NOMOGRAFIA
. Il nome è di data relativamente recente, e fu introdotto da M. d'Ocagne (1891) a designare la teoria generale di quei metodi di rappresentazione geometrica delle leggi di dipendenza fra due o più variabili, che, quando siano prefissati ad arbitrio i valori di codeste diverse variabili meno una, permettono di determinare, per approssimazione, il corrispondente valore di quest'ultima con una semplice lettura, eventualmente sussidiata da un'interpo]azione a vista. Si può dire perciò che tali rappresentazioni geometriche costituiscano altrettante tavole grafiche, destinate a scopi analoghi a quelli, per i quali si usano le tavole numeriche, di cui sono esempio tipico quelle logaritmiche o logaritmico-trigonometriche; e le tavole grafiche risultano preferibili a quelle numeriche tutte le volte che nei calcoli - come spesso accade nella tecnica - si richiede soltanto un limitato grado di precisione, mentre interessa di conseguire la massima possibile economia di tempo.
Ogni rappresentazione grafica di una legge di dipendenza tra variabili vien chiamata dal d'Ocagne nomogramma; mentre altri particolarmente in Italia, usano il nome - di più antica data - di abaco, o quello generico di diagramma. G. Pesci riserva il primo di questi due ultimi nomi a designare i nomogrammi rappresentativi di leggi di dipendenza definite matematicamente, e chiama diagrammi quelli corrispondenti a leggi determinate sperimentalmente, in base a serie discrete di misurazioni, e poi completati per interpolazione, secondo criteri di continuità.
La risoluzione di problemi numerici particolari - soprattutto di astronomia e di navigazione - ha condotto da secoli alla costruzione di tavole grafiche, di cui talune risalgono al Medioevo. Ma la teoria generale si venne costituendo soltanto negli ultimi decennî del secolo scorso; e il merito di aver coordinato i procedimenti disparati, già prima introdotti caso per caso, in un corpo di dottrina, suscettibile di ulteriori sviluppi, spetta in gran parte al d'Ocagne, che a questo nuovo capitolo delle matematiche applicate recò contributi originali e fecondi.
Della nomografia verranno, in questo breve articolo, illustrati per via di esempî i primi principî e i metodi più semplici. Il lettore desideroso di più larghe notizie potrà consultare le opere indicate nella bibliografia.
1. Scale metriche e scale funzionali. - Si dicono metriche le scale ordinarie, di cui sono corredati i più comuni strumenti di misura, quali i termometri e i barometri, e che si vedono generalmente segnate sulle piante di edifici e di città e sulle carte topografiche e geografiche. Per costruire una scala metrica si fissano su una retta (supporto della scala) un punto-origine O, un segmento-unità e - se si vogliono distinguere i punti situati da parti opposte rispetto a O - un senso positivo; dopo di che si associa a ogni punto della retta il numero che misura la sua distanza da O, preso col segno + o -, secondo che il punto considerato segue o precede O nel senso positivo. È questo il numero che in geometria si chiama l'ascissa del punto (v. coordinate: n. 7) e che qui se ne dice piuttosto la quota. Di solito - e in particolare in nomografia - si segnano sulla scala (ciascuno con un sottile trattino perpendicolare al supporto) i punti che a partire dal punto O, di quota o, si susseguono a differenza di quota costante, o, come si suol dire, a quote in progressione aritmetica (v. progressione) di differenza 1 o 2 o 5 o 10, o anche 0,1 o 0,2 o 0,5, ecc., e ognuno di questi punti (o parte di essi) si contrassegna con la rispettiva quota. La differenza costante di quota va scelta abbastanza piccola perché risulti facile l'interpolazione a vista, cioè sia possibile valutare a occhio, con sufficiente approssimazione, le quote spettanti ai punti intermedî a quelli effettivamente segnati.
