NICEA (Νίκαια, Nicaea; etn. Νικαιεύς o Νικαεύς)
Città della Frigia ellespontica sulla riva orientale del lago Ascania (odierno Iznik Gölü) nella località dell'odierna Iznik. Una leggenda ne attribuiva la fondazione a Bacco reduce dall'India, un'altra tradizione, invece, agli abitanti di una cittadina di ugual nome situata presso le Termopile, venuti con l'esercito di Alessandro. In realtà esistette sul luogo uno stanziamento molto antico dei Bottiei, denominato Ancore o Elicore che fu distrutto dai Misî. Nel 316 a. C. vi sorse la nuova città per opera di Antigono Monoftalmo, forse dopo la sua vittoria su Eumene, e da lui prese il nome di Antigoneia. Nel 301 Lisimaco, dopo la battaglia presso Isso, padrone di gran parte dell'Asia Minore, la ingrandì e la denominò N. in onore della sua prima moglie Nicea figlia di Antipatro. Nel 281 Nicea fu occupata dai Bitinî, e i loro re vi ebbero spesso residenza. Sotto la dominazione romana aumentò d'importanza anche per essere un centro stradale. Fu abbellita da Claudio e da Plinio il giovane; Adriano la visitò nel 123 e forse ne curò la fortificazione che fu terminata solo nella seconda metà del sec. III dall'imperatore Claudio il Gotico per tema che si ripetesse l'invasione dei Goti che nel 258 avevano danneggiato gravemente Nicea e altre città. L'importanza religiosa sociale militare e intellettuale della città portò Nicea durante questo tempo quasi a sorpassare Nicomedia con la quale ebbe viva rivalità. Costantino la scelse per sede del famoso concilio ecumenico del 325; Valente la riparò nel 368 dopo un terremoto; Valentiniano vi fu eletto imperatore; Giustiniano, infine, vi costruì vari edifici pubblici.
Leone Isaurico e suo fratello Costantino rinnovarono le mura della città (v. sotto), la quale finì per diventare la seconda nell'impero e fu per tutto il Medioevo saldo baluardo contro i ripetuti assalti degli Arabi e dei Turchi. Nel 787 vi si tenne un secondo concilio generale (settimo degli ecumenici; v. sotto). Nel 1078 cedette alla pressione di Solimano, sultano d'Iconio, ma nel 1097 fu liberata dai guerrieri della prima crociata. E quando nel 1204 Costantinopoli cadde sotto i Latini della IV crociata, Nicea divenne il centro delle aspirazioni nazionali dei Bizantini (v. sotto: L'impero di Nicea).
Nel 1333 cadde in potere dei Turchi guidati da Orcan e d'allora in poi ha seguito le sorti della dominazione turca.
Monumenti. - Dell'epoca bizantina Nicea conserva un acquedotto costruito da Giustiniano, tuttora in uso, due ruderi di chiese e le mura. La cattedrale di S. Sofia, in cui fu tenuto il secondo concilio di Nicea, è una basilica a tre navate che risale verosimilmente al sec. V. Nel corso dei secoli essa ha subito numerose modificazioni: le colonne furono sostituite da larghi pilastri e, in un ultimo restauro del tempo dei Paleologhi, vennero sistemate due cappelle a cupola all'estremità orientale delle navate laterali. Trasformata in moschea nel sec. XIV, la basilica è da lungo tempo in rovina. La chiesa della Dormizione della Vergine, distrutta durante l'ultima guerra greco-turca, era uno dei più preziosi monumenti dell'arte bizantina. Secondo il Wulff, essa risalirebbe al sec. VIII o al IX; ma lo Schmit la ritiene, con maggior ragione, più antica e la riporta all'inizio del sec. VII, se non anche del VI. Era una basilica a cupola, la cui pianta risultava un adattamento di quella di S. Sofia a Costantinopoli. All'esterno, le proporzioni erano raccolte e armoniose: le masse che componevano l'edificio, salivano con bel movimento fino alla sommità della cupola. La decorazione interna era costituita da un pavimento a tarsia di marmo, da lastre marmoree scolpite e soprattutto da splendidi musaici: quelli del nartece risalivano al sec. XI; quelli della navata, più antichi, al sec. IX o X e quelli del santuario al sec. VII o VIII, secondo lo Schmit: rappresentavano figure isolate, tra le quali tre immagini della Vergine.
