NIKOMACHOS (Νικόμαχος, o Nicomachus)
1°. - Pittore greco di Tebe, forse nipote di Aristeides, 1° e figlio di Ariston, 1° attivo durante la prima metà del IV sec. a. C., e perciò di quasi una generazione più anziano di Apelle che appartenne però alla scuola attica.
Furono suoi allievi il fratello Ariston, il figlio Aristeides, 2°, Philoxenos di Eretria, Koroibos (quest'ultimo noto solamente per la fuggevole menzione di Plinio (Nat. hist., xxxv, 146). Plutarco (Timol., 36), loda la scorrevolezza più che la perfezione della sua pittura. Plinio (Nat. hist., xxxv, 32), affermando che, fino alle soglie dell'età ellenistica, i pittori non conobbero che i quattro colori fondamentali (bianco, giallo, rosso, nero), ricorda che artisti come Apelle, Aetion, Melanthios, N., fecero, tuttavia, opere immortali (ma sul valore da dare a tale affermazione, v. pittura). Cicerone (Brutus, xviii, 70) include, al contrario, N. fra i pittori che, perfettamente padroni della tecnica più evoluta, impiegavano tutti i colori. Lo stesso autore attribuisce a N. la priorità nell'aver dipinto il pileo come attributo di Odisseo (il che è manifestamente inesatto).
Fra le opere di N., Plinio (Nat. hist., xxxv, 108, 145), ricorda un Ratto di Kore (trasportato in Roma sul Campidoglio, nel santuario di Minerva, al di sopra della cappella di Iuventas), una Vittoria che trasporta in cielo una quadriga (anch'essa sul Campidoglio) perduta nell'incendio del 69 d. C., dopo che nel 43 a. C. era stata dedicata da L. Munazio Planco, reduce dal trionfo gallico; un Apollo e Diana, una Magna Mater assisa su leone, delle Baccanti che sorprendono dei Satiri, una Scylla, trasportata nel Tempio della Pace, forse dalla domus neroniana, un gruppo dei Tindaridi. Servio (ad Aen., ii, 44) conferma la notizia di Plinio circa il pileo per Ulisse e celebra la sua celerità a proposito di un quadro del poeta Telestes ordinatogli dal Tiranno di Sicione Aristratos. Pare abbia fatto anche il ritratto di Antipatro. Plutarco (De mul. virt., 2) ricorda N. anche come pittore di ritratti femminili, che pare eseguisse con non minore abilità. Da queste notizie, e da quelle relative al suo discepolo Philoxenos d'Eretria (v.), può desumersi una sola cosa: che N. pur appartenendo alla tradizionalista scuola tebana, si era accostato a quella attica, nella quale era caratteristica la tendenza di una pittura più sciolta e più rapida. Forse a questa sua particolare situazione si riferisce la lode attribuitagli ancora da Plutarco (Timol., 36), il che conferma la sua grande fama, di unire la forza e la grazia (δυνάμειος καὶ χάριτος) alla facilità di pennello (εὐχερῶς καὶ ῥαδίως). Sopra un denario di L. Plauzio Planco, fratello del trionfatore, coniato più volte dal 45 a. C. in poi, si ha una Vittoria con palma, librata a volo che regge la briglia di un cavallo che forma gruppo con altri tre, tratti anch'essi in alto. La stessa composizione compare, con minime varianti, anche su gemme ed è con tutta probabilità da ricollegarsi con il quadro di N. dedicato in Campidoglio.
Bibl.: H. Brunn, Gesch. d. griech. Künstler, II, Stoccarda 1889, p. 168 ss.; J. Overbck, Schriftquellen, n. 1771 ss.; A. Rumpf, in Thieme-Becker, XXV, p.477; E. Pfuhl, Malerei und Zeichnung, Monaco 1923, II, 755; A. Reinach, Recueil Milliet, pp. 9, 10, 134, 186, 268, 271.