VALORI, Niccolò
– Nacque a Firenze il 20 gennaio 1464 da Bartolomeo di Filippo e da Caterina de’ Pazzi, morta nel 1474.
Il fratello maggiore di Niccolò, Filippo, nato nel 1456, sposò una figlia di Averardo Salviati, su esplicita raccomandazione di Lorenzo de’ Medici. Lo stesso Filippo assunse il ruolo di leader familiare insieme allo zio Francesco alla morte del padre, nel gennaio del 1477.
Il clan Valori non fu toccato dalla congiura dei Pazzi, nonostante i legami di parentela con i principali responsabili. Niccolò aveva quattordici anni e di lui non si hanno notizie precise. Parlando dell’educazione di Lorenzo il Magnifico, Niccolò menziona più volte Gentile de’ Becchi, e aggiunge: «cum quo et in Gallia, quum ibi Legatum ageret, et in patria familiarissime vixi» (Laurentii Medicei Vita, a cura di L. Mehus, 1749, p. 5). Becchi andò in Francia due volte, nel 1483 per l’incoronazione di Carlo VIII (ma pare inverosimile che il diciannovenne l’avesse accompagnato allora) e poi nel 1493-94. Tuttavia la prima lettera di Niccolò è indirizzata a Pietro Dovizi da Bibbiena, da Lari (Pisa), il 26 marzo 1494 (Archivio di Stato di Firenze, ASFi, Mediceo avanti il Principato, CXXIV, 269). La mano umanistica indica la sua buona educazione, e il tono deferente l’attitudine verso il segretario mediceo.
Gli è attribuito un capitolo nel manoscritto XLI.3 della Biblioteca Medicea Laurenziana che contiene anche sonetti di Niccolò Machiavelli: è dedicato «Ad ducem Calabrie», ovvero, come si comprende dal verso 7, al futuro Alfonso II, che salirà al trono l’8 maggio 1494. Si sa che Valori visitò Napoli prima di quella data e che vi acquistò delle pregiate teste antiche di cui fece omaggio al Magnifico.
Il fratello Filippo, dopo esser stato ambasciatore a Roma presso Alessandro VI, fu brevemente inviato a Napoli alla fine del 1494, e morì il 24 novembre. Nel frattempo i Medici erano stati scacciati da Firenze, e Girolamo Savonarola «aprovatissimo religioso» (Memorie di casa Valori, a cura di L. Polizzotto - C. Kovesi, 2007, p. 88) divenne la nuova guida della città. Sotto l’influenza dello zio Francesco, il piagnone poi assassinato nel 1498, il nipote si assicurò un ruolo di preminenza sulla scena politica e culturale cittadina.
Niccolò finanziò l’edizione dei Commentaria in Platonem e un volume delle lettere di Ficino nel 1496. Il filosofo fu padrino di Filippo, secondogenito di Valori, che aveva sposato Ginevra di Giovanni Lanfredini, dalla quale ebbe undici figli.
Nella vita pubblica, coprì molte magistrature: nel 1497-98 e nel 1500 fu uno dei Dodici buonuomini, nel 1505-06 e 1507-08 dei Dieci, oltre a servire negli Otto di pratica e nei Nove delle milizie, e nel settembre-ottobre del 1502, luglio-agosto del 1506 e marzo-aprile del 1512 fu membro della Signoria.
Si distinse particolarmente per il suo talento diplomatico. Il primo incarico fu di commissario a Pistoia (settembre 1501), per ristabilire i Panciatichi nella ‘città dei crucci’ e farli riconciliare con i Cancellieri, le due fazioni tradizionalmente ostili.