Le mura formanti un poligono di 4427 m. sono, con quelle di Costantinopoli, cui somigliano, uno dei migliori esempî di fortificazione bizantina. Il loro tracciato risale a epoca romana, ma il complesso ne fu profondamente rimaneggiato nel sec. V e subì rifacimenti posteriori, specie sotto Leone l'Isaurico e nell'epoca selgiuchida. Sono costituite da una doppia cinta: l'interna, alta più di 10 metri e larga, in cima, circa 5 metri, è difesa da 108 torri rotonde o quadrate; l'esterna, alta da 8 a 9 metri, larga in cima 3 metri, ha 130 torri rotonde. Tra le due cinte corre un intervallo di 16 metri e dinnanzi a quella esterna un largo fossato. Tutti i particolari sono combinati in modo da evitare gli angoli morti. Le porte si compongono di una triplice apertura in fuga: le prime due praticate nella doppia cinta di mura, la terza in fondo a un vallo interno. In parecchie di queste porte, gli archi delle due aperture interne sono romani; le sovrastrutture e le torri che le circondano sono bizantine e l'apertura esterna è turca.
Bibl.: Ch. Texier, Description de l'Asie Mineure, I, Parigi 1839; Schmitz, in Smith, Dictionary of Greek a. Roman Geography, II, 1873, p. 422 seg.; Sölch, in Byz. Neugr. Jahrb., I (1920), pp. 263-337; id., in Klio, XIX (1925), pp. 140-188; V. Tscherikower, Die hellenistischen Städtegründugen, in Philologus, Suppl. XIX, i, Lipsia 1927, p. 46 e passim; O. Wulff, Die Koimesiskirche in Nicaä u. ihre Mosaiken, Strasburgo 1903; N. Brounoff e M. Alpatoff, in Echos d'Orient, XXIV (1925), pp. 471-481; XXV (1926), pp. 42-45; Th. Schmit, Die Koimesiskirche von Nikaia. Das Bauwerk und die Mosaiken, Berlino 1927. L'istituto archeologico tedesco d'Istanbul si è prefisso il compito di fare uno studio completo degli antichi monumenti di Nicea (v. Jahrb. d. d. arch. Inst., 1930, pp. 462-64).
I concilî di Nicea.
Sebbene siano due i concilî ecumenici tenuti a Nicea, più che al II (ecumenico VII) si annette peculiare importanza al I, per la gravità dei temi in esso trattati (Trinità, lncarnazione) contro l'eresia ariana.
Il I concilio di Nicea. - Dibattuto è il quesito delle fonti storiche, se cioè se ne siano mai redatti Atti ufficiali. Si concede comunemente che il simbolo tuttora usato, insieme con le aggiunte del Costantinopolitano I, nella Messa (v. credo), e i canoni disciplinari siano autentici: indizî poi d'una stesura di cotali Atti non mancano, giacché S. Girolamo (Dial. c. Lucifer., 20) appellava nel 383 ad actus et nomina episcoporum synodi nicenae, e Sozomeno (Hist. eccl. II, 21) un secolo dopo raccoglieva la diceria secondo cui due vescovi ariani convenuti a Nicea, Eusebio di Nicomedia e Teognide di Nicea, corruppero con danaro l'archivista, perché cancellasse la loro firma apposta, insieme con quella degli altri vescovi, agli Atti. Tenuto conto che non era possibile o almeno non facile avere copia degli Atti, si spiega come Atanasio (Epist. de decr. Nic. Syn., 3), uno degli intervenuti al concilio in qualità di diacono del vescovo di Alessandria, scriva a memoria sull'operato di Eusebio di Cesarea, il quale non restò contento delle decisioni nicene, contrastanti alla sua tendenza ariana. Ma se non possediamo gli Atti (la redazione in copto giuntaci è senza dubbio un rimaneggiamento ampliato e alterato), abbiamo informazioni sicure sullo svolgimento del concilio e le sue decisioni essenziali riguardanti i rapporti tra il Padre e il Verbo, esattamente espressi dal vocabolo ὁμοούσιος.
Testimoni storici sono tre vescovi presenti: Eusebio di Cesarea, Eustazio di Antiochia, Atanasio di Alessandria: il primo però, a cagione delle sue simpatie ariane e del suo servilismo verso Costantino, è da vagliare accuratamente e forse da usare, come più sincero, soltanto nella lettera scritta alla sua chiesa, conservataci da Atanasio (De decr. Nic. Syn., 3), anziché nella Vita Constantini, ove il "padre della storia ecclesiastica" tende a sminuire l'importanza del tema trattato e a sopravvalutare la parte avutavi dall'imperatore. Un frammento di Eustazio di Antiochia, rimontante al 329, ci è stato conservato da Teodoreto (Hist. eccl., I, 7). A fianco di questi testi oculari, possediamo i racconti di storici posteriori, Rufino, Filostorgio, Teodoreto, Sozomeno, Gelasio di Cizico (sec. V) Teodosio e il Lettore (sec. VI).
