SOFIANO, Nicolò (Sofianòs, Nikòlaos; Σοφιανός, Νικόλαος). – Nacque a Corfù (Corcira)
agli inizi del XVI secolo, da Paolo, appartenente alla nobiltà locale iscritta nel Libro d’oro dal 1440.
Le informazioni biografiche su di lui sono modeste; la più antica indicazione si deve al teologo inglese Humphrey Hody (1659-1707), nell’opera postuma De Graecis illustribus (Londra 1742). Non del tutto certi sono i legami di questa famiglia corfiota con altri Sofiano stanziati a Monemvasia nel Peloponneso già in epoca bizantina. Incerto è pure il momento in cui egli lasciò l’isola per recarsi a studiare in Italia, dove è probabile la frequentazione del ginnasio greco del Quirinale, sotto la direzione di Giano Lascaris. È in questo ambiente che si troverà ben presto a operare lo stesso Sofiano, fra i cui obiettivi primari vi fu la diffusione della lingua greca volgare.
La vita di Sofiano si sarebbe articolata d’ora in avanti fra Roma e Venezia (con un solo viaggio all’estero nel 1543). Di fatto, Venezia si era sostituita a Firenze come centro di studi del greco, lingua che ottenne una larga diffusione nella città, in forza delle strette relazioni diplomatiche e degli scambi commerciali intrattenuti con l’Oriente bizantino. A Venezia Sofiano il 30 agosto 1533 finì di trascrivere un codice su committenza del vescovo cattolico di origine cretese Dionisio Zanettini (detto il Grechetto). Di lui Sofiano elogiò le virtù di uomo di Chiesa nella dedica alla traduzione del Περὶ παίδων ἀγωγῆς (De liberis educandis; Sull’educazione dei giovani) pseudoplutarcheo (Παιδαγωγός). Alla mano di Sofiano si attribuisce anche il testimone manoscritto Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. gr. 2241, che conserva l’anonima Cronaca dei Tocco di Cefalonia (XV secolo).
Risale al 1543 un viaggio in Grecia per procacciare manoscritti per conto di Diego Hurtado de Mendoza (1503-1575), già ambasciatore di Carlo V a Venezia e collezionista di codici, i cui interessi culturali si appuntavano soprattutto su autori di letteratura greca, classica e patristica. Si può supporre che, proprio a seguito di questo viaggio, Sofiano abbia avuto l’opportunità di costatare il deplorevole stato di arretratezza dell’istruzione nei paesi greci e, di conseguenza, ispirarsi per un programma di formazione pedagogica per il suo popolo. Così Sofiano organizzò il suo lavoro intellettuale intorno a tre ambiti professionali: mediazione culturale (trascrizione di codici e curatele editoriali), studio grammaticale (messa a punto di una teoria della lingua volgare), traduzione di autori antichi.
A Venezia, dopo la stampa delle opere di Antonio Eparco, fra cui un Lamento per la distruzione della Grecia (Εἰς τὴν ‛Eλλάδος καταστροφήν, θρῆνος), pubblicata per lo stampatore Bartolomeo Zanetti il 5 settembre 1544, seguì la traduzione in greco moderno di Pseudoplutarco Περὶ παίδων ἀγωγῆς, che apparve il 2 gennaio 1544 (more veneto) sotto il titolo di Παιδαγωγός. Il tipografo, che appare sotto il nome di «Βαρθολομαῖος ὁ καλλιγράφος», fu Bartolomeo Zanetti. L’attività editoriale di Sofianο sembra cessare dopo il 1545 ed egli forse continuò a copiare manoscritti a Venezia e a lavorare sul suo progetto didattico con la redazione della grammatica e di un lessico che, però, mai vide la luce. Tra gli ultimi indizi cronologici sul suo conto abbiamo solo una nota della Confraternita greca, datata 23 aprile 1547, relativa a una sua donazione e la riedizione a Roma nel 1552 della sua Carta della Grecia. Dopodiché le sue tracce si perdono e non si conoscono il luogo e la data della morte.