Informando spesso il cognato Lanfredino Lanfredini, Niccolò descrisse le sue azioni in termini savonaroliani («siamo inpii et Idio ce ne pagherà») ma la sua proposta era di espellere le due case e ridurre la città «a uno vivere popolare» (Firenze, Biblioteca nazionale, II.V.21, c. 77r). L’animo di Valori non era solo religioso, ma piuttosto pragmatico, come dimostra la sua lettera del 20 ottobre 1501, nella quale raccomandava Machiavelli al futuro gonfaloniere: «et il modo potresti intendere ad bocha da Nicholò Machiavelli persona riverita et prudente et discreto, et potrebbe essere con utile et con honore della città oltre di queste cose di Pistoia» (c. 42r).
Il 30 ottobre Valori indirizzò la prima di molte lettere a Machiavelli, che era stato con lui a Pistoia fino a qualche giorno prima e che avrebbe espresso un parere ufficiale per conto delle autorità fiorentine, il De rebus Pistoriensibus. Circa un anno dopo, l’11 ottobre 1502, mentre era uno dei Priori in carica, Valori scrisse di nuovo a Machiavelli, inviato presso il Valentino. Il tono della lettera è molto amichevole, e Valori riferisce di avergli fatto una «loda particulare e peculiare» presso il gonfaloniere Piero Soderini per i suoi dispacci. Nella successiva del 23 ottobre afferma che «circa e’ casi nostri particulari, Deus testis che io v’amo et stimo più che fratello». Il «contratto» fraterno viene suggellato scherzosamente il 31 (N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, 1961, nn. 22, 30, 34; Id., Lettere, a cura di F. Bausi et al., in corso di stampa, nn. 27, 37, 44).
A riprova dei buoni servizi di Valori, Biagio Buonaccorsi a inizio novembre testimoniò ripetutamente la sua «sollecitudine», e il 15 novembre chiese a Machiavelli di scrivergli per ringraziarlo della sua opera, «perché è uomo che per natura è tirato a servire li amici» (N. Machiavelli, Lettere, cit., 1961, n. 42; Id., Lettere, cit., in corso di stampa, n. 55). Due giorni dopo, lo stesso Buonaccorsi informava che Valori sarebbe presto andato in Francia, anche se in effetti partì un anno più tardi.
L’istruzione del 22 novembre 1503 (Négociations diplomatiques..., cura di A. Desjardins, 1861, pp. 78-81) per la missione presso Luigi XII è piuttosto generica, a differenza di quella per Machiavelli del 19 gennaio 1504, molto più incisiva e stilata dallo stesso inviato che enfatizzava l’urgenza della situazione, «per non perire» e conservare «questa piccola libertà», sollecitando ad «aggiugnervi la coniettura, e giudizio tuo» (Legazioni e commissarie, a cura di S. Bertelli, 1964, p. 751).
Machiavelli raggiunse rapidamente Valori a Lione il 27 gennaio, ma poi lasciò che il suo collega riferisse la maggior parte dei vivaci incontri con il re di Francia il quale, seppur sconfitto nella disastrosa battaglia del Garigliano, non demordeva dalle sue ambizioni territoriali in Italia. Poco prima di ripartire per Firenze, il 25 febbraio 1504 Machiavelli scrisse ai Dieci che si rimetteva a «l’oratore, perché è prudentissimo, sollecito, e affezionato alla patria sua» (p. 834).
Grazie a due copialettere si possono seguire gli scambi di Valori con i Dieci di Balìa, sebbene occasionalmente l’ambasciatore utilizzasse un canale confidenziale diretto con Soderini. Per esempio l’11 maggio 1504 (ASFi, Signori, Dieci di Balìa, Otto di pratica, Legazioni e commissarie, missive e responsive, 44, c. 73v) riferì che Luigi XII si lamentava che Giulio II «non opera niente, dolendosi della lasciata del Valentino» (i francesi lo volevano morto, non libero). Lo stesso giorno, scrisse privatamente al gonfaloniere a vita che se il papa «non maneggia bene le cose di costoro», urtando la suscettibilità gallica, tutta l’Italia era a rischio. La lettera è piena di taglienti giudizi, per esempio nei confronti del tesoriere reale Antoine Turpin: «egli è uno Ciurmadore et in ogni modo egli è malo instrumento, et parla sempre di dua lingue». Concludeva che avrebbe approvato tutte le deliberazioni di Soderini «iuxta Platonicam sententiam, quod tale debent esse cives in Republica quali princeps» (Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Ginori Conti, 29/110), dimostrando di aver appreso la lezione ficiniana.