Più dibattuta è tuttora la questione sulla parte che alla convocazione e alla ratifica degli Atti conciliari (l'una e l'altra necessarie a distinguere l'ecumenico da un concilio regionale) ebbe il papa di allora, Silvestro I: oggi non possediamo niente di diretto e di coevo a proposito, come sarebbero lettere di convocazione, domanda di Costantino di radunare il sinodo, permesso dato dal papa. Sicuro è però che, 11 anni prima, Costantino aveva tenuto un sinodo ad Arles contro i donatisti, e ne aveva richiesto autorizzazione al papa Silvestro; anche a Nicea troviamo, legati di Silvestro, i due sacerdoti romani Vito e Vincenzo: essi firmano i primi, dopo Osio vescovo di Cordova, nell'attestazione di Gelasio di Cizico (Hist. conc. Nic., II, 28, 1, in Patrol. Lat., LXXXV, col. 1309); il Liber Pontificalis, redatto nel 530, insiste sul fatto che il concilio di Nicea fu convocato da Silvestro (ed. Duchesne, I, Parigi 1886, p. 171); del resto la precedenza dello stesso Osio e dei due sacerdoti romani non ha avuto spiegazione più convincente, tenuto conto della gelosa custodia degli orientali per i loro diritti di precedenza, che quella che li fa rappresentanti del papa; il posteriore concilio ecumenico VI (Costantinopolitano III) del 680, riconosce il concilio Niceno I essere stato radunato da Costantino e Silvestro.
Di minore importanza sono i quesiti della data esatta e del numero dei vescovi convenuti a Nicea: Socrate fissa la data di convocazione al 20 maggio dell'anno 636 di Alessandro. Teodosio il Lettore il 19° anno di Costantino: una conferma si può avere nella notizia dataci da Teodosio II per cui Costantino il 23 maggio era a Nicea (Cod. Theod., I, 2, 5; II, 18, 3). I canoni disciplinari del concilio, nella nota premessa al testo greco, assegnano la data del 13 delle calende di luglio, confermataci dal concilio di Calcedonia del 451.
La prima cifra dei convenuti a Nicea, dopo quella approssimativa di 270, data da Eustazio di Antiochia, ci viene fornita da Ilario, che nel 360 ne contava 318, cifra che sembra vano il mettere in dubbio per la coincidenza con Genesi, XIV, 14, secondo cui i servi di Abramo erano 318 nel combattimento; le liste giunteci, rivelatesi per altri capi incomplete, dànno da 218 a 220 nomi.
L'attività del Niceno I, oltre che dogmatica, fu pure disciplinare per due capi: mettere fine allo scisma di Melezio di Licopoli (v. meleziani) e regolare la prassi cronologica nella celebrazione della pasqua. Melezio, vescovo di Licopoli, aveva invaso il campo di vescovi imprigionati nella persecuzione di Diocleziano, consacrandovi sacerdoti, di cui aveva finito col fare un proprio clero. Melezio fu restituito alla sua sede di Licopoli, toltogli il diritto di presentazione e d'ordinazione; il clero da lui ordinato poteva tornare nelle proprie diocesi e convivere con i sacerdoti consacrati dai proprî ordinarî, prendendo parte alle celebrazioni liturgiche, purché precedentemente ricevesse un'imposizione di mani "più mistica" e si tenesse in posti inferiori.
Per la pasqua si trovava che il patriarcato antiocheno, comprendente le regioni di Siria, Cilicia e Mesopotamia col titolo di "Oriente", seguiva senz'altro il computo giudaico, non aspettando, come nella prassi romano-alessandrina, la domenica successiva al plenilunio di primavera: ne risultava così l'inconveniente che gli "Orientali" celebravano il loro tripudio pasquale durante l'astinenza quaresimale degli altri. Al decreto prescrivente la maniera occidentale non si sottomisero che i Siri.
Il Niceno I emise inoltre 20 canoni regolanti, tra altro, casi d'irregolarità (impedimento agli ordini sacri), di giurisdizione ecclesiastica, di precedenze liturgiche, ecc.