Oltre le scale metriche si usano in nomografia le cosiddette scale funzionali. Si consideri una qualsiasi funzione, ad es. la y = Log x, dove col simbolo Log si denota il logaritmo in base 10. Per costruire la corrispondente scala funzionale, che in questo caso si chiama più precisamente logaritmica, si fissano sulla retta, scelta come supporto, un punto O, un'unità di misura e un senso positivo; e a ogni punto P della retta si associa, come quota, quel certo numero x, il cui logaritmo è eguale alla distanza OP, misurata rispetto all'unità e al senso positivo prefissati. Così, in particolare, al punto O (in quanto o = Log 1) spetta la quota 1.
Anche in queste scale funzionali si segnano effettivamente i punti, le cui quote si susseguono a una prefissata differenza costante; e anzi nel caso della scala logaritmica, poiché il logaritmo, al crescere del numero, va crescendo sempre più lentamente, sicché i punti a differenza di quota costante finirebbero con l'addensarsi troppo, la differenza costante si riduce via via nei successivi tratti della scala. P. es., sono scale logaritmiche quelle segnate tanto sul fisso quanto sul mobile dei regoli calcolatori (v.).
Oltre le scale logaritmiche trovano frequenti applicazioni nella numografia le scale funzionali corrispondenti alle funzioni x2, sen x, tang x, ecc.; e talvolta si ricorre anche alle cosiddette scale proiettive, che corrispondono alle funzioni del tipo
dove a, b, c, d denotano numeri dati. Il nome deriva dal fatto che una tale scala si può immaginare ottenuta proiettando una scala metrica da un conveniente centro su un supporto non parallelo e attribuendo come quota a ogni punto della nuova scala la stessa quota, che sulla scala metrica spettava al punto, da cui quello considerato proviene per proiezione. La quota di ciascun punto è, sulla scala proiettiva, il corrispondente birapporto rispetto ai tre punti, che provengono per proiezione dai tre punti, cui competono sulla scala metrica le quote ∞, 0 e 1 (v. coordinate: n. 21; geometria: n. 24).
Il supporto di una scala metrica o funzionale può anche essere anziché rettilineo come dianzi si è supposto, comunque curvo; ma in tal caso le distanze fra i punti del supporto vanno prese non in linea d'aria bensì lungo il supporto stesso.
2. Scale doppie o sovrapposte. - Come abaco o nomogramma di un'equazione della forma
si può adottare la cosiddetta scala doppia, che si ottiene segnando su uno stesso supporto (per comodità, dalle due parti di esso) e con gli stessi elementi di riferimento (punto-origine, unità e senso positivo) la scala metrica per la variabile y e la scala funzionale relativa a f (x). Ogni coppia di valori di x e y soddisfacenti la data equazione è costituita dalle due quote, che nelle due scale competono a un medesimo punto del sostegno e viceversa.
A una scala doppia si può ricorrere anche quando si abbia un'equazione della forma
Si dovranno allora sovrapporre su uno stesso supporto - e con le stesse norme dianzi indicate - le due scale funzionali corrispondenti alla f(x) e alla ϕ(y). Per es., nella fig. 1 è data la scala doppia corrispondente alla equazione
che esprime la legge di rifrazione di un raggio luminoso nel passaggio dall'aria al vetro. Per ogni valore di a (angolo di incidenza compreso fra 00 e 900) si ha per β (angolo di rifrazione) un valore determinato compreso fra 0° e 41°,8.
3. Abachi cartesiani. - Per le equazioni in tre variabili, risolute o no rispetto a una di esse, cioè indifferentemente dell'una o dell'altro delle due forme
il tipo più semplice e, storicamente, più antico di abaco si costruisce nel modo seguente. Nel piano, o foglio del disegno, su cui siano stati fissati due assi cartesiani x, y di origine O - ciascuno dei quali è, per definizione, supporto di una scala metrica - l'equazione (1)' quando la variabile z vi si consideri come un parametro, definisce, in corrispondenza di ogni valore di z, una certa curva (detta dal d'Ocagne curva quotata e da C. A. Vogler isopleta), onde, al variare di z, si ha un sistema di infinite curve, delle quali per ogni punto del piano passa una, e una sola. Orbene, s'immagini di avere effettivamente tracciato le curve di questo sistema, che corrispondono a certi valori di z in progressione aritmetica di differenza abbastanza piccola, e di avere attribuito a ciascuna di esse, come quota, il corrispondente valore di z; il che equivale a considerare nello spazio (riferito, oltre che ai due assi x, y, a un terzo asse z, perpendicolare in O al piano del disegno) la superficie S di equazione (1) e a rappresentarla sul piano Z = 0 col metodo dei piani quotati o topografico (v. descrittiva, geometria: n. 17). Le curve quotate non sono che le curve di livello di questa rappresentazione topografica della superficie S.
