così una summa figurativa del N. T., col tentativo di presentare un racconto illustrato continuo e storico.
Anche qui tutta una serie di rappresentazioni non si può ricondurre ad un ben determinato archetipo; d'altra parte la diversità delle fonti, che costringe a proporre un paragone iconografico con diverse altre fonti conosciute, e il fatto che a questa Bibbia fosse stato tramandato un ciclo di raffigurazioni tratte dall'Antico Testamento (v. bibbia), altrove sconosciute, ci portano ad una datazione relativamente molto primitiva di almeno una parte degli archetipi.
Riguardo al problema della datazione di più ampi e continuativi cicli narrativi illustrati del N. T., specie dei Vangeli, con aggiunta di narrazioni apocrife dell'infanzia e della Passione, hanno un particolare valore le colonne del Ciborio di S. Marco in Venezia. Su queste quattro colonne sono nominate per iscritto 73 rappresentazioni: parecchi tituli però designano più d'una scena, così che la (cifra complessiva ammonta a più di 100. Soprattutto gli "antefatti" vengono descritti ampiamente - Gioacchino, Anna, Maria, fino all'Annunciazione (colonna A), gioventù e primi miracoli di Gesù (B), miracoli e predicazione di Gesù (C), passione e fine (D). La datazione delle colonne è discussa ed oscilla tra il V sec. (così ultimamente ha supposto il Volbach; seconda metà V sec.?) e il XIII (Weigand, Lucchesi-Palli, recentemente il Demus). Anche se lo stile rende più probabile quest'ultima ipotesi, tuttavia il loro patrimonio figurativo deve essere considerato nel quadro della sopravvivenza di un grosso ciclo protocristiano di raffigurazioni del N. T., comprendente in ampia misura anche testi apocrifi; in conclusione, le colonne si possono aggiungere al gruppo dei tardi epigoni di tali cicli figurativi nella pittura dei manoscritti.
Un caso particolare, all'interno della illustrazione primitiva del N. T., è presentato, secondo la nostra attuale conoscenza di monumenti, dall'Apocalisse, dato che solo nel IX sec. disponiamo di esempî figurativi ispirati ad essa (i più importanti sono: n. 386 Bibl. Mun. di Cambrai; Stadt. Bibl. di Treviri, Ms. 31; Valenciennes, Bibl. Mun., n. 99; Parigi, Bibl. Nat., lat. nouv; acq. 1132). A questi poi, dopo il X sec., si possono aggiungere i commentarî illustrati dell'Apocalisse del Beato di Liebana (che d'altra parte risalgono sicuramente ad una versione redatta in una data non troppo lontana da quella del Commentario stesso, ossia alla fine dell'VIII secolo).
A Roma, al più tardi nel VII sec., deve essere stato prodotto un ampio ciclo illustrato dell'Apocalisse: infatti gli affreschi di Wearmouth, menzionati prima, presero come modello un analogo ciclo di miniature posteriori al 672; così pure i tituli di una chiesa sconosciuta di Pavia. Anche qui bisogna fare i conti con un archetipo che non è possibile determinare precisamente, tanto meno in quanto, da un lato, il riconoscimento dell'Apocalisse anche dopo che essa era stata accolta nel Canone, era soggetto, perfino in Occidente, a molte esitazioni, mentre nella Chiesa orientale essa fu riconosciuta soltanto molto tardi, solo in parte e non come testo canonico (e per questo, almeno per i tempi primitivi mancano del tutto tracce di illustrazioni dell'Apocalisse). D'altra parte proprio nell'VIII sec. a N delle Alpi e in Spagna inizia un'intensa attività di commentarî all'Apocalisse.
