JENSON, Nicolas
Nacque in Francia, a Sommevoire nei pressi di Langres, verosimilmente tra il 1430 e il 1440, come si può desumere dal testamento redatto il 7 sett. 1480, nel quale tutti i figli appaiono essere ancora in minore età. Al suo paese d'origine lo J. rimase sempre legato da vincoli familiari, sociali ed economici: il padre, Jacques, era sepolto nella chiesa di St-Pierre a Sommevoire e lì risiedeva il fratello Albert, rappresentante in Francia della sua azienda, designato dallo stesso J. erede universale ed esecutore testamentario.
Poco si conosce della vita dello J. anteriormente all'inizio dell'attività tipografica a Venezia e deve essere considerata niente più che una leggenda la vicenda divulgata da Jean Grolier e Jean Lhuillier quasi un secolo dopo la sua morte.
Secondo tale narrazione il re di Francia Carlo VII, avendo avuto notizia dell'invenzione della stampa da parte di Gutenberg, verso la fine del 1458 avrebbe inviato lo J., descritto alternativamente come intagliatore di matrici nella Zecca di Parigi o direttore della Zecca di Tours, a Magonza perché si impadronisse dei segreti del nuovo metodo di fabbricazione dei libri. La morte di Carlo VII (22 luglio 1461) e lo scarso interesse per la stampa del nuovo re Luigi XI avrebbero indotto lo J. a ritenere terminata la missione e a sperimentare altrove la nuova tecnica, divenendo tipografo in proprio.
Questa testimonianza, certamente plausibile, ha avuto e continua ad avere ampio credito e grande diffusione, ma è del tutto priva di qualsiasi conferma documentaria, e le uniche informazioni attendibili che si possono trarre da questo racconto sono l'indiscutibile competenza dello J. come incisore e, forse, il suo servizio presso una Zecca reale francese. Resta il dubbio che all'origine di questa storia possa essere stata l'iniziativa autopromozionale dello stesso J. che si lasciava definire da uno dei suoi curatori, Ognibene da Lonigo, "artis librariae mirabilis inventor" nell'introduzione al Quintiliano del 21 maggio 1471, e datava 1461 il Decor puellarum stampato presumibilmente dieci anni dopo (Indice generale degli incunaboli [= IGI], 3400), sempre che non si tratti di un semplice errore di stampa, che sembrerebbe però poco credibile proprio nella data.
Attraverso la Germania, seguendo un itinerario professionale che pure è stato ipotizzato, o più probabilmente dalla Francia e dopo un soggiorno a Vicenza adombrato dai suoi successivi rapporti con personaggi di quella città, lo J. approdò verso la fine del 1469 a Venezia, dove Giovanni da Spira aveva già installato una tipografia godendo di un privilegio che gli assicurava il monopolio di tale attività per cinque anni. La sua morte, avvenuta all'inizio del 1470, fece decadere il privilegio scatenando immediatamente un'accesa concorrenza: a questa prima tipografia, passata nelle mani del fratello Vindelino, si affiancarono immediatamente quella dello J. e quella di Christoph Valdarfer, seguite nell'anno successivo da quelle di Adamo da Ambergau e del non identificato "tipografo del Basilius".
Se nel corso del 1470 lo J. fu in grado di stampare cinque edizioni, doveva trovarsi a Venezia almeno dalla fine del 1469, perché aveva avuto il tempo di incidere e fondere il suo carattere romano, di allestire la tipografia - presumibilmente presso la sua residenza nella parrocchia di S. Cancian - e di procurarsi tutti gli altri materiali necessari per la stampa. Gli indirizzi essenziali della tipografia cominciarono a delinearsi fin dalle sue prime edizioni: all'editio princeps della Preparatio Evangelica di Eusebio di Cesarea (IGI, 3754) si affiancarono quattro classici: il De inventione (IGI, 2866) e le Epistolae ad Brutum, ad Quintum fratrem, ad Atticum di Cicerone (IGI, 2802), la Rhetorica ad Herennium (IGI, 2959), le Epitomae in Trogi Pompeii historias di Giustino (IGI, 5552), tutte prime edizioni con la possibile eccezione delle Epistolae ciceroniane (IGI, 2801) stampate nello stesso anno a Roma anche da Sweynheim e Pannartz. Lo J. aveva iniziato la sua attività troppo tardi per poter seriamente preoccupare Vindelino, ma la concorrenza fra le due aziende si accese negli anni successivi, come se i due editori volessero soverchiarsi a vicenda con il peso della propria produzione: nel 1471 venti furono le edizioni da parte dello J. che si contrapposero alle ventuno di Vindelino. Negli anni successivi le statistiche della produzione tipografica a Venezia sembrano comunque attestare una certa superiorità del secondo, entrato nell'orbita del potente imprenditore Giovanni da Colonia. La produzione dello J. nel 1471 tende a differenziarsi, anche se i testi classici o di ambiente umanistico ne costituiscono il quaranta per cento: fra di essi la prima edizione delle Vitae imperatorum di Cornelio Nepote (IGI, 3211) e le Institutiones oratoriae di Quintiliano con il commento di Ognibene da Lonigo (IGI, 8260).
