ROCCATAGLIATA, Nicolò
– È detto genovese da Raffaello Soprani (Le vite de’ pittori..., 1674, pp. 88 s.), suo primo biografo. L’anno di nascita, invece, si desume dall’ultima notizia che lo riguardi. Nel Libro dei morti della parrocchia di S. Marina a Venezia, alla data 22 ottobre 1629, si legge che «è morto mistro Nicolò Rocca Tagliata scultor d’anni 70 in circa, amalato da febbre» (Kryza-Gersch, 2008, p. 262). L’artista nacque quindi verso il 1559, da un certo Battista.
Ricevette la prima educazione in una bottega orafa genovese. Il 7 novembre 1571 «Nicolinus Roccatagliata», già orfano del padre, si impegnò a stare per nove anni con Agostino Groppo «pro eius famulo et discipulo, causa cum eo adiscendi et faciendi artem aurificum» (Alizeri, 1880, pp. 352 s. n. 1). Rimane oscura la giovinezza, né sappiamo quando e perché si sia trasferito da Genova a Venezia. In Laguna, secondo Soprani, lo scultore si sarebbe accostato a Jacopo Tintoretto. Roccatagliata avrebbe fornito al pittore «infiniti modelli di picciole figurine», spingendosi a imitare «ne’ suoi rilievi l’istessa maniera» del celebre artista (R. Soprani, Le vite de’ pittori..., cit., p. 88). Tintoretto morì il 31 maggio 1594, ma sulla presenza veneta di Roccatagliata non sono finora emersi documenti di molto anteriori a questa data.
È finora sfuggita alla letteratura quella che sembra essere la prima commissione veneziana. Marco Valle (De monasterio et abbatia, 1693, c. 130v), autore di una Notitia sulla postazione cassinese di S. Giorgio Maggiore, cita Roccatagliata in relazione a una teca d’argento, all’epoca custodita all’interno della basilica, presso l’altare del crocifisso, contenente la reliquia della testa di s. Eutichio. L’erudito associa l’opera all’anno 1593 e a una spesa di 321 ducati, dei quali 100 da erogare «precise pro artificio». Al tempo di Emanuele Antonio Cicogna (1834, p. 306 nota 105), tuttavia, il reliquiario era dato per disperso. È il primo di una serie di incarichi svolti fino al 1596 per i benedettini di Venezia. In due circostanze, come si dirà, al fianco di Roccatagliata compare il suo conterraneo Cesare Groppo, figlio di Agostino, che Soprani cita come vero maestro dello scultore.
Il 31 gennaio 1594 (1593 more veneto) i monaci commissionarono a Roccatagliata due figure di bronzo raffiguranti S. Giorgio e S. Stefano (Cicogna, 1834, p. 344 nota 242). Nel contratto l’artista si impegnava a eseguire l’opera «conforme al modello da lui presentato» (Kryza-Gersch, 1999, pp. 444-446, nn. 100 s.). Va comunque ricordato che, secondo il Chronicon S. Georgii Maioris, nel 1595 i padri avrebbero retribuito Cesare Groppo per il «mettallo [...] per far le figure di S. Steffano e S. Giorgio» (Cooper, 1990, p. 179). La fortuna moderna di queste due statue, alte 61 cm e ancora visibili sulla balaustra del coro palladiano, è inaugurata da Leo Planiscig (1921, pp. 609-611), che del S. Giorgio apprezzava la posa aggraziata e priva di enfasi eroica.
A dispetto dell’origine genovese dell’artista, questi bronzi si calano perfettamente nel panorama della scultura veneta, e per il pronunciato contrapposto, le proporzioni sfilate e il profilo appuntito dei volti rimandano alle coeve sculture di Girolamo Campagna.
Il 15 marzo 1594 i monaci di S. Giorgio Maggiore chiesero a Roccatagliata ventidue candelieri da parete, sempre in bronzo e composti da un fantastico putto che dalla cinta in giù si tramuta in una voluta architettonica. Questo tipo di lampada ebbe fortuna e fu replicato, dopo la morte dell’inventore, per le chiese della Salute, di S. Trovaso e di S. Nicolò al Lido (Kryza-Gersch, 1999, p. 441). Sempre per il coro della chiesa benedettina, invece, il 22 aprile 1596 Roccatagliata e Groppo si impegnarono in solidum a realizzare due monumentali candelabri di bronzo, alti circa 180 cm. Rispetto al candelabro pasquale di Andrea di Alessandro Bresciano nella basilica della Salute (già in S. Spirito in Isola, ante 1568), e a quello del fonditore Orazio in S. Stefano (1577), le torce cassinesi risaltano per la riduzione delle membrature architettoniche e per la rinuncia al tradizionale repertorio di satiri, arpie e creature fantastiche: al loro posto, sul piede e sul fusto ci sono sei graziosi putti.