Si possono comunque stabilire almeno tre diverse tradizioni per l'illustrazione dell'Apocalisse nel IX-XI sec. (i manoscritti sopra menzionati di Parigi, Cambrai, Treviri ecc., il gruppo di Beato e le 20 miniature della Bibbia di Roda, Parigi, lat. 6; mentre la Bibbia di Farfa non ha illustrazioni dell'Apocalisse) che si dividono a loro volta in due sistemi decorativi: miniature marginali, poste accanto o inserite nelle colonne dei codici, e miniature "a piena pagina" (talora come quadri interi, talora suddivise in registri), sicché si può attribuire all'Apocalisse al più tardi nel VI sec. un patrimonio fondamentale di quasi 40 miniature.
A questo si aggiunge che proprio nei Commentarî di Beato sono comprese rappresentazioni del N. T. (spesso con evidenti corrispondenze con raffigurazioni primitive dei Vangeli) e anche da queste considerazioni si arriverà alla constatazione dell'esistenza di collegamenti indiretti piuttosto antichi.
Dei cicli figurativi premedievali dell'Apocalisse solo pochi frammenti sono rimasti, generalmente scene singole o piccoli gruppi di raffigurazioni: la Lipsanoteca di Brescia (Volbach, 107; v. lipsanoteca), il Dittico di Firenze (Bargello) (Volbach, 108), i frammenti di una cassetta a Londra, British Museum (Volbach, 117), gli affreschi di elBagawat, e testimonianze letterarie (Aratore) per la metà del VI sec. presso S. Pietro in Vinculis, che continua comunque il ciclo della Passione sui sarcofagi (v. sopra).
Soltanto frutto di congetture è l'ipotesi che il Cavallini avrebbe sostituito sul fianco sinistro della navata centrale di S. Paolo fuori le Mura un ciclo con rappresentazioni di avvenimenti evangelici con 42 scene degli Atti e ipotetica rimane pure la ricostruzione, intrapresa dal Wilpert, del ciclo di Pietro nell'abside dell'antica chiesa di S. Pietro.
Tuttavia le scene ispirate dagli Atti, rinvenute recentemente nelle absidi laterali di S. Giovanni di Müstair, le 8 miniature della Bibbia di S. Paolo fuori le Mura posta all'inizio della Lettera ai Romani, insieme con le scene isolate prima menzionate e agli accenni ad altre raffigurazioni di questo tema nelle opere di Prudenzio e di Paolino di Nola e, infine, prova indiretta, la menzione di altre leggende di Santi, come ad esempio, in S. Martino di Tours: tutti questi elementi fanno sembrare quasi sicura l'esistenza, nel IV e V sec., di un ampio ciclo illustrativo degli Atti.
Resta problematico se in epoca primitiva fossero accostate al corpus delle epistole del N. T., oltre alle immagini degli autori anche altre illustrazioni di scene; in caso ci fossero state dovremmo immaginarle nel genere dell'illustrazione dei Salteri, cioè inserimento e aggiunta in forma sintetica di scene bibliche, alle quali il testo stesso poteva fornire lo spunto.
Le 8 scene della vita di S. Paolo della Bibbia carolingia di Roma, che abbiamo menzionato prima, appartenevano sicuramente, nei loro archetipi, ad un'illustrazione degli Atti. L'arte protocristiana ha creato una stabile tipologia ritrattistica solo per Pietro e Paolo; possiamo coglierne le prime forme sui rilievi dei sarcofagi dell'inizio dei IV sec., dai quali sono state trasmesse agli altri rami artistici. Gli altri apostoli ed evangelisti invece non vengono quasi mai differenziati individualmente; anche il tipo giovanile di Giovanni dell'arte medievale non è sicuramente attestato nell'arte primitiva.
Per tutti il punto di partenza è il ritratto di filosofo dell'antichità (come per i profeti e i patriarchi dell'Antico Testamento: v. filosofi).
L'incarnazione di Cristo viene raffigurata nell'arte cristiana del III sec. e dell'inizio dei IV (in prevalenza ancora legata all'arte funeraria) in immagini che contengono solo indirettamente la vera e propria incarnazione: le profezie dell'Antico Testamento (Isaia 2, Balaam 4, e Michea 2 (catacombe di Priscilla, Callisto, Pietro e Marcellino e su 4 sarcofagi) e l'adorazione del bambino divino, seduto in grembo alla madre, in atto di ricevere l'aurum coronarium dei Magi, come un principe imperiale riceve le offerte delle province sottomesse (Catacombe 22 esempî, sarcofagi più di 50). Già si è parlato della contrapposizione di questa scena a quella del rifiuto di adorazione dei tre giovani babilonesi (della loro punizione); questa scena è la più evidente affermazione del Bambino quale vero re.
