POUSSIN, Nicolas
Pittore, nato a Villers, presso Les Andelys (Normandia) nel 1594, morto a Roma il 19 novembre 1665. Formatosi a les Andelys sotto la guida di Quentin Varin, verso il 1612 andò a Parigi, vi lavorò nello studio di S. Lallement e di F. Elle; indi eseguì nel castello di Cheverny e nel palazzo del Lussemburgo a Parigi alcune decorazioni, poi scomparse, e due Mays (offerte di maggio alla Vergine) per la chiesa di Notre-Dame.
Studiando le stampe di Marcantonio, riproducenti opere di Raffaello e della sua scuola, le quali gli rivelarono la magistrale composizione italiana dello spazio, il P. conobbe la propria vocazione. Nel 1620 partì per l'Italia, ma, povero e malato, non poté proseguire oltre Firenze. Tornato a Parigi, riprese contatto con l'ambiente italiano, entrando in relazione col poeta G. B. Marino, sotto la cui ispirazione eseguì 16 disegni a penna e all'acquerello (Windsor) per illustrare le Metamorfosi d'Ovidio, e dipinse soggetti mitologici, segnatamente il Bacco ed Erigone (Stoccolma) e Narciso (Dresda).
Finalmente, nel 1624, partì di nuovo per Roma, che non doveva lasciare più, salvo una dimora di due anni a Parigi (1640-42). Codesto soggiorno in Francia fu per lui senza gioia, perché privo di sole e di virtù suggestiva per la sua immaginazione. Egli, primo pittore del re, dipinse allora nella galleria d'Apollo al Louvre la Favola d'Ercole. distrutta, e Ercole che abbatte l'Invidia per confondere i suoi invidiosi.
La nostalgia lo ricondusse infine nel solo ambiente in cui potesse creare e dove dimorò fino alla morte. Stabilitosi in via Paolina (attuale via del Babuino), l'artista classico, normanno e cartesiano, si legò definitivamente a Roma: vi sposò (1630) la sorella di Gaspard Dughet (v. poussin, gaspard dughet); s'esaltò nella maestà di Roma che gli comunicava il sentimento della grandiosità dello stile; ritrasse gli aspetti della Campagna Romana che entravano poi a far parte dei suoi paesaggi; misurò e disegnò le rovine, soprattutto le "belles antiques" che stimolavano in lui il senso plastico; studiò le opere di Raffaello, dei Veneziani (specie di Tiziano), dei pittori barocchi, come Annibale Carracci, il Domenichino, Pietro da Cortona e degli scultori come l'Algardi e il fiammingo Duquesnoy. Egli rappresenta il genio classico francese che si forma sui doni dell'Italia.
Dal 1624 al 1640, epoca del suo primo soggiorno a Roma e della sua ardente giovinezza, studiando il Tiziano, dipinge voluttuosi Baccanali di tinte calde e di tocco vivace (a Dresda, a Chantilly); L' educazione di Bacco (al Louvre); poi i quattro Baccanali o Trionfi per il duca di Richelieu, 1638-1639 (oggi nella raccolta P. Jamot a Parigi, nella raccolta Howard a York, nella National Gallery [v. baccanali, V, p. 778] e all'Ermitage). Questa ebbrezza pagana trovò espressione anche in Floralie (Impero di Flora, Dresda, verso il 1634; Trionfo di Flora, Louvre. verso il 1630) e in Metamorfosi, ispirate da Ovidio (Morte di Narciso, Louvre, 1623-26; Morte di Adone, Caen, verso il 1630 o 1635). Dalla terra classica egli assorbiva il senso profondo del mito; e questa sua esaltazione poetica affermò nel Parnaso del Prado (verso il 1635) e nell'Ispirazione del poeta, del Louvre (verso il 1636-38).