La prima opera di Sofiano stampata forse a Roma nel 1542 fu il Περὶ κατασκευῆς καὶ χρήσεως κρικωτοῦ ἀστρολάβου (Costruzione e uso dell’astrolabio armillare). L’opuscolo, costituito da un solo quaderno di otto carte non numerate, fu dedicato a Paolo III. La composizione del trattatello in greco antico presuppone uno stato anteriore alla maturazione linguistica in senso demotico. La lingua è quella antica dei dotti del Cinquecento, ma fra le righe già fa capolino il volgare a rinvigorire il sostrato arcaico.
I tentativi in Grecia di descrivere la lingua parlata erano pressoché fermi all’epoca ellenistico-romana: quella di Dionisio il Trace (170-190 a.C.) era l’unica grammatica (Τέχνη γραμματικὴ) ritenuta di un certo peso. Nell’umanesimo occidentale i bizantini continuarono a compilare grammatiche per facilitare la comprensione degli autori antichi. Ma dal XVI secolo l’attenzione cominciò a posarsi anche sulla lingua volgare. Proprio Sofiano realizzò una grammatica del greco moderno che recava lo stesso titolo della grammatica di greco antico (Γραμματικὴ ‛Eλληνικὴ, Grammatica greca), Venezia, A. Manuzio, 1495) scritta dall’umanista e traduttore bizantino Teodoro di Gaza (1400 ca.-1475), e che però rimase inedita fino al 1870, quando Émile Legrand ne curò l’editio princeps. Così la prima grammatica del greco volgare a conoscere le stampe restò quella di Dimitrios Venieris del 1799 che, in sostanza, ricalcava la ben più nota grammatica di greco antico di Costantino Lascaris (1476), con cambiamenti in senso moderno nelle esemplificazioni. Il lavoro di Sofiano fu portato a termine prima del 1550, anno di morte di Giovanni di Guisa, cardinale di Lorena (1498-1550), dedicatario dell’opera. È probabile che sia la Grammatica sia la traduzione del Περὶ παίδων ἀγωγῆς risalgano a un medesimo periodo, intorno al 1545, e a medesime mire progettuali, che prevedevano l’impiego di materiale tratto dall’antichità per consolidare una formazione di base degli esuli greci. Il titolo premesso da Legrand alla princeps: Γραμματικὴ τῆς κοινῆς τῶν ‛Eλλήνων γλώσσης (Grammatica della lingua greca parlata) è fuorviante, giacché Sofiano, com’è stato fatto osservare, non usava il termine ‛Έλληνες per riferirsi ai greci moderni.
Nella prefazione l’autore afferma che il suo obiettivo era di avvicinare il più possibile la lingua moderna a quella antica, nei cui confronti non è per nulla inferiore. La volontà di adeguare il volgare a una dignità estetica e artistica divenne un suo impegno irrinunciabile. Riguardo al contenuto, con un vocabolario tecnico ispirato alla Τέχνη di Dionisio il Trace, la grammatica di Sofiano si divide nelle seguenti sezioni: alfabeto, frase, nome, articolo, declinazione dei nomi, numerali aggettivo, nomi eterocliti, verbo, coniugazioni (breve presentazione e poi tavole di flessione), participio, pronome, preposizione, avverbio, congiunzione. Dalla sobrietà descrittiva dell’impostazione s’intuisce che il libello era destinato a non greci che, non ignari delle strutture del greco classico, volevano ricevere un’impronta della lingua corrente. Notizie sulla restante parte del progetto relativamente alla composizione di un lessico e della sintassi, com’era stato promesso nella lettera prefatoria, non ci sono pervenute. È probabile che Sofiano non avesse ricevuto concretamente quegli ‘stimoli’ sperati.