Soltanto verso la metà del IV sec. appare - dapprima sui sarcofagi - il vero e proprio "presepio": il bambino in fasce in una madia o in una mangiatoia a forma di cesta, nella stalla, attorniato dal bue e dall'asino: intorno Maria e Giuseppe, i Magi o i pastori, che portano le loro offerte (ad esempio frammento di sarcofago in S. Callisto, sarcofago di Adelfia, sarcofago di Claudiano, sarcofago di Mantova, e due altri esempî piuttosto tardi e dai particolari incerti, nelle Catacombe di S. Sebastiano e di Pietro e Marcellino).
Le fonti letterarie che hanno fornito i particolari della scena sono il Vangelo dello Pseudo Matteo e le Esegesi di Origene (Hom., 13) e di Ambrogio (Expos. Ev. sec. Lu., 2, 42).
Questa iconografia viene ripresa dall'artigianato minore, con molte variazioni successive nei particolari della mangiatoia, della stalla, della posizione e dell'atteggiamento di Maria e di Giuseppe (seduti, stanti; spesso Maria giace su un letto coperto da un panno) e nell'ordine dell'omaggio dei Magi, scena che spesso può essere raffigurata separatamente; tra gli esempî citiamo: la copertina del libro di Milano (Volbach, 119), la cassetta di Werden (Volbach, 118) le tavolette di Manchester (Volbach, 127), e di Londra (Volbach, 131), la cattedra di Massimiano, le ampolle di Monza e di Bobbio, una stoffa nel tesoro del Vaticano, la copertina di Ečvmiadzin (Volbach, 142), e altri; sul lato stretto del sarcofago "a porte di città" di Milano, e sulla metà (sinistra) della placca di avorio di Nevers (Volbach, 114, inizio V sec.) mancano Maria e Giuseppe.
Per la prima volta all'inizio del VI sec. sono accertati nel patrimonio iconografico conservato quegli ampliamenti narrativi che derivano in parte da testi apocrifi, in parte risalgono invece a rappresentazioni e forme iconografiche non cristiane (a prescindere dai mosaici dell'arco trionfale di S. Maria Maggiore, che costituiscono comunque un caso speciale); vengono ad esempio raffigurati la leggenda di Salomè (dal Protev. Giac.) (v, 127, v, 131 e catt. di Massimiano) e il bagno del Bambino, scena nella quale un tipo iconografico creato nell'arte tardoantica per il mito di Dioniso e trasmesso alla storia dell'infanzia di Alessandro, il salvatore, viene adattato anche per il vero bambino divino (copertina di Ečmiadzin). Il quadro rappresenta il Bambino in fasce in una mangiatoia tra il bue e l'asino, vicino a Maria giacente e a Giuseppe, che in genere è raffigurato seduto; in alto la stella e gli angeli, di fianco Salomè con la mano secca o già guarita, in primo piano il bagno del Bambino, sullo sfondo l'annuncio ai pastori (oppure) con la cavalcata dei Re Magi. Questa rappresentazione diventerà la canonica icona bizantina della Genesi, mentre l'arte medievale dell'Occidente conserverà sempre una maggiore libertà nella raffigurazione della scena natalizia.
5. Crocefissione e Resurrezione. - La raffigurazione realistica della crocefissione di Cristo (v. croce) è estranea all'arte cristiana sino alla fine del IV sec. (fatta eccezione per tre amuleti: da Gaza in Coll. Chester, Wakefield, da Costanza, Romania, oggi al British Museum, e uno oggi scomparso [?], tutti del II o del III [?] sec. e in ogni modo d'ispirazione gnostica o, nel migliore dei casi, montanistica; lo stesso vale per la cosiddetta caricatura della croce del Palatino, v. graffito).
