norma
Nell’uso linguistico corrente, regola del comportamento umano tanto nel senso di prescrizione di una condotta ritenuta buona, giusta, desiderabile o semplicemente voluta, quanto nel senso di istruzione per il raggiungimento di determinati risultati (n. o regola tecnica). Nel primo significato la n. si caratterizza come categoria centrale dell’esperienza morale e giuridica e, di riflesso, come oggetto privilegiato di studio della filosofia pratica e del pensiero giusfilosofico. L’affermazione del termine è, però, recente. Derivato dal latino norma («squadra», strumento per l’edilizia), il termine apparve subito come sinonimo di regola (dal lat. regula «regolo», altro strumento per l’edilizia) nel significato metaforico di conformità a un modello di comportamento umano, e, quindi, con riguardo al contenuto di un precetto da adattare al caso concreto, seguendo l’immagine aristotelica del canone (regolo) lesbio, che «si adatta alla forma della pietra e non rimane saldo» (Etica Nicomachea, 1137 b). In questa accezione il termine ricorre comunque raramente sia nel Corpus iuris civilis sia nella letteratura giuridica e filosofica antica e medioevale – emblematica la sua assenza nella Summa theologica di Tommaso –, oscurato dall’uso abituale di regula, lex, praeceptum.
La definizione di n. di Heineccius (1681-1741), sulle orme di Pufendorf e Thomasius, segna un punto di svolta: «per normam hic intelligimus evidens boni malique criterium. Neque ergo illa recte suo fungeretur officio, nisi recta, certa, et constans esset» («per norma intendiamo qui il criterio evidente del bene e del male. Né essa svolgerebbe correttamente il proprio compito, se non fosse retta, certa e costante»; Elementa iuris naturae et gentium, 1737, I,1). La n. abbandona così la flessibilità del canone aristotelico per divenire ‘obbligatoria’, guida delle ‘azioni umane libere’; essa esprime ora «la funzione attiva del ‘disporre’: non è più il ‘disposto’, bensì un ‘disponente’ che ha un suo ‘contenuto’» (R. Orestano, Norma statuita e norma statuente. Contributo alle semantiche di una metafora, in Materiali per una storia della cultura giuridica, 1983, XIII, 2). Nel nuovo significato il concetto di n. trova largo impiego nella dottrina giusfilosofica lungo un percorso di differenziazione dai termini sinonimi, indubbiamente preferiti nell’ambito della speculazione filosofica – Kant parla di «legge (morale-pratica)»; Hegel di «legge etica» –, e di sottolineatura di un particolare aspetto dell’esperienza giuridica continentale moderna e contemporanea, quello della formulazione da parte di un’autorità legislatrice delle regole giuridiche, composte in un sistema di diritto codificato. La piena interscambiabilità di n. (norm) e regola (rule), in ambito giuridico, rimane, invece, a denotare la prassi giurisprudenziale dei sistemi di common law, basata su una maggiore considerazione di standard morali e consuetudini sociali.
Rilevanti sono, dunque, gli sviluppi ottocenteschi della problematica delle n. giuridiche nell’ambito dottrinale tedesco, confluenti nella proposta di un modello imperativistico di n. come espressione della volontà del potere sovrano dello Stato, sostenuta da sanzione coattiva in caso di sua violazione. Gli autori più rappresentativi (von Jhering, A. Thon, E.R. Bierling) concordano sulla natura imperativa della n. giuridica e nell’identificare il rapporto tra normatore e destinatario con un rapporto tra volontà, ma divergono sul ruolo – eventuale o essenziale – della coazione nella definizione del concetto di diritto, visto come insieme di n. giuridiche, con le rispettive, contrapposte
finalità di esaltare o deprimere i momenti consensuali ed eticamente significativi della disciplina giuridica della vita sociale.
La più importante illustrazione del concetto di n. giuridica si rinviene, però, agli inizi del Novecento con il normativismo di Kelsen (➔). La n. giuridica viene presentata dapprima, in una prospettiva fortemente critica verso l’imperativismo, come un giudizio ipotetico, del tipo ‘se a, deve essere b’, dove a è il comportamento illecito, b la sanzione, e il dover essere (sollen) esprime, recependo gli insegnamenti epistemologici delle scuole neokantiane, la specificità di un nesso di imputazione distante dalla necessità del rapporto di causa-effetto, nel tentativo di scavare un insuperabile fossato tra la stessa n. giuridica e le n. morali, caratterizzate da un meccanismo psichico-naturalistico di motivazione. L’elemento imperativo delle n. giuridiche verrà, in seguito, rivalutato dal Kelsen maturo (si veda soprattutto Allgemeine Theorie der Normen, 1979; trad. it. Teoria generale delle norme), in un contesto di maggiore sensibilità verso tutte le funzioni esplicabili dalle n. – ossia, accanto al comandare, il permettere, l’autorizzare, il derogare – e di attenzione alle ricerche nel campo dell’analisi del linguaggio normativo e della logica deontica, che aprono nuovi spazi allo studio della n. in generale. Nel panorama della seconda metà del Novecento risulta pertanto notevole il contributo di G.H. von Wright, in Norm and action. A logical enquiry (1963; trad. it. Norma e azione. Un’analisi logica), che distingue tre tipi principali di n. – le regole (regole di gioco, grammaticali, matematiche, logiche), le prescrizioni (proibizioni, permessi, comandi; per es., le leggi di uno Stato), le direttive (n. tecniche) – cui vanno aggiunti tre tipi secondari di particolare importanza (costumi, principi morali, regole ideali), che mostrano affinità con più di un tipo principale. Allo stesso von Wright e a Georges Kalinowski si devono poi i primi significativi sviluppi di logica deontica, disciplina che ricostruisce la struttura logica delle n. e le relazioni logiche esistenti tra le n. senza l’attribuzione di un valore di verità, mentre a Ross, sempre nella direzione dell’ammissione della possibilità e della opportunità di una specifica logica delle n., si deve un’esauriente spiegazione della differenza tra direttive e n. sulla base della distinzione tra discorso indicativo e discorso direttivo, con la conseguente definizione di n. come una direttiva cui corrispondano determinati fatti sociali (Directives and norms, 1968; trad. it. Direttive e norme). I filosofi e i teorici che si riconoscono nel metodo dell’analisi del linguaggio – tra i quali, in Italia, vanno ricordati Bobbio, Scarpelli e Tarello, con le rispettive scuole attive fino ai nostri giorni – risultano, infine, impegnati in un rigoroso lavoro di classificazione delle n. (imperative, permissive, attributive, costitutive, metanorme, ecc.), ovvero di distinzione delle accezioni di n., quanto meno come enunciato normativo e come contenuto di senso di tale enunciato, emergente al termine di un’operazione di interpretazione.