Nilo
– Il bacino del N. rappresenta una risorsa vitale per almeno 160 milioni di persone, distribuite fra Burundi, Uganda, Ruanda, Repubblica Democratica del Congo, Tanzania, Kenya, Etiopia, Eritrea, Egitto, Sudan e Sud Sudan. Le possibilità di sfruttamento delle acque non sono però le stesse per tutti gli stati rivieraschi, poiché persiste una situazione di squilibrio creatasi all’epoca dell’egemonia britannica nella regione. I trattati sottoscritti nel 1929 e 1959 (rispettivamente tra Egitto e Gran Bretagna e tra Egitto e Sudan) consentono ai due stati africani di avere il controllo quasi esclusivo di una risorsa tanto preziosa, mentre quelli a monte (upstreamers) sono fortemente penalizzati. Nel tentativo di contrastare questa situazione, tra il 2010 e il 2011, sei stati (Uganda, Etiopia, Ruanda, Tanzania e Burundi) hanno firmato un accordo strutturale di cooperazione sulle acque del N., il Cooperative framework agreement (CFA), che consente l’attivazione di progetti per l’utilizzo delle risorse anche senza l’autorizzazione del governo egiziano. Si è trattato di un’importante presa di posizione da parte di questi stati, di un forte segnale di svolta rispetto alle infruttuose trattative condotte all’interno dell’iniziativa per il bacino del N. (Nile basin initiative, NBI), da loro costituita nel 1999 (l’Eritrea e la neonata Repubblica del Sud Sudan vi partecipano come osservatori). I possibili vantaggi che potevano derivare dalla costituzione dell’iniziativa, mirata a sviluppare programmi condivisi di sfruttamento delle acque del fiume, sono venuti meno per la ferma opposizione dell’Egitto a dare il proprio assenso a soluzioni lesive dei diritti acquisiti grazie ai trattati sottoscritti in passato. Di conseguenza, si sono sempre più acuite le tensioni fra Il Cairo e gli altri stati rivieraschi, in particolare l’Etiopia, decisa a rivendicare il diritto allo sfruttamento delle acque del N. Azzurro: nel maggio 2010, per es., l’Etiopia ha inaugurato una centrale idroelettrica sulle sponde del Lago Tana, e nella primavera del 2011, l’allora primo ministro Meles Zenawi ha annunciato la costruzione della Grand Ethiopian renaissance dam (GERD), sul N. Azzurro, circa 500 km a nord-ovest di Addis Abeba. Al termine dei lavori, tale diga sarà la più grande dell’Africa: lunga 1800 m, alta 170 m e con un volume complessivo di 10 milioni di m3.
L’attenzione egiziana nei confronti di questa iniziativa è rimasta immutata anche dopo la caduta del regime di Ḥusnī Mubārak: il nuovo primo ministro egiziano ha avuto uno dei suoi primi appuntamenti proprio con la controparte etiope, per discutere del progetto GERD.