MUSSO, Nicolò
– Figlio di Giovanni Pietro, personaggio di spicco alla corte dei Gonzaga morto nel 1618, nacque verosimilmente a Casale Monferrato (Bava, 1999, pp. 194, 198; Orlandi, 1704, p. 334), intorno al 1585-90.
Tale lasso di tempo si può con buona approssimazione desumere accostando i dati che provengono da due diverse fonti. La prima è l’Autoritratto (Casale Monferrato, Museo civico), che reca sul retro un’iscrizione identificativa («Nicolaus Mussus Io. Petri Fil.») dove il pittore si ritrae poco più che ventenne, stilisticamente databile al secondo decennio del Seicento, e la seconda è un documento del 1607, che attesta la residenza dell’artista a Roma, dove verosimilmente svolse il suo apprendistato pittorico (Terzaghi, 1999, p. 35).
L’Autoritratto, di notevole qualità, proveniente dalla collezione del marchese Francesco Giovanni Tommaso Mossi (1669-1742) di Casale Monferrato (Durando Di Villa, 1778, p. 27) e celebrato dalle fonti settecentesche fu identificato negli anni Sessanta del secolo scorso da Noemi Gabrielli (1967, p. 45). Le caratteristiche compositive e pittoriche suggeriscono di includerlo nel novero della miglior ritrattistica caravaggesca e di fissarne la datazione intorno al secondo decennio del Seicento, un’ipotesi che trova concorde tutta la critica, divisa però sul luogo di esecuzione: ancora a Roma o al rientro a Casale. Nella raccolta Mossi figuravano cinque tele di Musso, tutte perdute, a eccezione dell’Autoritratto. Insieme al dipinto, due di esse (una Baccante e un Suonatore) sono elencate in un inventario di fine Settecento conservato nell’Archivio storico del Comune di Casale Monferrato (Ieni, 1991, pp. 62-64; Barbero, 1995, p. 128; Mossetti, 1995, p. 116), mentre una Natività e un’Annunciazione risultano «ritirate» dai Mossi prima degli anni Novanta del Settecento dalla chiesa barnabita di S. Paolo a Casale Monferrato e sostituite da due dipinti a fresco (De Conti, 1794).
Dalla biografia stesa da Pellegrino Antonio Orlandi (1704), piuttosto attendibile poiché basata sulle notizie fornite da Ferdinando Caire, un artista nato a Casale Monferrato nel 1666 (Sciolla, 1989, pp. 243 s.), si apprende che Musso era «di buona nascita» e che studiò a Roma «quasi per spasso» per un periodo di dieci anni, «Scholaro di Michel Angelo da Caravaggio». Le parole di Orlandi sono confermate dal primo documento riguardante l’artista: una segnalazione proveniente dai registri degli Stati delle anime di Roma dalla quale si desume che nel 1607 Musso risiedeva nella parrocchia di S. Lorenzo in Lucina, nella contrada degli Otto Cantoni, in Campo Marzio, un rione folto di personalità artistiche, dove aveva gravitato lo stesso Caravaggio (Terzaghi, 1999, pp. 26-48) prima della sua partenza da Roma nell’estate del 1606; Musso poté certamente incontrare l’artista lombardo di persona, se giunse nell’Urbe prima di quella data, o comunque entrare in contatto con le sue opere.
Le testimonianze figurative del periodo romano di Musso sono esigue. La più accreditata è la tela raffigurante Cristo porta la Croce al Calvario oggi alla Galleria Sabauda di Torino, ma in origine conservata nella collezione del marchese Vincenzo Giustiniani (Squarzina, 2003, p. 340).