Legata probabilmente alle vicende del Collegio dei medici veneziani è la stampa di due testi di medicina, il Liber servitoris di Abulcasis (IGI, 11) e l'Antidotarium di Niccolò Salernitano (IGI, 6855). Non sembrano rientrare nel quadro produttivo delineato i cinque opuscoli religiosi in 4°, collegabili all'ambiente dei certosini di Venezia e da essi probabilmente commissionati e finanziati; così anche le pubblicazioni di carattere politico di circostanza come l'Oratio habita apud Sixtum IV contra Turcos di Bernardo Giustiniani (IGI, 5544), l'Epistola ad Nicolaum Tronum di Francesco Filelfo (F.R. Goff, Incunabola in American Libraries…, Millwood, NY, 1984, p. 582) o l'Oratio ad Nicolaum Tronum di Guillaume de Rochefort (IGI, 8480) dovevano essere il risultato di una committenza esterna. La produzione del 1472 è più ridotta: solo sei volumi, quasi tutti classici, fra i quali richiamano l'attenzione le prime edizioni degli Scriptores rei rusticae (IGI, 8853) e l'Expositio in Somnium Scipionis di Macrobio (IGI, 5923) e, probabilmente, delle Tusculanae disputationes di Cicerone (IGI, 2989).
I testi che stampava e il pubblico al quale rivolgeva la sua produzione imponevano l'uso del carattere romano, e quello che lo J. incise nel 1470, nella chiarezza e semplicità del disegno, fu forse il suo maggiore contributo alla tipografia; non diversamente da altri tipografi contemporanei le sue maiuscole appaiono fortemente influenzate da modelli classici simili a quelli disegnati da Felice Feliciano, mentre è più difficile individuare un modello unico per le minuscole, esemplate sulle scritture dei più abili copisti del tempo. Certo è che nessuno dei suoi concorrenti raggiunse la sua eleganza, così come nessuno riuscì, come lui, a trasferire i tratti leggeri della penna nel piombo del carattere tipografico. L'eleganza dei caratteri e l'armonia della pagina, la spaziatura uniforme delle righe, l'ampio margine inferiore sono diventati elementi architettonici della pagina accettati in tutto il mondo occidentale.
La crisi che investì le tipografie italiane verso la fine del 1472 - così efficacemente documentata per Roma dalla petizione al papa di Sweynheim e Pannartz - non lasciò indenne neppure quelle veneziane, si trattasse di sovrapproduzione di testi classici o di motivazioni di politica locale. Certo è che la produzione veneziana scese bruscamente a una quarantina scarsa di edizioni contro il centinaio che era stato stampato in ciascuno dei due anni precedenti; nel 1473 lo J. stampò una sola edizione, ma trovò la capacità di uscire indenne dalla crisi individuando una linea produttiva e una strategia commerciale che avrebbero poi sancito, nel corso degli anni Settanta, il successo della sua tipografia e quello suo personale, culminato nel 1475 con la nomina a conte palatino da parte di Sisto IV. Volta al successo commerciale della sua azienda fu anche l'iscrizione alla Scuola grande di S. Marco e alla Scuola di S. Girolamo.
Dopo aver chiamato in Italia e rifornito di caratteri il compatriota Jacques Le Rouge, probabilmente nello stesso 1473 lo J. costituì con due uomini d'affari di Francoforte, Peter Ugleheimer e Johannes Rauchfas, una società denominata "Nicolaus Jenson et socii", che si pose come l'unica effettiva concorrente sul mercato veneziano della tipografia di Giovanni e Vindelino da Spira, ormai pienamente in possesso di Giovanni da Colonia e di Johann Manthen. Dopo essersi dotato, all'inizio del 1474, di caratteri gotici, indispensabile premessa all'ampliamento del suo raggio d'azione a un diverso genere di pubblicazioni, lo J. indirizzò la sua produzione verso il mercato accademico dei teologi e dei giuristi, più ampio, sicuro ed economicamente promettente. La produzione del 1474 assomma a sei opere ed è caratterizzata dalla voluminosa edizione del Decretum di Graziano (IGI, 4391) che diede inizio a una lunga serie di testi di diritto stampati in carattere gotico, ma solo nel 1475 la società sembra essere tornata a quella produzione su larga scala che avrebbe caratterizzato l'attività dell'azienda anche negli anni successivi. Tra il 1475 e il 1479 lo J. pubblicò tutti i testi del diritto canonico, ai quali si aggiunse la poderosa edizione del commento di Niccolò de' Tedeschi alle Decretales di Gregorio IX (IGI, 9759, 9765, 9774, 9776, 9792, 9809, 9824, 9842) e la serie dei testi di diritto civile. Lo J. iniziò con la pubblicazione nel 1477 del Digestum novum (IGI, 5450), probabilmente pianificato per la pubblicazione nel corso dello stesso anno del Digestum vetus (IGI, 5463) e dell'Infortiatum (IGI, 5474) da parte di Le Rouge, e proseguì con la stampa delle altre parti del Corpus iuris civilis (IGI, 5433); contemporaneamente fu in grado di immettere sul mercato anche le letture di Bartolo da Sassoferrato su quegli stessi testi (IGI, 1290, 1302, 1311, 1326, 1327, 1336, 1337, 1346, 1370, 1381), 4760 pagine in folio che, considerata l'altrettanto notevole entità della sua produzione contemporanea, permette di valutare le dimensioni più che ragguardevoli dell'azienda, nella quale dovevano essere in esercizio almeno una decina di torchi. Ma il lavoro della tipografia doveva essere necessariamente integrato, oltre che dall'azienda satellite di Le Rouge, alla quale venne per esempio subappaltata la stampa di 200 fascicoli delle Vitae illustrium virorum di Plutarco del 2 genn. 1478 (IGI, 7922), anche da altre tipografie veneziane perché solo con questa collaborazione si può giustificare la misura veramente straordinaria della produzione della società "Nicolas Jenson et socii", nella quale, accanto ai testi di diritto civile e canonico, la pubblicazione della Bibbia nel 1476 (IGI, 1646) e ancora nel 1479, quella del De civitate Dei di s. Agostino nel 1475 (IGI, 972), quella del Messale (IGI, 6593), del Breviario (IGI, 2144) e dei Libri d'ore (cinque edizioni tra il 1474 e il 1475: IGI, 4814, 4815, 4816; Incunabola Short-title Catalogue ih 00357260, ih 00357240) testimoniano quell'interesse crescente dello J. per i testi teologici e liturgici che sembra culminare nella probabile collaborazione con i domenicani del convento dei Ss. Giovanni e Paolo per la pubblicazione della prima parte della Summa theologiae (IGI, 9573) e della Summa contra Gentiles (IGI, 9571) di s. Tommaso d'Aquino e soprattutto in quella della Summa theologica di Antonino Pierozzi (IGI, 690) realizzata tra il 1477 e il 1480. Non si erano tuttavia interrotti i contatti con i circoli umanistici ai quali era quasi totalmente rivolta la produzione degli anni precedenti la crisi del 1473: alcune pubblicazioni sono indirizzate ancora allo stesso mondo, come attestano, oltre alla scelta dei testi, anche l'uso del carattere romano e il tenore delle dediche, fra gli altri il Virgilio (IGI, 10191) e le Epistolae ad familiares di Cicerone del 1475 (IGI, 2819) e la già ricordata traduzione latina di Plutarco, ragguardevole per la straordinaria armonia della veste tipografica.
La società dello J. raggiunse il suo livello più alto probabilmente tra l'inizio del 1477 e l'estate del 1478 e doveva essere considerata per i tempi una grande azienda capitalistica, tanto che i contemporanei, come Marin Sanuto, potevano parlare di lui come un uomo ricchissimo (aveva interessi, per esempio, anche nell'industria tessile). Tuttavia la pressione crescente della compagnia di Giovanni da Colonia e di Johann Manthen stava portando a un acutizzarsi della competizione commerciale. Se nel 1475 la produzione dello J. era stata superata da quella dei due rivali tradizionali ed eguagliata da quella di un paio di altri tipografi veneziani, dal 1476 il numero dei volumi stampati dallo J. e da Le Rouge superò costantemente quello dei tipografi tedeschi e la produzione totale dei due gruppi si attestò su poco meno della metà dell'intera produzione tipografica veneziana. Si rendeva evidentemente necessaria una tregua per mettere fine a una rivalità che non poteva che nuocere a entrambe le compagnie. Nei primi mesi del 1479 ci si stava muovendo per raggiungere un accordo e dopo circa un anno di collaborazione informale le due maggiori compagnie della stampa veneziana decisero di fondersi: Giovanni da Colonia era già morto quando fu firmato il contratto del 29 maggio 1480 che sarebbe diventato operativo il 1° giugno. Ma anche la vita dello J. stava declinando: il suo testamento è datato 7 sett. 1480 ed egli dovette morire pochi giorni dopo, a prestar fede alla postilla vergata da Felino Sandei sulla sua copia del De bello Italico adversus Gothos di Leonardo Bruni (IGI, 2189), stampato dallo stesso tipografo.
La nuova compagnia, denominata "Johannes de Colonia, Nicolaus Jenson et socii", iniziò la sua attività con la pubblicazione della quarta parte del commento di Baldo degli Ubaldi al Codice terminata il 30 nov. 1480 (IGI, 9954): i nomi dello J. e di Giovanni da Colonia continuarono fino al 1482 ad apparire nei volumi pubblicati secondo un progetto certamente ascrivibile allo stesso J., anche se la responsabilità del lavoro di tipografia era ora affidata all'esperto Johann Herbort, già attivo a Padova dal 1475.
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