Il II concilio di Nicea. - Pose fine alla lotta contro le sacre immagini, mossa da eretici pauliciani e monofisiti, aiutati soprattutto dall'imperatore Costantino V Copronimo (v. iconoclastia). Il cronista coevo del Liber Pontificalis (ed. Duchesne, I, Parigi 1886, p. 511 seg.) informa che il papa Adriano spedì, con sue lettere, l'arciprete della basilica di S. Pietro e l'abate del monastero romano di S. Saba, ambedue di nome Pietro, all'imperatore minorenne Costantino Porfirogenito e alla reggente sua madre Irene, esortandoli a far cessare la lotta, che andava contro un principio e una prassi seguiti fino dai tempi apostolici, e testificata da scrittori ecclesiastici. Gl'imperatori adunarono a Nicea 350 vescovi, iniziando le sedute a Costantinopoli (17 agosto 786), le quali, interrotte dal chiasso ostile delle soldatesche, continuarono dal settembre dell'anno successivo a Nicea, per chiudersi a Costantinopoli (23 ottobre 787). La maggior parte del lavoro fu quello di mostrare appunto la legittimità del culto per le sacre immagini (detto προσκύνησις, e distinto dalla λατρεία dovuta solo a Dio). Oltre alla condanna del conciliabolo iconoclasta tenuto a Costantinopoli nel 754, si emanarono 20 canoni disciplinari.
Bibl.: Sulle fonti: A. Wikenhauser, Zur Frage der Existenz von Synodalprotokollen, in Konstantin der Grosse und seine Zeit, a cura di F. J. Dölger, Friburgo in B. 1913, pp. 122-142; P. Batiffol, Les sources de l'histoire du concile de Nicée, in Échos d'Or., XXIV (1925), pp. 385-402; E. Revillout, Le concile de Nicée d'aprés les textes coptes, in Journ. Asiat., s. 7ª, I (1873), pp. 210-88; V (1875), pp. 5-77, 209-66, 501-64; VI (1876), pp. 473-560; F. Haase, Die koptischen Quellen zum Konzil von Nicäa übersetzt und untersucht, in Stud. z. Gesch. u. Kult. d. Altert., X, iv, Paderborn 1920. Sul numero dei vescovi presenti: H. Gelzer, Patrum Nicaenorum nomina latine, graece, coptice, syriace, arabice, armeniace, Lipsia 1898; C. H. Turner, Nicaenorum Patrum subscriptiones, in Ecclesiae occid. monumenta iuris antiquissima, Oxford 1899, fasc. i; P. Batiffol, Les souscriptions de Nicée, in Rev. Bibl., 1899, pp. 123-27; A. L. Feder, Die Zahl der Bischöfe auf dem Konzil von Nicäa, in Zeitschr. f. kath. Theol., 1906, pp. 172-188.
Sulle parti avute da Costantino e da papa Silvestro: F. A. Zaccaria, Sul preteso vescovato esteriore di Costantino (Dissertazioni), III, 2ª ed., Roma 1841, pp. 168-174; V. Grumel, Le siège de Rome et le concile de Nicée, in Échos d'Or., XXIV (1925), pp. 411-423. Per le questioni teologiche: A. d'Alès, Le dogme de Nicée, Parigi 1926. Sulla questione della pasqua: F. Daunoy, La question pascale au concile de Nicée, in Échos d'Or., XXIV (1925), pp. 422-444; G. Bardy, Sur la réitération du concile de Nicée, 327, in Recher. sc. rel., XXIII (1933), pp. 431-450. La migliore edizione dei canoni di Nicea è data da C. H. Turner, Ecclesiae occident. monumenta iuris antiquissima, Oxford 1899. fasc. i.
L'impero di Nicea.
Caduta Costantinopoli in potere dei Latini della quarta crociata (1204), Teodoro Lascaris, che dopo la fuga di Alessio V Murzuflo, era stato, in extremis, designato imperatore dal senato e dal clero della capitale, si stabilì a Nicea nella Bitinia a sole 40 miglia da Bisanzio, dove lo seguirono parecchi vescovi (non però il patriarca Giovanni Camatero che preferì recarsi tra i Bulgari) e gli alti dignitari dell'impero. Appena giunto dovette subito difendersi Contro l'esercito crociato dell'imperatore Baldovino I che non voleva si formasse così vicino a Costantinopoli un focolare di resistenza nazionale. Ma, fortunatamente per lui, la battaglia di Adrianopoli combattuta tra Baldovino e i greco-bulgari guidati dallo zar Giovanni Johannitza, detto Kalojan, stornò in un primo tempo dalla Bitinia le forze latine: e il risorto antagonismo tra Greci e Bulgari, conclusosi con l'assassinio dello zar bulgaro a Tessalonica (1207), concentrò le speranze dei Greci verso Nicea dove Teodoro I dal nuovo patriarca Michele Autoriano veniva coronato imperatore nel 1208, continuando così in esilio la successione dei basileis bizantini.