Le comunicazioni dalla Francia venivano tenute in gran conto, se Machiavelli scrivendo a Giovanni Ridolfi da Roma il 1° giugno 1504 analizzava freddamente i rischi di un attacco da parte di Bartolomeo d’Alviano: «non sono genti da far male, massime se e’ verrà in Lombardia gente franzese per tutto questo mese, come scrive Niccolò Valori» (Lettere, cit., 1961, n. 59; Lettere, cit., in corso di stampa, n. 92). Lo stesso giorno, da Blois, Valori riferiva ai Dieci di un suo franco battibecco con il re: «Ma come io ridendo li ho risposto le parole de’ principi grandi senza arme non si usono senza pericolo, perché in fatto a non ci ingannare si vede ci vogliono satisfare di parole; se io scrivo troppo largo prego le S.V. mi perdonino» (ASFi, Signori, Dieci di Balìa, Otto di pratica, Legazioni e commissarie, missive e responsive, 44, c. 89r).
Non è un caso, dunque, che Francesco Guicciardini lo ricordi fra gli «uomini di autorità» nel 1504 (Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, 1998, p. 413). Con il passare dei mesi, l’ambasciatore cominciò a temere che essendo i francesi «tanto insolenti» (6 settembre 1504, ASFi, Signori, Dieci di Balìa, Otto di pratica, Legazioni e commissarie, missive e responsive, 45, c. 67v), non fosse opportuno erogare i pagamenti promessi. Siccome le autorità fiorentine temporeggiavano, Valori avvertì energicamente da Parigi il 22 gennaio 1505 che, per preservare la «dignità della città», avrebbero fatto bene a mandare qualcun altro, di rango diplomaticamente inferiore (c. 134v).
Questo sincero sfogo ci illumina sul significato della lettera scritta a Machiavelli il medesimo giorno la quale, dopo le proteste di affinità (era nel frattempo diventato padrino del secondogenito Bernardo) e amicizia fraterna, soggiunse che «forse non sarebbe male che e’ monstrassino costì avere più gusto che noi non abbiamo monstro avere insino a qui». Nel poscritto si legge: «Io ho mutato proposito, e di questo mio parere ne ho scritto un motto a’ Signori Dieci. Piacciavi avisarmi, se io ne sono suto imputato, ché so come noi siamo fatti» (Lettere, cit., 1961, n. 64; Lettere, cit., in corso di stampa, n. 97).
Dunque, la lettera ai Dieci è scritta dopo e l’accenno polemico è molto significativo. Pochi mesi dopo Valori rientrò a Firenze (la sua ultima lettera da Blois, 26 maggio 1505), e già nel settembre del 1505, dopo la rinuncia di due membri dei Dieci, furono inviati all’assedio pisano Valori e Bernardo da Diacceto, secondo Bartolomeo Cerretani «fuori di proposito perché non erano pratichi a tal cose et di non molta reputazione» (Ricordi, a cura di G. Berti, 1993, p. 114; cfr. Id., Storia fiorentina, a cura di G. Berti, 1994, p. 342: «huomini fuori di proposito in tale maneggio, con comissione di levare destramente il camppo»).