Scelti ad arbitrio per le x, y due valori x1, y1, la quota z, della curva quotata o di livello passante per il punto (x1, y1) dà precisamente il valore di z, che insieme con x1 e y1 rende soddisfatta l'equazione (1). E se sul foglio non è effettivamente tracciata la curva di livello passante per quel punto, si può tuttavia desumere approssimativamente, con una interpolazione a vista, quale quota spetti a una tal curva, tenendo conto dell'andamento di quelle prossime e delle loro quote.
È per questo tipo di nomogrammi che L. Lalanne introdusse il nome di abachi (da ἄβαξ o αβάκιος "scacchiera"), in quanto le linee di livello vi appaiono tracciate sul reticolato a maglie quadrate delle rette x = cost., y = cost., parallele agli assi, condotte per i punti segnati sulle rispettive scale metriche.
Il primo esempio di questi abachi cartesiani risale a L. E. Pouchet (1797), che, rappresentando in tal modo l'equazione z = xy, costruì la sua tavola grafica di moltiplicazione e divisione (fig. 2). La superficie S è in questo caso un paraboloide iperbolico (v. quadriche) e le curve quotate sono iperboli equilatere (v. coniche).
Si noti che le linee di livello risultano rette o, rispettivamente, circonferenze negli abachi cartesiani delle equazioni dei due tipi seguenti (v. coordinate: nn. 11, 13):
4. Anamorfosi. - Si deve al Lalanne un'idea geniale e feconda, che si può dire segni l'inizio della moderna nomografia e che qui verrà chiarita sull'esempio particolarmente semplice, da cui mosse lo stesso Lalanne.
L'equazione z - xy, ove si prendano i logaritmi, ad es. in base 10, dei due membri, assume l'aspetto
sicché, ponendo Log x = ξ, Log y = η, Log z = ζ, si è condotti all'equazione
il cui abaco cartesiano, nel piano ξη, ha come linee quotate le rette parallele alla bisettrice del 2° e 4° angolo degli assi cartesiani ξ, η. Perché l'abaco così ottenuto permetta la risoluzione della (2), cioè della primitiva z = xy, basta attribuire, come quota, a ciascuna retta ζ cost. non già il rispettivo valore di ζ, bensì quel valore di z per cui è Log z = ζ, e, nello stesso tempo, graduare gli assi ξ e η non già secondo le consuete scale metriche, ma secondo le scale logaritmiche relative a Log x e Log y (fig 3).
Analoga trasformazione è possibile per l'abaco cartesiano corrispondente a ogni equazione del tipo
nel qual caso si suol dire che le variabili sono separabili in modo semplice. Ponendo ξ = ϕ(x), η = ψ(y), si è condotti all'equazione
la quale, in corrispondenza agl'infiniti valori del parametro z, definisce, rispetto agli assi cartesiani ξ, η, una famiglia di infinite rette. Perciò si otterrà per l'equazione (3) un abaco costituito da tre sistemi di rette (di cui due formati da rette parallele, rispettivamente, all'asse η e all'asse ξ), purché a ciascuna delle rette (4) si attribuisca, come quota, il corrispondente valore di z, e, nello stesso tempo, si graduino gli assi ξ, η secondo le scale funzionali relative a ϕ(x) e ψ(y), rispettivamente.