Il persistente pericolo bulgaro trattenne Enrico, successore di Baldovino, dal riprendere l'opera di soffocamento del nuovo focolare bizantino di Nicea che, d'altra parte, si doveva difendere contro il sultano selgiuchida di Conia, presso il quale si era rifugiato lo spodestato Alessio III Angelo nell'intento di farsi ristabilire sul soglio bizantino. Teodoro vinse i selgiuchidi ad Antiochia sul Meandro, catturò Alessio che finì i suoi giorni monaco a Nicea e avrebbe voluto subito gettarsi sull'impero latino, ma l'abilità di Enrico e la propria debolezza lo indussero alla pace. Teodoro morì nel 1222 e gli successe il genero Giovanni III Duca Vatatze, accorto politico e abile generale, il quale si trovò subito a dover contrastare l'ambizione del despota di Epiro, Teodoro Angelo, che sperava, ingrandendosi a spese di Latini e di Bulgari, di giungere a impadronirsi di Costantinopoli.
Teodoro cominciò col catturare in un'imboscata il nuovo imperatore latino Pietro di Courtenay il quale, ricevuta in Roma la corona imperiale, si proponeva di raggiungere la capitale attraverso l'Epiro; marciò quindi contro il regno di Tessalonica occupandone la capitale (1222) e facendosi incoronare basileus di Tessalonica da Demetrio di Ocrida arcivescovo di Bulgaria. Questa incoronazione suscitò grande allarme a Nicea.
Ma l'ambizione di Teodoro fu umiliata da Giovanni II Asen zar dei Bulgari, che a Klokotnica lo vinse e lo fece prigioniero (1230). A volgere le loro mire su Bisanzio rimasero soltanto lo zar dei Bulgari e Vatatze, che da principio si allearono; ma, essendo i loro interessi contrastanti, si separarono ben presto, Asen alleandosi all'impero latino e iniziando trattative con Roma, Vatatze alleandosi con Federico II cui lo riunivano, oltre la comune ostilità verso il papato, anche stretti legami di parentela, giacché Vatatze aveva sposato Costanza figlia di Federico II. L'alleanza non durò tuttavia oltre la vita dei due sovrani.
Scongiurato il pericolo mongolo, che si limitò a infestare l'impero di Trebisonda e il sultanato di Conia, Vatatze si rivolse ai Balcani e dopo la morte di Asen II s'impadronì di Tessalonica (1246) e sottomise il despotato di Epiro stringendo così dai due lati la tenaglia bizantina attorno a Costantinopoli. Morì nel 1254 e gli successe il figlio Teodoro II, di salute malferma, che, dopo un regno di soli 4 anni, fu seguito dal figlio minorenne Giovanni IV sotto la tutela di Giorgio Muzalon. Questa tutela fu elusa da Michele Paleologo che dopo aver battuto definitivamente a Pelagonia (1259) Michele despota di Epiro, conchiuse con i Genovesi il trattato di Ninfeo e, portando a compimento la situazione già maturata da Vatatze, nell'agosto 1261 s'impadronì di Costantinopoli, ponendo così fine all'impero di Nicea.
Parallelamente a queste gloriose vicende politiche l'impero di Nicea svolse una notevole azione religiosa e culturale. Esso infatti cercò di attuare l'unione tra la chiesa greca e la latina, nella fiducia di poter così riconquistare la capitale, trattando con i papi Gregorio IX (missione dei cinque francescani, 1232), Innocenzo IV (lettera del patriarca di Nicea al papa, 1253) e Alessandro IV (Teodoro II lo pregò d'inviare un legato, che fu Costantino vescovo di Orvieto, per riprendere i negoziati, 1256).
Inoltre durante sessant'anni Nicea fu il focolare dei buoni studî e della tradizione letteraria; lo storico Niceta Acominate, Giovanni e Nicola Mesarita, Giorgio Acropolite e soprattutto Niceforo Blemmida (v.) sono glorie culturali di Nicea, le quali mantenendo viva la tradizione letteraria rinata all'epoca dei Comneni, resero possibile la seconda rinascita che si verificò all'epoca dei Paleologi.
Bibl.: A. Meliarákes, Storia dell'impero di Nicea, Atene 1898 (in greco); A. Gardner, The Lascarids of Nicea: the story of an empire in exile, Londra 1912; M. A. Andreeva, Saggio sulla civiltà d. corte bizant. nel sec. XIII, Praga 1927 (in russo); W. Norden, Das Papsttum u. Byzanz, Berlino 1903.