Assolte le commissioni per S. Giorgio Maggiore, Roccatagliata scompare dai documenti veneziani per un decennio. Soprani (Le vite de’ pittori..., cit., pp. 88 s.) attesta che, in un momento non meglio precisato, lo scultore avrebbe fatto ritorno in patria. A oggi, però, mancano documenti sull’attività genovese. A invitare Roccatagliata nella sua città sarebbe stato Domenico Bissone, intagliatore di legno e d’avorio dal profilo ancora in parte sfuggente, documentato nel capoluogo ligure a partire dal 1597 (Alizeri, 1880, p. 188). Appena giunto a Genova, Roccatagliata avrebbe fornito i modelli per i rilievi sulla ‘arca d’argento’ della Madonna del Rosario nella perduta chiesa di S. Domenico (per la medesima chiesa Bissone realizzò una statua della Madonna del Rosario, dispersa, della quale non si conosce la data). L’abilità di Roccatagliata nel plasmare modelli di cera avrebbe destato l’ammirazione del pittore Giovanni Battista Paggi, che si era ristabilito in città dopo il 1599. Soprani riconduce a Roccatagliata anche una Madonna con Gesù Bambino di bronzo, all’esterno di un palazzo lungo l’odierna salita del Prione, dicendo che era stata rinettata da Simone, un figlio di Nicolò non altrimenti noto; al tempo di Giuseppe Ratti (in Soprani, 1674, 1768, p. 355 nota a), però, l’opera era già irreperibile. Secondo il biografo, infine, Roccatagliata avrebbe eseguito a Genova diverse «picciole figurine», con ogni probabilità bronzetti, «per ornamento delli studioli» (R. Soprani, Le vite de’ pittori..., cit., p. 89).
Allo scultore vengono in effetti assegnati molti piccoli bronzi, distribuiti in importanti musei italiani e stranieri, da annoverare fra le espressioni più tipiche del tardo manierismo veneziano. La ricostruzione filologica di questo corpus fu intrapresa da Planiscig (1921) che, in coda ai suoi Venezianische Bildhauer, dedicò all’artista un lungo capitolo, con il sottotitolo der Meister des Putto. Il catalogo assemblato da Planiscig, giustamente sfoltito dalla critica posteriore, si basa soprattutto sul confronto con gli aggraziati spiritelli dei candelabri di S. Giorgio maggiore. Fra le attribuzioni più convincenti si possono citare i putti musicanti, noti in numerose varianti, dei quali il Kunsthistorisches Museum di Vienna conserva ottimi esemplari (Kryza-Gersch, 1999, p. 454, n. 105). In altri casi i putti si organizzano in piramidi umane, quasi si esibissero negli spettacolari ‘giochi di forza’, a quel tempo di moda a Venezia: esistono varianti con cinque, sei (Venezia, Museo Correr) e sette fanciulli (Praga, Národní galerie). L’attribuzione dell’Adamo ed Eva del Kunsthistorisches Museum di Vienna fu invece avanzata già da Julius von Schlosser (1901). Lo studioso evidenziò la consonanza di queste figure con la pittura di Tintoretto, riallacciandosi al passo di Soprani sul legame fra i due artisti. Una variante della coppia si conserva nel Museo civico di Belluno, mentre le due statuette, fuse separatamente, si trovano nello stesso museo viennese (al modello dell’Adamo è strettamente legato anche il Bacco dello Stiftsmuseum di Klosterneuburg). Wilhelm von Bode (1912), per parte sua, ricondusse a Roccatagliata il Putto piangente del Kaiser-Friedrich-Museum di Berlino (oggi Bode-Museum). Tutti questi bronzetti sono difficili da datare, al pari della più ambiziosa Madonna con Gesù Bambino, alta 93 cm e custodita presso il Musée national de la Renaissance di Écouen. Firmata con il diminutivo del nome di battesimo, «NICOLLIN[VS] F[ECIT]», l’opera è stata pubblicata da Hans R. Weihrauch (1967, p. 161), cui si deve l’attribuzione a Roccatagliata di un’altra statuetta mariana del Metropolitan Museum of art di New York.