A questa trasformazione degli abachi cartesiani il Lalanne ha dato il nome di anamorfosi. Perciò il reticolato a maglie rettangolari che si ottiene conducendo le parallele agli assi η o ξ per i punti di quote x o y, cioè di ascissa ϕ(x) o di ordinata ψ(y), si chiama un reticolato cartesiano anamorfizzato secondo le scale funzionali relative a ϕ(x) e a ψ(y).
Esistono in commercio parecchi tipi di carta, su cui è tracciato (come il reticolato cartesiano dell'ordinaria carta millimetrica) un reticolato cartesiano anamorfizzato secondo scale funzionali relative alle funzioni elementari xm, Log x, sen x, Log sen x, ecc. Le più semplici e usate sono quelle a scale logaritmiche; e il loro uso ha permesso di trovare, in casi notevoli, una forma analitica soddisfacente per leggi di dipendenza rilevate sperimentalmente in base a serie discontinue di misurazioni.
È manifesto che per equazioni della forma
l'anamorfosi del reticolato cartesiano rispetto alle scale funzionali relative alle funzioni ϕ(x), ψ(y) conduce a un abaco costituito, oltre che dai due sistemi di rette parallele agli assi, da un sistema di circonferenze.
5. Il procedimento del Lalanne è stato generalizzato da J. Massau (1884) nel modo seguente. Se si ha un sistema di equazioni della forma
e s'interpretano le variabili x, y, z come parametri, ciascuna di queste tre equazioni definisce nel piano cartesiano ξη una famiglia di infinite rette; e la condizione necessaria e sufficiente affinché tre rette, appartenenti ai tre diversi sistemi, passino per un punto è data (v. coordinate: n. 11) da
Perciò se un'equazione in tre variabili x, y, z è suscettibile di questa forma (6) - nel qual caso si dice che le tre variabili sono separabili in modo generale - si può costruire un abaco, costituito dai tre sistemi di rette (di quote x, y, z rispettivamente), definiti nel piano ξη dalle tre equazioni (5). Si può dire che in questo caso il reticolato cartesiano, anamorfizzato o no, viene sostituito da quello formato dai due sistemi di rette, generalmente non più parallele, definito dalle prime due equazioni (5).
Questi abachi, pur essendo teoricamente pregevolissimi, presentano in pratica l'inconveniente di dar luogo, per lo più, a un groviglio di rette che rende difficile la lettura e quasi impossibile l'interpolazione a vista.
6. Abachi ad allineamento. - A eliminare l'inconveniente or ora rilevato il d'Ocagne pervenne genialmente (1884), ricorrendo a una trasformazione per dualità (v. dualità). Egli osservò che la (6) è anche condizione necessaria e sufficiente, affinché siano in linea retta, nel piano cartesiano fv, i tre punti
Perciò, tracciate nel piano ξη le tre curve di equazioni parametriche (7). (7′), (7″) e graduata ciascuna di esse, attribuendo a ogni suo punto, come quota, il corrispondente valore del rispettivo parametro x, o y, o z, basta congiungere i punti di quota x, y delle prime due scale per avere nella intersezione della loro congiungente con la terza scala il punto che ha per quota il valore corrispondente di z.
Se, in particolare, si ha ϕ2(x) = 0, ψ2 (y) = 1, l'equazione (6) si riduce alla forma (3), e le prime due scale dell'abaco corrispondente sono scale funzionali, relative a ϕ1(x) e a ψ1(y), aventi come supporti due rette parallele.
Un esempio importante di questo caso si ha nell'equazione
cui si ricorre in balistica per determinare, nel tiro curvo, l'angolo di proiezione ϕ, quando si conoscono l'angolo di sito ε e l'angolo di proiezione ϕa corrispondente alla gittata a. Questa equazione si mette agevolmente sotto la forma indicata; e l'abaco corrispondente (fig. 4) consta di due rette parallele, supporti delle smle (ε) e (ϕa) e di una ellisse, supporto della scala (ϕ). Da esso, per ε = 5° e ϕa = 15°, si ha senz'altro ϕ = 20°. Ed è notevole che nell'altra intersezione si ha l'angolo di elevazione α = ϕ − ε = 15°, che serve pei tiri in mare. Questo abaco dà un'approssimazione, che si è ritenuta sufficiente, quando si assumano, per dimensioni secondo gli assi delle x e delle y, rispettivamente 60 e 30 cm.; e può sostituire una nota, estesa tavola a doppia entrata.