Del resto, negli stessi Ricordi (cit., p. 138) nell’aprile del 1507 Valori è indicato fra i venticinque cittadini più influenti. Il 17 aprile gli fu in effetti indirizzata la commissione per recarsi a Napoli a omaggiare Ferdinando il Cattolico (ASFi, Dieci di Balìa, Responsive, 89, cc. 35-36), dopo una breve sosta a Roma presso Giulio II. L’ambasciatore giunse a Napoli a inizio maggio (cc. 103-104) e pochi giorni dopo si era già reso conto che il Cattolico faceva il doppio gioco. Il 18 maggio, in un brano cifrato scrisse infatti che il re «ha facto ogni cosa per impedire la recuperatione di Pisa» (cc. 141-142), nonostante gli avesse promesso che «ci restituerebbe Pisa con tali e tali condizioni: che avvisassi se qui ne fussimo contenti, e avanti il ritorno suo in Castiglia esseguirebbe lo effetto» (P. Parenti, Storia fiorentina, a cura di A. Matucci, II, 2005, p. 250). La promessa fu poi disattesa.
Nei mesi successivi Valori fu commissario fiorentino in Romagna, e ricevette richieste di raccomandazioni da un tal Mentinus per Piero Soderini che lo definì «homo virtuoso amatore de’ suditi dela Ex.tia v. et in lui fiorire ogne gentil costume domandagli favore, qui tanquam bonus pastor scrisse per me» (1° dicembre 1507, Firenze, Biblioteca nazionale, Fondo Ginori Conti, 29/108, 38). La vicinanza al gonfaloniere è confermata da Guicciardini che lo cita fra coloro che erano «stati inimici de’ Medici et mai riconciliatisi per tempo alcuno», e contrari al matrimonio di Filippo Strozzi con Clarice de’ Medici (Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, 1998, pp. 445 e 477, mentre a p. 479 è ricordato fra coloro che in quanto «aderenti di Francesco Valori si chiamavano la setta valoriana»).
I contrasti interni del regime soderiniano portarono anche ai primi insuccessi: il 10 maggio 1509, nella disputa per scegliere l’oratore per Roma, «l’una parte voleva Nicolò Valori un’altra Francesco Gualterotti, alla fine fu fatto Piero di Iacopo Guicciardini, huomo ghrave et di mezo» (B. Cerretani, Ricordi, cit., p. 187). La situazione della Repubblica precipitò con l’attacco della fine di agosto del 1512, quando Valori fu tra i non rinunciatari alla Signoria: «rimasono Nicolò Valori, messer Ormanozzo Deti e Nicholò del Nero» (p. 277). Accettare quell’incarico in quel momento rivelava un’indubbia lealtà repubblicana. Valori prese parte con Baldassarre Carducci e gli altri signori alla disperata missione presso Ramón Folch de Cardona, il quale ammonì i fiorentini: «prima è necessario che noi parliamo di questi Signori Medici, perché questa cosa è tanto variata, che non si può più persuadergli a quello si sono persuasi insino a qui». Nonostante i loro sforzi estremi, gli inviati ammisero la sconfitta con realismo: «ma sanno le S.V. con vincitori che termini bisogna usare» (ASFi, Dieci di Balìa, Responsive, 112, c. 152; ed. in Il Sacco di Prato..., a cura di C. Guasti, 1880).
Dopo il sacco di Prato era troppo tardi per manifestare intransigenza contro le pretese di dominio dei Medici, visto che il 16 settembre 1512 con un colpo di mano essi ripresero il pieno controllo della città. Nei mesi successivi il malcontento dei repubblicani si coagulò nella sfortunata congiura di Pietro Paolo Boscoli. Valori era il primo della lista dei sospetti complici elencati da Giuliano de’ Medici a Pietro Dovizi il 19 febbraio 1513 (M. Sanuto, I Diarii, XV, 1887). Sia Cerretani sia Parenti ci offrono un dettagliato resoconto della cattura e condanna dei congiurati, ma il resoconto appassionato e coraggioso dello stesso Valori nelle sue Memorie è veramente impressionante.