Un approccio alla cultura antica era stato previsto da Sofiano anche attraverso un programma di traduzioni, a cominciare dal già ricordato libello pseudoplutarcheo, che egli adattò e pubblicò con il titolo Παιδαγωγός, dedicandolo al vescovo di Milopotamo Zanettini. I propositi di una rinascita dalla barbarie culturale in cui era caduto il popolo greco si leggono nella prefazione dove si esplicita l’intento di «tradurre e volgarizzare quei libri che siano utili e di vantaggio per rinnovare e risollevare il nostro popolo dal pietoso stato d’ignoranza in cui versa» (Legrand, 1885, p. 248). Questo, tuttavia, fu l’unico testo a essere pubblicato. Né ci furono immediati continuatori prima di almeno due secoli e mezzo con Adamàndios Koraìs (1748-1833) per riparlare con determinazione dell’istruzione del popolo greco. Quella di Sofiano è a tutti gli effetti la prima edizione in volgare di un testo di prosa antica. La scelta di Plutarco non dovette essere casuale: nel Rinascimento l’autore greco divenne una vera auctoritas nell’ambito della morale, e i suoi scritti, fra cui soprattutto le Vitae e i Moralia, furono letti alla ricerca di exempla di virtù e di precetti per il buon vivere. Ma Plutarco, con Luciano, era ritenuto uno scrittore anticlassico e tale potrebbe essere considerata la scelta di Sofiano, invece di Demostene, di Lisia, di Erodoto o di Tucidide, per l’istruzione dei suoi connazionali.
Fra i progetti più importanti realizzati da Sofiano rientra l’allestimento e la pubblicazione di una carta geografica della Grecia. Lo scrupolo tecnico-estetico con cui fu condotto il disegno non sfuggì all’enciclopedico Tomaso Garzoni (1549-1589), che ne fece menzione nella sua Piazza universale (Venezia 1585). Non essendo pervenuta la prima edizione dell’opera, le date di pubblicazione proposte oscillano fra il 1536, il 1540 circa o prima del 1543. Rifacendosi largamente alla Γεωγρϰϕικὴ ύϕήγηδσις (Guida geografica) di Claudio Tolomeo per quanto riguarda i confini, l’orografia, l’idrografia e la divisione interna della Grecia in paesi o tribù, Sofiano corresse tuttavia molti dettagli, fra cui i contorni delle Isole Ionie, la costa meridionale del Peloponneso e le dimensioni e la posizione delle Cicladi nel Mar Egeo. Innovativa, rispetto al modello tradizionale è, infatti, la ridefinizione territoriale della Grecia, che in Tolomeo si estendeva a nord fino all’Epiro e alla Macedonia, invece in Sofiano arriva a comprendere tutti i Balcani a sud del Danubio e parte dell’Asia Minore occidentale. Se la realtà geografica descritta da Tolomeo faceva riferimento al II secolo d.C. e contava un migliaio di toponimi, quella di Sofiano, ispirandosi a una più ampia rete di fonti antiche (Erodoto, Tucidide, Strabone, Pausania), arrivò a raddoppiare i dati.
Nella versione a stampa della commedia di Agostino Ricchi (1512-1564) I tre tiranni (Venezia 1533) l’atto V propone un encomio in spagnolo rivolto a Carlo V, a Clemente VII, a Ippolito e ad Alessandro de’ Medici. Nella seconda versione, trasmessa dal ms. 1375 della Biblioteca statale di Lucca, illustrato, il medesimo encomio è presentato nei versi in greco moderno composti da Sofiano ed è rivolto a Francesco I, a Solimano il Magnifico, al suo ministro Ibrahim e a Luigi Gritti, dedicatario dell’opera. Lo stile di Sofiano in questo dialogo resta ancora debitore a una retorica panegiristica, senza troppe concessioni al linguaggio quotidiano, quello maturato nella sua Grammatica. Sul piano della versificazione si notano i maggiori limiti dell’umanista greco. Resta comunque a Sofiano il merito di aver introdotto la novità di «un dialogo veramente tale, teatrale, senza intrusione di alcun verso narrativo» (Vitti, 1966, p. 34) in una lingua comunque moderna.
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