In abachi di questa forma può accadere che le due scale parallele abbiano dei punti improprî, o che abbiano dimensioni troppo sproporzionate fra loro, si ricorre allora a una trasformazione proiettiva, con la quale si può racchiudere l'abaco in un rettangolo di opportune dimensioni (e ciò, generalmente, per ogni abaco ad allineamento).
L'idea del d'Ocagne, oltre la semplificazione accennata, permise la costruzione di abachi per equazioni a più di tre variabili, ed egli, generalizzando e ricorrendo talvolta anche alla sovrapposizione di due abachi (uno dei quali mobile e trasparente), giunse a risolvere equazioni contenenti fino a dieci variabili.
7. Esempio di abaco per un'equazione in più di tre variabili. - Per mostrare, almeno con un esempio, come coi metodi ora accennati si possano risolvere equazioni a più di tre variabili, si aggiungerà qui un abaco ad allineamento per l'equazione
la quale può servire a calcolare le successive armoniche di una serie di Fourier. Questo abaco (fig. 5) è costituito da due scale (B) e (C) poste su due rette parallele, da un sistema di rette di quota M pure parallele alle due precedenti e da un sistema di iperboli di quota P. Dati B, C, e M, per avere si congiunge il punto B di (B) col punto C di (C); per il punto d'intersezione della congiungente con la retta di quota M passa l'iperbole di quota P. Così, p. es., per B = 5, C = −7, M = 10, si ha P = −6.
Se uno dei numeri B, C è maggiore di 10, basta dividere i due membri della (8) per una opportuna potenza di 10, e se M non è acuto, basta cambiar segno a B o a C, rispettivamente, se sen M o cos M è negativo.
Con questo abaco, assumendo per dimensioni 50 e 25 cm., si ha P con l'approssimazione di un decimo, e si può così sostituire una nota costruzione, indicata dal calcolo grafico, che è poco semplice, poco breve e che deve sempre essere rifatta al variare di uno dei dati.
8. Il metodo dei punti allineati, cui fin qui si è accennato, ha acquistato tale importanza che in varî trattati di nomografia è il solo considerato; ma molti altri se ne sono felicemente escogitati: abachi esagonali, abachi a scale mobili (e fra questi, come casi particolari, rientrano gli innumerevoli regoli calcolatori anche per equazioni a più di tre variabili), abachi a squadra, abachi a immagini logaritmiche, ecc., per. la conoscenza dei quali si può ricorrere agli ampî trattati del d'Ocagne e del Soreau.
Bibl.: L. Lalanne, Mémoire sur les tables graphiques et sur la géométrie anamorphique, in Annales des Ponts et Chaussées, 1846; M. d'Ocagne, Nomographie. Les calcus usuels effectués au moyen des abaques, Parigi 1891; id., Traité de nomographie, ivi 1899; 2ª ed., 1921; G. Pesci, Cenni di nomografia, in Rivista marittima, 1899; id., Calcolo numerico, grafico e meccanico (litogr.), Livorno 1932; R. Soreau, Nomographie. Théorie des abaques, Parigi 1921; H. Schwerdt, Lehrbuch der Nomographie auf abbildungsgeometrischer Grundlage, Berlino 1924; G. Supino, I fondamenti della monografia, in Period. di mat., s. 4ª, VI (1926); G. Cassinis, Calcoli numerici grafici e meccanici, Pisa 1928; K. Mader, Graphisches Rechnen, in H. Geiger e K. Scheel, Handbuch der Physik, III: Mathematische Hilfsmittel in der Physik, Berlino 1928.