Registrato nel 1638 nella ricchissima raccolta come opera di un non altrimenti noto Francesco Casale, il dipinto fu rinvenuto da Luigi Salerno nel 1960 presso il palazzo della famiglia a Bassano Romano e attribuito a Nicolò Musso, originario di Casale, sciogliendo in questo modo la poco precisa indicazione inventariale (Salerno, 1960, p. 102; Romano, 1971, pp. 47 s.). La tela si trovava ancora nel palazzo romano dei Giustiniani nel 1857, quando un inventario registra: «n. 175. Gesù colla Veronica di Francesco Casali cornice come sopra scudi venticinque» (Squarzina, 2003, p. 340). Lo stesso dipinto è registrato nel 1886 tra le opere di proprietà della principessa Sofia Branicka Odescalchi che nel 1854 aveva acquistato il palazzo di Bassano Romano e vi rimase fino all’epoca del suo rinvenimento; entrato a far parte della Galleria Sabauda di Torino nel 1990, fu restaurato per l’occasione (Romano, 1990). L’opera sembra appartenere a una serie di pale di soggetto cristologico presenti nella collezione del marchese e dislocate nel palazzo romano (Romano, 1990, p. 34; Bava, 2001, p. 320). Il suo linguaggio pittorico si caratterizza per una profonda comprensione e adesione al naturalismo caravaggesco; la figura del Cireneo in primo piano, che suggestivamente è stata accostata alla fisionomia di Giustiniani (Romano, 1971, p. 48), pare fortemente in debito con quella di Nicodemo, protagonista della Deposizione di Cristo di Caravaggio, oggi alla Pinacoteca Vaticana. Altrettanto caravaggesco è l’espediente dell’autoritratto dell’artista che fa capolino alle spalle di Maria in lacrime, perfettamente riconoscibile per il confronto con l’Autoritratto di Casale Monferrato (Barbero, 1995, p. 26; Bava, 1999, pp. 217-220; Id., 2001, p. 320; Terzaghi, 1999, pp. 35 s.). L’affollamento della composizione risulta invece un retaggio cinquecentesco e paga pegno all’incisione di analogo soggetto di Albrecht Dürer (Romano, 1971, pp. 47 s.).
Nell’inventario Giustiniani il Cristo porta la Croce al Calvario veniva descritto insieme a una Natività delle stesse dimensioni, attribuita al medesimo autore (Squarzina, 2003, p. 340). L’identificazione di quest’ultimo dipinto (oggi nella collezione Unicredit diRoma) con una tela di analogo soggetto, negli anni Sessantasul mercato antiquario romano, attribuita a Musso per primo da Federico Zeri (comunicazione orale) e quindi da Salerno (1960, p. 102) è stata variamente proposta e respinta dalla critica.
Le prove a favore sarebbero l’identità del tema raffigurato e la vicinanza stilistica tra i due dipinti (Bacchi, 1989, pp. 37 s.), mentre i dubbi derivano dal fatto che la Natività risulta inferiore di 40 cm di altezza e 9 di larghezza rispetto alle misure indicate nell’inventario (Salerno, 1960, p. 102). Romano (1971, pp. 50 s., 57 s.; Id., 1990, pp. 16-18, 26 n. 26, 34, 45 nn. 10-13) propone invece di identificare la tela, giudicata di un caravaggismo più maturo rispetto al dipinto oggi alla Sabauda, con l’opera di analogo soggetto in origine nella chiesa di S. Paolo a Casale e nel 1794 citata nella già ricordata collezione Mossi (Ieni, 1991, pp. 62-64); lo studioso mette infatti in luce la sua dipendenza iconografica dalla Natività di Guglielmo Caccia detto Moncalvo nella chiesa di S. Michele a Casale Monferrato. Anche Bava (1999, p. 208) propende per l’esclusione del dipinto dalla raccolta romana. Va tuttavia rilevato che la descrizione dell’inventario Giustiniani («la Natività di Christo Nostro Signore e L’Angelo che annuntia alli Pastori di lontano»), appare molto puntuale e sembra calzare perfettamente con la tela di proprietà bancaria, dove in lontananza è raffigurato l’episodio dell’Annuncio ai pastori.
Sempre a proposito della collezione Giustiniani, è da notare come, a partire da un inventario del 1793, il nome «Francesco Casale» o «Casali» sia associato anche a una Cena in Emmaus («Christo con gli Apostoli in abito di Pellegrino di Francesco Casali, alto palmi 12, largo palmi 7 once 9»), oggi dispersa, che, come il Cristo portacroce e la Natività, risulta in vendita nel 1859 a palazzo Giustiniani (Squarzina, 2003, p. 314). Il nesso con il marchese Vincenzo, colto e munifico collezionista, attento e sensibile nei confronti della pittura dei giovani che nel secondo decennio del Seicento si accostavano al linguaggio figurativo di Caravaggio, in particolare se forestieri, testimonia le frequentazioni importanti di un artista che doveva ormai avviarsi verso una propria affermazione.