Il secondo soggiorno a Roma (1642-1665) si riassume nell'autoritratto del Louvre, opera piena di gravi confessioni (1650). Il P., buon cristiano, non abbandonò mai i soggetti religiosi; ma la Cena del Louvre è senza profondità di mistero; il Pianto sul Cristo di Monaco è quasi una replica della Morte di Adone di Caen: l'Estasi di S. Paolo del Louvre, dipinta per lo Scarron nel 1650, è un riflesso del quadro del Domenichino. Il genio del P. si trovava altrimenti a suo agio nei soggetti pagani. Ma, pagani o religiosi, i suoi soggetti segnavano ormai un'evoluzione nello stile. Più classico, egli tende al bassorilievo, come in Eleazar e Rebecca del Louvre (1648). Un suo pensiero morale, già di elevata malinconia nel quadro Les bergers d'Arcadie (Louvre) e nel Ballo della Vita (1638), impronta fortemente la composizione e talvolta la subordina, come nel Cieco di Gerico (1650), a una geometria rigorosa che fa coincidere il centro fisico e l'interesse morale.
Spesso nel paesaggio l'artista esprime più altamente il suo mondo ideale. Prendeva elementi dalle campagne lungo il Tevere, sui Monti Albani, nella "valle del Pussino", ma li ricomponeva nel suo spirito. Il suo paesaggio storico, di cui aveva tratto la formula poetica da La fuga in Egitto di Annibale Carraci, riduce sempre più la parte delle figure umane per divenire una specie di ampio e armonioso universo nella celebre serie Funerali di Focione (1648, Louvre), Polifemo (1649, Ermitage), Diogene (1648, Louvre), Orfeo ed Euridice (verso il 1659, Louvre). In esso soprattutto si manifestano la sua virtù latina di costruire, la sua concezione dell'universo come un'architettura. La sua forma rimase sempre scultorea. Amico dell'Algardi e del Duquesnoy, modellò in cera (statuetta al Louvre, riproducente l'Arianna addormentata del Vaticano; disegni di Terme per Nicolas Fouquet, oggi nel parco di Versailles). Il suo colore, disciplinato, lascia volontieri il sopravvento al disegno, ma senza rinunciare alle sue qualità edonistiche, per esempio, nei primi Baccanali, nell'Ispirazione del poeta e nei quadri ben conservati di Dresda. Il suo genio, che fu classico e non barocco, splende più spontaneo e libero nei disegni, anch'essi così plastici; disegni da scultore, a penna e ad acquerello (al Louvre, e all'École des beaux-arts, a Chantilly, a Montpellier, a Baiona, nella biblioteca di Windsor, nell'Albertina di Vienna e nell'Ermitage). Disegnò i frontespizî di un'edizione di Virgilio (1641), d'una di Orazio (1642) e figure per il Trattato della pittura di Leonardo, pubblicato nel 1651. Alla vigilia della fondazione dell'Accademia di Francia a Roma, il P. insieme col Bernini dava consigli ai giovani inviati a Roma dal Colbert per studiare le arti. Grande lavoratore, lasciò pochi allievi diretti, come il cognato Gaspard Dughet a Roma, ma (dai giovani pensionarî di Francia del sec. XVII fino al Cézanne e ai suoi discepoli) una discendenza innumerevole che ha mantenuto fino al nostro tempo nella pittura francese il senso classico della immanenza e dell'ordine.
Bibl.: A. Moschetti, Dell'influsso del Marino sulla formazione artistica di N. P., Roma 1913: E. Magne, N. P., Parigi 1914 e 1928; W. Friedländer, N. P., Monaco 1914; O. Grautoff, N. P. Sein Werk u. s. Leben, Monaco 1914; id., Nouveaux tableaux de N. P., in Gaz. des beaux-arts, 1932, I, pp. 323-40; Ch. Martine, N. P. Cinquante reprod., Parigi 1921 (Dessins de maîtres français, I); P. Alfassa e L. Demonts, Dessins de P. avec un Catal. raisonné, Parigi 1922; P. Jamot, Études sur N. P., in Gaz. des beaux-arts, 1921, II, pp. 81-100, 321-30; 1925, II, pp. 73-114; R. Schneider, Des sources ignorées de l'art de P., in Mélanges Bertaux, Parigi 1924; P. du Colombier, Lettres de N. P., Parigi 1928; id., N. P., Parigi 1931; J. Aymard, N. P., Parigi 1929; W. Friedländer, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, XXVII, Lipsia 1933 (con ampia bibl.).