La più antica raffigurazione a noi conservata di Cristo sulla Croce è quella della cosiddetta Tavoletta londinese della Passione: Cristo nimbato, con lunghi capelli e barba, è inchiodato alla Croce con le braccia distese; le gambe anch'esse allungate poggiano su di un suppedaneo; il corpo è completamente nudo salvo uno stretto subligaculum. Sotto la Croce sono, da una parte, Maria e Giovanni, dall'altra un soldato; mancano i ladroni. Questi appaiono per la prima volta sulla porta di legno di S. Sabina, dove però mancano tutte le altre figure secondarie. La tipologia del Cristo è molto vicina a quella della Tavoletta di Londra, solo le braccia sono piegate (così anche i due ladroni che inoltre sono di differente statura rispetto al Cristo, e, come lui, poggiano sul terreno).
Questa tipologia del Cristo ignudo (salvo lo stretto perizoma sui fianchi) non ha trovato molto seguito successivamente, anzi: Gregorio di Tours (nel 593) maschera i suoi scrupoli nei riguardi di una crocefissione di questo genere che aveva visto a Narbona, raccontando di un sogno, nel quale il Cristo gli avrebbe chiesto di essere vestito. E che tali obiezioni non fossero isolate lo dimostrano rappresentazioni dello stesso tempo o immediatamente posteriori che ci sono conservate: il Codice di Rabūlā, il coperchio dipinto del Sancta Sanctorum, S. Maria Antiqua, il cofanetto della Biblioteca Vaticana, una stoffa da Akhmim, ecc. In tutte il Cristo è nimbato, con lunghi capelli e la barba, completamente rivestito dal colobium, la testa leggermente inclinata, ma gli occhi aperti; è ritto - anche nelle rappresentazioni sulle quali ambedue i piedi sono inchiodati e non poggiano su di un suppedaneo - inchiodato alla Croce, con la ferita aperta sul costato. In pratica le varianti riguardano i due ladroni, ora legati, ora inchiodati, (quando non mancano del tutto), o l'aggiunta (l'assenza) dei soldati, di Maria e di Giovanni.
La rappresentazione dell'agonia di Cristo sulla Croce è evitata anche in questo gruppo; essa appare soltanto col Medioevo (a dire il vero anche in Bisanzio è più antica di quanto non voglia ammetterlo il Grondijs). Grazie alla missione irlandese questo tipo di crocefissione arriva anche nel N, dove tuttavia viene trasformato da una estrema stilizzazione (Cod. di San Gallo, 51; Lindisfarne Gospels, ecc.).
Nel Sacramentario di Gellona, Cristo è rivestito per la prima volta invece che dal colobium dal perizoma, che fino ad allora era attribuito solo ai ladroni (Parigi, Bibliothèque Nationale lat. 12048, seconda metà VIII secolo).
Le forme particolari, prima menzionate, delle ampolle di Monza e dei monumenti che si possono annoverare in questo gruppo, si spiegano col desiderio di rappresentare non un quadro storico della crocefissione, ma la crux invicta, come è dimostrato dalla composizione, che presenta quasi sistematicamente il sepolcro vuoto in basso e, in un caso, sostituisce il medaglione con il busto di Cristo, con il Cristo benedicente nella mandorla, portata da angeli, continuando così l'ideologia dei sarcofagi del IV sec.: per la Croce e sulla Croce, Cristo ha vinto la morte.
L'arte protocristiana conosce la resurrezione di Cristo solo in rappresentazioni indirette: l'arrivo delle donne, la mattina di Pasqua, al sepolcro vuoto, dove l'angelo annunzia loro la Resurrezione del Signore, descensus ad inferos nel cosiddetto Limbo: Cristo attraversa le porte dell'antinferno, liberando i morti ivi rinchiusi e, in testa ad essi, Adamo ed Eva. Quest'ultimo quadro è diventato nell'arte bizantina l'icona canonica della anastasis = resurrezione.