Lo scultore ricompare nelle carte veneziane il 14 febbraio 1606, quando Cesare Groppo dettò il suo testamento. A Nicolò, «che è stato mio garzon», venne lasciata la metà del fondo di bottega (Kryza-Gersch, 1998, p. 112). Va tenuto a mente che, fra il 1601 e il 1603, Groppo aveva realizzato i rilievi di bronzo per la tomba del doge Marino Grimani in S. Giuseppe di Castello (W. Timofiewitsch, Quellen und Forschungen zum Prunkgrab des Dogen Marino Grimani in S. Giuseppe di Castello zu Venedig, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XI (1963), 1, pp. 44-46), stilisticamente prossimi alle opere certe di Roccatagliata. Segue un nuovo, lungo vuoto documentario, e nulla vieta di pensare che il soggiorno genovese tramandato da Soprani si sia svolto in realtà nel nuovo secolo.
A Venezia, invece, operò Sebastiano Roccatagliata, figlio di Niccolò, detto anche Sebastiano Niccolini dal nome del padre.
La riscoperta di questo bronzista si deve a Claudia Kryza-Gersch (1998, pp. 115-118; Ead., 2008). Sono opere documentate di Sebastiano i quattro Padri della Chiesa nel coro della basilica marciana, eseguiti assieme al fonditore Gabriele Orlandini (1614-15); i due candelabri per la cappella del Rosario nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo, per i quali Sebastiano venne liquidato il 4 dicembre 1633 assieme al compagno Andrea Balbi (V. Avery, in La basilica dei Santi Giovanni e Paolo. Pantheon della Serenissima, a cura di G. Pavanello, Venezia 2013, pp. 292 s., n. 84); i due angeli nella basilica di S. Giorgio Maggiore, che, il 15 luglio 1636, Sebastiano si impegnò a eseguire «con l’agiuto del signor Pietro Bosello gettador». Fu poi Boselli, autore della fusione, a firmare e datare 1644 le due statue, rinettate dai francesi Jean Chenet e Marin Féron (Cicogna, 1834, pp. 267, 343 nota 240). Alla collaborazione con questi ultimi si lega anche un’opera firmata congiuntamente da Nicolò e Sebastiano Roccatagliata.
Il paliotto di bronzo nella sacrestia della chiesa di S. Moisè reca una firma straordinariamente puntuale, che recita «1633 / NICOL[INVS] ET / SEBASTIANVS ROCCATAGLIA/TA NICOLINI / INVENTORES // IOHANNES CHE/NET ET MARI/NVS FERON GAL/LI CVSORES ET / PERFECTORES». Il bronzo, rinettato dai due maestri francesi, fu quindi pubblicato da Sebastiano, che rivendicò l’invenzione a sé e al padre, morto quattro anni prima, nel 1629.
Misteriosa è la provenienza del rilievo, che una seconda iscrizione dice donato da Antonio Damiani nel 1779. Inconsueta è anche l’iconografia, scandita da quattro diversi episodi, con gli Apostoli radunati attorno al sarcofago vuoto, il corpo di Cristo trasportato da angioletti e un gruppo di dolenti; a dominare l’affollata composizione è un Dio Padre in gloria, verso il quale i putti in volo trasportano la croce. Il paliotto pone alcuni interrogativi in relazione alla possibilità di distinguere la figura di Nicolò da quella del figlio. Alla loro collaborazione potrebbero spettare gli Evangelisti sulla balaustra e gli angioletti sul tabernacolo della chiesa veronese di S. Giorgio in Braida (Kryza-Gersch, 1998, pp. 118-121). Problematica è invece l’attribuzione a Sebastiano dei rilievi nella tomba del doge Leonardo Loredan nella chiesa veneziana dei Ss. Giovanni e Paolo, probabilmente da restituire a Danese Cattaneo, mentre è convincente il riferimento allo stesso Sebastiano delle portelle bronzee sui due altari laterali nel coro della basilica marciana (Ead., 2008).