Dopo aver cercato di dissuadere Boscoli, Valori fu arrestato e, nonostante protestasse la sua innocenza, gli furono somministrati diversi tratti di corda con «molti altri nobili et buoni cittadini [...] Ma gli stati violenti non iudicano se non a passione» – una frase degna di Machiavelli (anche lui torturato allo stesso modo). Non che Valori nascondesse la sua opposizione ideologica ai Medici, ma da uomo pratico qual era, riteneva giustamente che «la morte di Iuliano non faceva effecto alcuno», finché rimanevano in vita Giovanni, Lorenzo e Giulio. Del resto, si può credere che avendo avuti «tanti officii et honori ch’io n’ero satio et volto tutto alla quiete» (Memorie di casa Valori, cit., pp. 112 s.).
L’ergastolo e l’esilio di Valori furono commutati con l’amnistia seguita alla creazione di Leone X, sancendo la forte preminenza dei Medici. Tuttavia un anno dopo, nel marzo del 1514, all’elezione per l’Arte dei mercanti, tradizionalmente filomedicea, il giovane Lorenzo ottenne minor favore dell’assente Giuliano: «Parse maraviglia [...] inoltre che per concorrente avessi Niccolò Valori, essoso a loro e al presente stato per le cose di fresco seguite: il perché, sdegnato, il Magnifico subito fece ristrignere lo stato» (Parenti, Storia fiorentina, a cura di A. Matucci, III, 2018, p. 467; cfr. B. Cerretani, Ricordi, cit., p. 326).
Questo residuo di popolarità rendeva la vita molto difficile a Valori. È probabile che l’idea di dedicare al papa la sua Vita di Lorenzo risalga a questo periodo. Il manoscritto dedicato a Lucrezia Salviati (Firenze, Biblioteca Riccardiana, Ricc. 2599) ha indotto Riccardo Fubini (2005) a dubitare che la versione volgare attribuita al figlio Filippo non sia una traduzione di quella latina di Valori. Sembra invece plausibile (anche sulla base degli argomenti filologici di Mario Martelli, 1964) che i due testi siano interdipendenti, e siano entrambi di Niccolò.
La Vita è la prima biografia ufficiale di Lorenzo e resta un documento fondamentale per la creazione della leggenda del Magnifico. L’edizione a cura di Enrico Niccolini è la più accurata, ma non risolve la questione del rapporto fra i due testi. Va aggiunto che Machiavelli lesse sicuramente la Vita, e ne fece uso nella conclusione delle sue Istorie fiorentine.
Non è chiaro se la dedica a Leone X abbia prodotto gli effetti desiderati. I cardinali filomedicei Bibbiena e Lorenzo Pucci scrissero al gonfaloniere Lanfredini nel marzo del 1517 (Firenze, Biblioteca nazionale, II.V.22, cc. 181 e 182) raccomandando caldamente Francesco, primogenito di Niccolò. Tuttavia i rapporti con Lanfredino non erano facili: approfittando del suo ruolo di potere «in quello stato capo mi fece fare compromesso in se, cosa violentissima» (Memorie di casa Valori, cit., pp. 108 s., 115). Per proteggere Valori dalle prepotenze civili e materiali intervenne anche il cardinale Luigi de’ Rossi (Firenze, Biblioteca nazionale, II.V.22, cc. 223 e 226).
Come modesta consolazione per i suoi guai, Valori ricevette incarichi onorari come podestà di Arezzo nel 1518 e console della Zecca nel 1523. Un’accorata lettera di Jacopo Salviati scritta da Roma il 12 luglio 1525 illustra le molte «difficultà» da lui patite, sebbene papa Clemente VII mostrasse una certa indulgenza nei confronti del figlio Francesco. L’influentissimo Salviati ammise persino che «per altri tempi quando non siate stato compiaciuto è nato dalla poca diligentia et affectione mia», ma assicurò il sodale savonaroliano che l’avrebbe aiutato (ARFi, Carte Strozziane, I, 336, c. 174).
