NIELLO
. Lavoro d'oreficeria, consistente nel riempire i segni d'un'incisione a bulino su lamina d'argento o d'oro con una specie di smalto nero (nigellum), composto di rame rosso, argento fine, piombo, zolfo croceo e un po' di borace. Certamente noto all'antichità, fu praticato nel principio del Medioevo dall'arte orientale e bizantina: il Toesca crede opera di officina locale la piccola croce niellata forse del sec. VI (Roma, Museo Vaticano) trovata presso S. Lorenzo fuori le mura, bizantina invece la "croce di S. Gregorio" niellata con la Crocifissione, nel tesoro del duomo di Monza, forse anteriore al sec. VIII. Più tardi (sec. XII) il monaco Teofilo nel suo trattato Diversarum artium schedula, dando precisi ragguagli sui procedimenti per la preparazione ed applicazione del niello, insiste sulla perizia propria dei Toscani; tuttavia non restano tra noi che pochi e ordinarî saggi di quest'arte al confronto dei prodotti oltramontani dei secoli XII e XIII, come i nielli dell'altare portatile di Ruggiero di Helmarshausen (Paderborn, tesoro del duomo), che si vuole identificare appunto col monaco Teofilo. Nel sec. XIV troviamo i nomi di Girardo figlio di Giacomo Cavalca da Bologna, Forzore Spinelli da Arezzo, Maestro Donadino da Cividale, Pietro Vanini d'Ascoli, tutti orafi-niellatori. Nel '400 l'arte del niello si restringe quasi esclusivamente all'Italia; viene applicata, oltre che agli oggetti di culto, anche a quelli profani: accanto a "paci", croci processionali, altari portatili, vasi sacri, reliquiarî, rilegature di libri liturgici, ecc., si vedono così spade, pugnali, cinture, cofanetti, vezzi, ecc., decorati a niello con scene mitologiche, allegorie d'amore, ritratti, arabeschi, motti mistici ed augurali.
Tra i nomi dei niellatori quattrocenteschi ricordiamo: Maso Finiguerra, a cui era attribuita la pace niellata dell'Incoronazione ch'è al Bargello, Matteo di Giovanni Dei, Antonio Pollaiolo, F. Brunelleschi, Amerighi, M. A. Bandinelli, in Firenze; Francesco Francia in Bologna; Cristoforo Foppa, detto Caradosso, e Daniele Arcioni in Milano; G. Turino in Siena; G. Tagliacarne in Genova; T. Fodri e I. Bronzetti in Cremona; G. Porta in Modena, e, più fecondo e fantasioso di tutti, Peregrino da Cesena. Di niello pare abbiano lavorato, al principio del '500, Marcantonio Raimondi, stando alla scuola del Francia, e Nicoletto da Modena. Ma oramai, come afferma lo stesso Cellini che tentò di rimetterla in onore, esercitandola personalmente e descrivendone i procedimenti nel suo Trattato dell'Oreficeria (Firenze 1568), codesta arte può dirsi morta, salvo in Russia, ov'è impiegata nell'oreficeria di lusso.
Con la storia del niello è intimamente legata quella dell'incisione in rame. Era uso dei niellatori fiorentini, dal Vasari impersonati nella figura di Maso Finiguerra, di provare prima dell'applicazione del niello l'effetto che questo avrebbe prodotto sulla lamina, ricavando perciò dall'intaglio un'impronta negativa in gesso e da questa un'altra impronta in zolfo liquefatto, nei cui incavi introducevano una miscela di nerofumo e olio, atta a simulare l'effetto dello smalto nero sul chiaro della lastra. Per molto tempo si fantasticò, erroneamente interpretando il passo del Vasari sulle origini dell'incisione in rame (nella Vita di Marcantonio), che da codeste impronte in zolfo i niellatori avessero cominciato a tirare le loro prove su carta umida. Invece i niellatori fiorentini, secondo il passo del Vasari, oltre a fare le impronte in zolfo, dovevano abitualmente tirare altre prove su "carta umida" dalla lastra stessa, inchiostrata. Da siffatto procedimento potrebbe anche esser nata l'idea d'incidere dei rami per la stampa, ma si può anche credere che siano stati gl'incisori in rame a suggerire ai niellatori il procedimento delle prove dirette dalla lastra.
La parola "niello", che in origine indicava soltanto lo smalto nero e gli stessi oggetti smaltati, venne adoperata anche a designare quelle prove su carta che se ne ricavavano prima della niellatura (cfr. incisione, XVIII, p. 976 seg.). Da codeste prove bisogna distinguere quelle tratte dai "finti nielli" e cioè dalle lastre intenzionalmente incise nel modo del niello e destinate ad essere non già riempite di smalto, ma solo stampate ad uso dei niellatori gioiellieri e cesellatori che, incapaci di creare, andavano in cerca di modelli.
Lastre niellate e prove di nielli si trovano oggi in alcune collezioni pubbliche, come quella del British Museum, che possiede anche un'impronta in zolfo dell'Incoronazione della Vergine, e quella del Cabinet des Estampes di Parigi, in cui si conserva la celebre prova unica dell'Incoronazione rinvenuta nel 1797 dall'abate P. Zani nella collezione De Marolles. Numerose collezioni private - Malaspina, Trivulzio, Cicognara (ingiustamente accusata di contenere molti falsi), Salamanca, Durazzo, ecc. - si ebbero nell'Ottocento; ma oggi la più ricca è quella del barone E. de Rothschild a Parigi, che può vantare fra l'altro il maggior numero di pezzi col monogramma di Peregrino da Cesena. (V. tavv. CXXXI e CXXXII).
Bibl.: P. Zani, Materiali, ecc., Parma 1803; J. Duchesne, Essai sur les nielles, Parigi 1826; L. Cicognara, Dell'origine, composizione e scomposizione dei nielli, Venezia 1827; G. W. Reid, A reproduction of the Salamanca Collection of prints from nielli, Londra 1869; E. Dutuit, Manuel de l'amateur, Parigi 1884-1888; P. Kristeller, Italienische Niellodrucke u. der Kupferstich, in Jahrb. der preuss. Kunsts., XV (1894), p. 94 segg.; Bologna-Pinacoteca. Nielli del Francia, in Gallerie Naz. It., III (1897); M. Rosenberg, Geschichte der Goldschmiedekunst auf technischer Grundlage (Niello), Darmstadt 1907; A. Petrucci, Le origini dell'incisione in rame. Il valore di una favola, in Nuova Antologia, I-IX (1929); A. Blum, Les nielleurs du Quattrocento et Maso Finiguerra, in Gaz. des beaux-arts, I, pp. 214-30.