Quasi certamente romana è infine la Madonna con Bambino, firmata «N. Mussus F.», già sul mercato antiquario americano, oggi nota attraverso una fotografia (Romano, 1971, p. 51; Id., 1990, pp. 18 s.; Bava, 1999, p. 207 n. 69, legge sul retro della fotografia il nome del proprietario: «J. Bernard Burge, Normal 213 Male Place Keyport, N.J»), che esibisce un caravaggismo di stretta osservanza, poco temperato da altre istanze figurative.
Nel 1618 Musso era già rientrato a Casale Monferrato, come documentano la firma e la data presenti sulla pala della Madonna del Rosario in una cappella della chiesa di S. Domenico a Casale (ricordata da molteplici fonti a partire da Bartoli, 1776); è stato attribuito a Musso anche il fastigio con l’Eterno in gloria per il quale una maggiore incertezza esecutiva ha suggerito una collocazione cronologica a un momento successivo la realizzazione della pala (Romano, 1971, pp. 49, 57; Id., 1990, pp. 16, 25 n. 23).
La tela è senza dubbio un testo figurativo di grande levatura, da cui traspare una profonda comprensione delle novità pittoriche capitoline, e in particolare del naturalismo caravaggesco. L’opera dovette rappresentare un hapax assoluto nel sonnolento panorama figurativo casalese e il confronto con la pala di analogo soggetto redatta nella metà del secondo decennio del Seicento dal Moncalvo e ora nella chiesa di S. Martino, a San Salvatore Monferrato (Id., 1971, pp. 45 s.), evidenzia l’enorme distanza tra i due modi di intendere la pittura e di rappresentare la realtà.
Scarseggiano gli appigli cronologici sicuri che scandiscono gli anni piemontesi di Musso. Il 6 agosto 1619 a Casale, insieme con il fratello maggiore Delio (uditore della Camera ducale, letterato e membro dell’Accademia degli illustri di Casale; cfr. G. Morano, Catalogo degli illustri scrittori di Casale… [Asti 1771], Casale Monferrato 1898, p. 70; Bava, 1999, pp. 198 s., 201) acquistò un censo dai padri di S. Francesco. A questo momento si fa risalire anche la notevole pala raffigurante la Madonna col Bambino e angeli conservata nella chiesa di S. Pietro a Mombello Monferrato, che tuttavia può difficilmente considerarsi l’ubicazione originaria del dipinto, in loco con certezza solo a partire dal 1838 (Romano, 1990, p. 31; Bava, 1999, p. 216 n. 100). Sempre a questo momento dovrebbe risalire anche il Crocifisso adorato da s. Francesco, ora nella chiesa di S. Ilario a Casale, ma proveniente dalla distrutta S. Francesco. Dalla medesima fondazione, soppressa in epoca napoleonica, proveniva anche la più tarda tela raffigurante le Nozze di Cana, oggi nella chiesa di S. Giulio ad Altavilla Monferrato, databile tra il 1622 e il 1624 (Bava, 1999, p. 222), e molto probabilmente realizzata con l’aiuto di un collaboratore.
Celebrato da tutte le fonti, il dipinto, ritrovato alla fine dell’Ottocento e donato alla chiesa di S. Ilario (Minina, 1896, pp. 153 s.; Gabrielli, 1935, p. 78) rappresenta una delle opere di più stretta osservanza caravaggesca di Musso. Il nesso che lega l’opera alla Crocifissione di s. Andrea di Caravaggio (Cleveland, The Cleveland Museum of art), realizzata per il conte di Benavente a Napoli, dove rimase fino al momento della partenza del viceré per la Spagna nell’estate del 1611, nonché al Crocifisso di Battistello Caracciolo del Museo civico di Castelnuovo a Napoli, sembrano aprire uno spiraglio su possibili frequentazioni napoletane da parte di Musso, sinora tuttavia mai accertate (per l’individuazione di suggestioni lombarde e piemontesi nella tela: Longhi, 1951, pp. 78 s. n. 135; Bava, 1999, p. 222).