Trasferitosi a Roma su invito o pressione del pontefice, Valori fu catturato durante il sacco e morì il 20 maggio 1527 (Memorie di casa Valori, cit., p. 130), forse senza aver notizia della simultanea cacciata dei Medici da Firenze. La tradizione antimedicea fu continuata dal figlio Filippo, che fu catturato a Montemurlo e decapitato il 20 agosto 1537.
Niccolò fu uomo dotato di una notevole levatura intellettuale e dirittura morale, virtù che poco gli servirono sotto il regime mediceo. La sua Vita di Lorenzo resta un’opera di indubbio spessore umanistico, non priva di sincerità umana.
Opere. Tra le edizioni della biografia di Lorenzo, ricordiamo Laurentii Medicei Vita a Nicolao Valorio scripta, a cura di L. Mehus, Florentiae 1749; Vita di Lorenzo de’ Medici, a cura di E. Niccolini, Vicenza 1991; Vita di Lorenzo il Magnifico, introduzione di A. Dillon Bussi, note di A.R. Fantoni, Palermo 1992.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Firenze (ASFi), Panciatichi (Patrimonio Valori), 2-4: Niccolò di Bartolomeo di Filippo, 1498-1526 (i Libri di conti); si vedano i due copialettere dell’ambasciata in Francia (Signori, Dieci di Balìa, Otto di pratica, Legazioni e commissarie, missive e responsive, 44-45); le Legazioni e commissarie di Niccolò Machiavelli, a cura di S. Bertelli, II, Milano 1964, includono molte lettere di e a Valori escluse dalla più recente edizione nazionale; gli originali delle altre missioni sono sparsi nelle Responsive ai Dieci. Firenze, Biblioteca nazionale, Panciat. 134 (Ricordi), 11r-20r, ed. in Memorie di casa Valori, a cura di L. Polizzotto - C. Kovesi, Firenze 2007; le lettere di Valori a Lanfredino Lanfredini nel ms. II.V.21, quelle a Piero Soderini nel Fondo Ginori Conti, 29/110. Négociations diplomatiques de la France avec la Toscane, a cura di A. Desjardins, II, Paris 1861, pp. 6, 78-81 (istruzione a Luigi XII); Il Sacco di Prato e il ritorno de’ Medici in Firenze, a cura di C. Guasti, II, Bologna 1880, n. 95, pp. 132-134; M. Sanuto, I Diarii, XV, Venezia 1887, p. 574; N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Gaeta, Milano 1961, nn. 22, 30, 34, 42, 59, 64; B. Cerretani, Ricordi, a cura di G. Berti, Firenze 1993, ad ind.; Id., Storia fiorentina, a cura di G. Berti, Firenze 1994, ad ind.; F. Guicciardini, Storie fiorentine, a cura di A. Montevecchi, Milano 1998, ad ind.; P. Parenti, Storia fiorentina, a cura di A. Matucci, II, 1496-1502, Firenze 2005, III, 1502-1518, Pisa 2018, ad ind.; N. Machiavelli, Lettere, a cura di F. Bausi et al., in corso di stampa, nn. 27, 37, 44, 55, 92, 97.
R. Ridolfi, Vita di Niccolò Machiavelli, Milano 1954, ad ind.; M. Martelli, Le due redazioni della “Laurentii Medicei Vita” di N. V., in La Bibliofilia, LXVI (1964), pp. 235-253; D. Fachard, Biagio Buonaccorsi, Bologna 1976, pp. 140, 156; C. Kovesi, N. V. and the Medici restoration of 1512, in Rinascimento, XXVII (1987), pp. 301-325; R. Fubini, Lorenzo de’ Medici tra eulogia e storia: la “Laurentii Medicei Vita” di N. V., in Il principe e la storia. Atti del Convegno..., Scandiano... 2003, a cura di T. Matarrese - C. Montagnani, Novara 2005, pp. 439-463; M. Jurdjevic, Guardians of republicanism. The Valori family in the Florentine Renaissance, Oxford 2007; A. Guidi, Un segretario militante, Bologna 2009, ad indicem.