Al più antico repertorio iconografico cristiano appartiene anche l'ingresso del mirroforo, come è provato dalle pitture del fonte battesimale di Dura-Europos (v. sopra). Solo nel IV sec. questa scena ricompare sul sarcofago di Servanne, diventando quasi canonica nel corso del V sec. nel ciclo delle scene della passione e della morte; avorio di Monaco, dittico di Milano, Londra (queste due scene raffigurano per la prima volta la porta semiaperta), mosaico di S. Apollinare Nuovo, ampolle di Monza, codice di Rabūlā, coperchio del Laterano, S. Sergio di Gaza (secondo Concio), ecc. Gli elementi variabili sono l'architettura del sepolcro, che più o meno fedelmente vorrebbe riprodurre la rotonda sepolcrale di Gerusalemme (la copia più esatta è sulle ampolle di Monza), l'atteggiamento e il numero delle guardie e delle donne; la composizione fondamentale è comunque uniforme.
Le raffigurazioni del Descensus ad inferos si ispirano ampiamente nei particolari al cosiddetto Vangelo di Nicodemo (apocrifo); esse sono attestate per la prima volta nella descrizione delle pitture murali della chiesa di S. Sergio a Gaza (insieme con le scene della crocefissione, dei guardiani e delle donne al sepolcro e dell'ascensione).
Se la ricostruzione del Wilpert delle opere liberiane nell'antica chiesa di S. Pietro a Roma dovesse essere confermata, potremmo anticipare questa iconografia già al tardo IV secolo. Ma anche non potendo ammettere questa tradizione figurativa prima dell'VIII sec. (oratorio di Maria nell'abbazia di S. Gallo, mosaico di Giovanni VII in S. Pietro, affreschi di Müstair, avorî carolingi e ottoniani, Parigi gr. 510 e gr. 75, Apocalisse di Gerona, ecc.) bisogna però supporre un precedente sviluppo anche nell'ambito dell'arte premedievale, data la vasta diffusione proprio degli esempî più antichi e la loro parentela iconografica relativamente stretta; del resto le discussioni teologiche sulla partecipazione dei morti dell'Antico Testamento alla resurrezione risalgono già ai tempi primitivi della chiesa. Non ultimo elemento per una datazione piuttosto antica della rappresentazione è, come si è detto, la sua presenza tra le grandi icone canoniche bizantine.
Anche l'ascensione di Cristo in uno dei più tardi tipi iconografici, manca nel repertorio protocristiano finora conosciuto. Quella che è stata considerata la più antica rappresentazione dell'Ascensione, ossia la pittura del soffitto nell'ultima camera della tomba di Clodius Hermes (sotto S. Sebastiano) è di sicuro un monumento non cristiano, come è provato dalle immagini conservate nei medaglioni degli angoli, ma rappresenta l'ascensione (o la Parusia?) di un miste o di un heros di una non meglio identificabile comunità gnostica del III secolo.
Nelle catacombe cristiane di Roma troviamo per contro, nel IV sec. (tomba dei Giulî nel cimitero sotto S. Pietro - subito dopo il 300 e la cosiddetta camera dei Tricliniarchi in Pietro e Marcellino - seconda metà del IV sec.) due immagini di Helios sul carro del sole, simbolo dell'ascensione di Cristo; anche qui dunque un antico simbolo imperiale (come il bagno del bambino divino = del Salvatore) è stato attribuito a Cristo, che è il vero sol invictus (come in altre raffigurazioni della prima antichità è il vero Orfeo, filosofo, Prometeo, cacciatore e condottiero imperiale e vincitore [catacombe e sarcofagi]).