A fronte di una biografia poco illuminata dai documenti, il catalogo di Nicolò Roccatagliata si presenta piuttosto nutrito. Ne risulta l’immagine di uno scultore attivo quasi esclusivamente nell’ambito della toreutica, le cui opere erano destinate sia alle chiese sia agli studioli dei collezionisti. Questo profilo, comunque, non coincide in toto con quanto tramandano le fonti: Soprani (Le vite de’ pittori..., cit., p. 89), pur presentando l’artista come «industrioso ne’ lavori di gitto», allude anche a «molti lavori di marmo», eseguiti a Venezia. A testimoniare la sua abilità di plasticatore, pure lodata da Soprani, resta invece una sola terracotta: il rilievo mariano del Bode-Museum di Berlino, che reca una puntuale citazione dalla Madonna della Loggetta di Jacopo Sansovino (Venturi, 1937, p. 388). Già Planiscig (1921) inquadrò l’artista come epigono della scultura manierista veneziana.
Fonti e Bibl.: Padova, Biblioteca Universitaria, ms. 1621: Chronicon S. Georgii Maioris... (1685), c. 51r; Venezia, Biblioteca del Museo Correr, Gradenigo-Dolfin, 110: M. Valle, De monasterio et abbatia S. Georgii maioris... (1693), cc. 109v-110r, 130v; R. Soprani, Le vite de’ pittori scultori e architetti genovesi e de’ forestieri che in Genova operarono, Genova 1674, pp. 88 s. (a cura di G. Ratti, I, 1768, pp. 353-355); E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, IV, Venezia 1834, pp. 267, 306 nota 105, 343 s. nota 242; F. Alizeri, Notizie dei professori del disegno in Liguria dalle origini al secolo XVI, VI, Genova 1880, pp. 188, 352 s.; J. von Schlosser, Album ausgewählter Gegenstände der Kunstindustriellen Sammlung des Allerhöchsten Kaiserhauses, Wien 1901, p. 14; W. von Bode, Die italienischen Bronzestatuetten der Renaissance, III, Die Meister der Spätrenaissance, Berlin 1912, p. 24; L. Planiscig, Venezianische Bildhauer der Renaissance, Wien 1921, pp. 597-628; Id., R., N., in U. Thieme - F. Becker, Allegemeines Lexikon der bildenden Künstler, XXVIII, Leipzig 1934, pp. 443 s.; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, X, La scultura del Cinquecento, III, Milano 1937, pp. 378-397; J. Pope-Hennessy, Italian high Renaissance and Baroque sculpture, Catalogue volume, London 1963, p. 118; H.R. Weihrauch, Europäische Bronzestatuetten der 15.-18. Jahr-hunderts, Braunschweig 1967, pp. 161-165; G. Mariacher, Bronzetti veneti del Rinascimento, Vicenza 1971, pp. 20, 40; B. Boucher, in The Genius of Venice. 1500-1600 (catal.), a cura di C. Hope - J. Martineau, London 1983, pp. 380 s.; T.E. Cooper, The history and decoration of the church of San Giorgio Maggiore in Venice, PhD dissertation (Princeton University), Ann Arbor 1990, pp. 178-183; T. Martin, R., N., in J. Turner, Dictionary of art, 26, New York 1996, p. 478; C. Kryza-Gersch, New light on N. R. and his son Sebastian Nicolini, in Nuovi studi, III (1998), 5, pp. 111-126; Ead., N. R., in “La bellissima maniera”. Alessandro Vittoria e la scultura veneta del Cinquecento (catal.), a cura di A. Bacchi - L. Camerlengo - M. Leithe-Jasper, Trento 1999, pp. 441-457; S. Zanuso, N. R. e Sebastiano Roccatagliata detto Sebastiano Nicolin, in La scultura a Venezia da Sansovino a Canova, a cura di A. Bacchi, Milano 2000, pp. 778 s.; V. Krahn, Bronzetti veneziani. Die venezianischen Kleinen-bronzen der Renaissance aus dem Bode-Museum Berlin, (catal. Berlino), Köln 2003, pp. 28, 218-222, nn. 66-68; C. Kryza-Gersch, Due altari seicenteschi a San Marco: N. R. e Sebastiano Nicolini, e la produzione di ornamenti in bronzo per le chiese veneziane, in L’industria artistica del bronzo del Rinascimento a Venezia e nell’Italia settentrionale, Atti del Convegno..., Venezia... 2007, a cura di V. Avery - M. Ceriana, Verona 2008, pp. 253-272; V. Avery, Vulcan’s forge in Venus’ city: the story of bronze in Venice, 1350-1650, New York 2011, ad ind.; C. Kryza-Gersch, The production of multiple small bronzes in the Italian Renaissance (I), in Ricche minere, I (2014), 1, pp. 21-41 (in partic. pp. 37 s.).