Pittore ormai affermato sulla piazza casalese, nel 1620 Musso venne chiamato a lavorare alla decorazione del castello di Casale Monferrato e della sua chiesa dedicata all’Immacolata Concezione. I lavori di abbellimento del castello, residenza dei Gonzaga, erano ripresi infatti con fervore dopo la guerra di successione del Monferrato nel 1613. La prestigiosa commissione della pala d’altare della chiesa fu certamente portata a termine entro il 18 novembre 1620, quando venne saldata l’ancona lignea che doveva incorniciare il dipinto (Bava, 1999, p. 227 n. 142). Più difficile è invece individuare il suo intervento nella decorazione parietale della chiesa e delle sale del castello (in particolare nella galleria del Belvedere). Le fonti settecentesche (a partire da Morano, 1756) ricordano infatti l’operato di Musso a fianco del pittore casalese Giorgio Alberini, ma i documenti, piuttosto eloquenti sul secondo, tacciono invece del primo artista e quel che resta del castello non permette di fare luce sui dipinti (Bava, 1999, pp. 226 s.).
Nel 1622 il pittore ricevette la commissione della tela per la Confraternita dell’Annunciata di Ticineto Po, raffigurante l’Annunciazione, oggi conservata nella chiesa parrocchiale di S. Maria Assunta a Ticineto.
La pala (segnalata da Romano, 1974, p. 314 n. 59, e datata grazie al manoscritto di I. Tabacchi [1743], conservato nell’Archivio parrocchiale di Ticineto, reso noto da Barbero, 1978, pp. 38 s.), rappresenta l’ultima opera documentata di Musso e, insieme alla Madonna del Carmine che porge lo scapolare a s. Simone Stock, conservata nella chiesa di S. Ilario a Casale Monferrato, è caratterizzata da un linguaggio figurativo giocato su un compromesso tra le istanze naturalistiche apprese a Roma e la pittura nitida e composta diffusa dalla tradizione locale.
All’esiguo catalogo dell’artista sono state recentemente aggiunte su base stilistica alcune opere: il S. Carlo Borromeo orante della chiesa di S. Pietro Apostolo a Brusasco (già noto a Romano, 1990, p. 40, che in via ipotetica attribuiva la tela a Carlo Saraceni), il Lamento sul corpo di Cristo in collezione privata londinese (Papi, 2009, pp. 23-30), il dipinto con Giuseppe e la moglie di Putifarre (Contini, 2010, pp. 94 s.), ora a Berlino (Staatliche Museen, Gemäldegalerie) e infine tre raffigurazioni di Cristo (Pulini, 2011, pp. 63-65: Cristo risorto mostra la ferita, Perth Museum & Art Gallery; Ecce Homo, già Milano, Collezione Koelliker; Cristo risorto come Buon Pastore, già New York mercato antiquario); proposte interessanti, ma (fatta eccezione per il S. Carlo di Brusasco, giustamente assegnato a Musso) passibili di ulteriori verifiche.
Non si conoscono il luogo e la data di morte di Musso, avvenuta tra il 6 febbraio 1623, quando l’artista risulta prestare denaro al capitano Giovanni Stefano Cavallo, e il 12 aprile 1627, data in cui fu compilato l’inventario post mortem dei beni suoi e del fratello Delio (morto nel 1623) toccati in eredità ai nipoti (Bava, 1999, pp. 201 n. 47, 237).