Ad una elaborazione prettamente cristiana del tema dell'Ascensione si arriva, per quanto ci è dato oggi di vedere, soltanto nella seconda metà del IV sec.: per la prima volta su di un frammento di sarcofago a Clermont e sul sarcofago di Servanne, Cristo sale sulla montagna afferrando la mano che Dio gli tende incontro dalle nuvole. Anche l'avorio di Monaco raffigura questo Cristo redeuntem ad patrem, come lo descrive anche Prudenzio nel Dittochaeon. Sul pannello dell'Ascensione della porta lignea di S. Sabina appare invece una tipologia, che più tardi è detta "orientale": Cristo è letteralmente trascinato in alto da due angeli, mentre un terzo angelo sembra spiegare l'accaduto ai discepoli, seduti sul pendio dirupato del monte (essi sono rappresentati anche sull'avorio monacense); al movimento delle linee sul rilievo in legno corrisponde il movimento qui molto più vivo delle figure dei testimoni.
Mentre nell'alto e basso Medioevo in Occidente ritorna spesso il motivo del Signore che sale senza aiuti celesti, l'iconografia della chiesa orientale, dal VI sec. in poi, si riconnette con la concezione della porta di S. Sabina, conciliandola però con ulteriori elementi, in parte derivati da fonti e composizioni precedenti; il codice di Rabūlā e le ampolle di Monza sono le più antiche testimonianze iconografiche di questa tradizione, che comunque più tardi non è ignota anche all'arte occidentale: in una mandorla portata da due, quattro o, sporadicamente, anche sei angeli (nel codice di Rabūlā e più tardi, sovente, specie sulle pitture murali copte, appaiono inoltre le ruote di fuoco della visione di Ezechiele), Cristo vola in alto, con un libro o un rotulo in mano, benedicendo, stante o in trono, allontanandosi agli sguardi degli apostoli riuniti (raffigurati nella zona inferiore), in mezzo ai quali per lo più appare Maria-Ecclesia orante, oppure nel tipo della Hodegetria, talvolta anche in trono col Bambino in grembo, altre volte infine accompagnata da angeli. Questa rappresentazione dell'ascensione diventa l'icona bizantina dell'ascensione, semplicemente come Analipsis, e appare, oltre che nelle miniature e nell'artigianato minore, soprattutto nelle composizioni absidali (ad esempio Bawit, Cappelle 6, 17, 42, 45, 46 per i casi singoli più importanti).
Una forma particolare compare nella cappella di S. Venanzio in Laterano, decorata sotto Giovanni IV (metà VII sec.): gli angeli portano in alto un medaglione con il busto di Cristo.
Così si chiude da questo lato il cerchio, ricollegandosi alla crocefissione delle ampolle di Monza, in cui il medaglione di Cristo, oppure il Cristo nella mandorla, stava o volava sopra la Croce; due avorî dell'VIII-IX sec. raffigurano nella scena dell'ascensione, tra la mandorla e gli apostoli dallo sguardo rivolto verso l'alto, una croce dalle braccia uguali, che racchiude le due zone del quadro.
Nel quadro dell'ecclesia sulla porta di S. Sabina appare ancora il Cristo stante, nella mandorla, con il rotulo che svolge, sopra i due Principi degli apostoli che incoronano l'ecclesia con l'alloro crucigero. Infine si possono ricordare, a questo proposito, le maestà dei sarcofagi, ecc. del IV sec., sui quali Cristo appare per la prima volta come signore del paradiso sul trono del cielo (sarcofago di Giunio Basso), oppure in atto di ricevere l'omaggio dei suoi apostoli (sarcofagi con stella e corona).
L'avvenimento "storico" è di nuovo trasformato in quadro simbolico, o almeno arricchito da raffigurazioni ereditate dall'arte simbolica, ed innalzato al di sopra della sfera puramente narrativa.
Bibl.: Per le enciclopedie, dizionarî e corpora di carattere generale vedi s. v. avorio; bibbia; catacombe; illustrazione; roma; sarcofagi; qui sono elencate soltanto opere con relazione speciale all'argomento N. T.: introduzioni, testi e versioni, apocrifi, fonti letterarie, pittura e mosaici, scultura, arti minori, miniature (tutti con i rispettivi monumenti discussi nel testo), iconografia generale del N. T. e temi particolari seguendo l'ordine del testo.
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