Fonti e Bibl.: P.A. Orlandi, Abcedario pittorico…, Bologna 1704, p. 334; G.A. Morano, L’astro cronico: almanacco Monferrino per l’anno bisestile 1756, Milano 1756, p. 133; F. Bartoli, Notizia delle pitture, sculture ed architetture d’Italia… (Venezia 1776), Torino 1969, p. 115; F. Durando di Villa, Regolamenti della Reale Accademia di pittura e scultura di Torino, Torino 1778, p. 27; G. De Conti, Ritratto della città di Casale (1794), a cura di G. Serrafero, Casale Monferrato 1966, p. 27; G. Minina, Un capolavoro del pittore casalese N. M. tratto dall’oblio, in Rivista di storia, arte, archeologia della provincia di Alessandria, V (1896), 13, pp. 153 s.; N. Gabrielli, L’arte a Casale Monferrato dal XI al XVIII secolo, Torino 1935, p. 78; R. Longhi, Mostra del Caravaggioe dei caravaggeschi (catal.), Milano 1951, pp. 78 s. n. 135; L. Salerno, The picture gallery of Vincenzo Giustiniani. II. The inventory, in The Burlington Magazine, CII (1960), p. 102; N. Gabrielli, Tre inediti, in Studi di storia dell’arte in onore di Vittorio Viale, Torino 1967, p. 45; G. Romano, N. M. a Roma e a Casale, in Paragone, XXII (1971), 255, pp. 44-60; Id., N. M. a Roma e a Casale, in Quarto Congresso di antichità e d’arte organizzato dalla Società piemontese di archeologia e belle arti, Casale Monferrato… 1969, Torino 1974, p. 314; A. Barbero, N. M. Autoritratto, in Musei del Piemonte. Opere d’arte restaurate, a cura di G. Romano, Torino 1978, pp. 38 s.; M. Marini, Gli esordi del Caravaggio e il concetto di «natura» nei primi decenni del ’600 a Roma, in Artibus et historiae, II (1981), 4, fig. 31; Around 1610. The onset of the Baroque (catal., London-New York), London 1985, pp. 53-55 n. 13; A. Bacchi, in Iriarte. Antico e moderno nelle collezioni del Gruppo IRI (catal., Roma), Milano 1989, pp. 37 s.; G.C. Sciolla, Un corrispondente casalese di padre Pellegrino Antonio Orlandi, in Studi piemontesi, XVIII (1989), 1, pp. 243 s.; G. Romano, N. M. (catal.), Torino 1990 (in partic.: Id., Qualche aggiornamento su N. M. e sulla pittura caravaggesca in Piemonte, pp. 28-46); G. Ieni, Un progetto inedito di Benedetto Alfieri per palazzo Mossi di Casale Monferrato, in Il disegno di architettura, IV (1991), pp. 62-64; C. Mossetti, La «copiosa gallerija di buoni quadri» di casa Mossi a Casale: primi accertamenti documentari, in Le collezioni del Museo civico di Casale. Catalogo delle opere esposte, a cura di G. Mazza - C.E. Spantigati, Tortona 1995, p. 116; A. Barbero, N. M. Autoritratto, ibid., p. 128; A.M. Bava, N. M. a Roma e a Casale Monferrato, in Percorsi caravaggeschi tra Roma e Piemonte, a cura di G. Romano, Torino 1999, pp. 193-237; M.C. Terzaghi, «Quasi tutti li pittori di Roma»: i Piemontesi, in Percorsi caravaggeschi tra Roma e Piemonte, a cura di G. Romano, Torino 1999, pp. 35-38; A.M. Bava, N. M., Cristo porta la croce al Calvario, in Caravaggio e i Giustiniani. Toccar con mano una collezione del Seicento (catal., Roma), a cura di S. Danesi Squarzina, Milano 2001, pp. 320-323; S. Danesi Squarzina, La collezione Giustiniani, I, Inventari, Torino 2003, pp. 314, 340 s.; La buona ventura di Georges de La Tour e aspetti del caravaggismo nordico in Piemonte (catal., Torino), a cura di P. Astrusa - A.M. Bava - C.E. Spantigati, Milano 2003, p. 51; B. Corino, L’Autoritratto di N. M., in Rivista di storia, arte, archeologia per le provincie di Alessandria e Asti, CXIII (2004), pp. 143-149; G. Papi, Per N. M., in Paragone, LX (2009), pp. 23-30; R. Contini, N. M. Joseph und Potiphars Weib, in Hommage an Caravaggio 1610/2010 (catal., Berlin), a cura di B.W. Lindemann - R. Contni, München 2010, pp. 94 s.; M. Pulini, Cristologia di N. M. e due aggiunte al giovane Ribera, in Storia dell’Arte, 2011, n. 128 pp. 63-68.