TEDESCHI, Niccolo
TEDESCHI, Niccolò. – Nacque a Catania da Antonio, discendente da nobile famiglia di origine tedesca; la madre, Agata o forse Mannella, era anch’essa di nobili natali appartenendo alla famiglia de Torrelles o Intorrelles (Carrera, 1642, p. 76; De Grossis, 1651, p. 115; Fodale, 2010, p. 387). Il 1386, anno tralatiziamente indicato per la nascita, sembra essere stato il frutto di una congettura di antichi scrittori (Pirri, De Grossis). Come egli stesso racconta, in gioventù assunse l’abito benedettino (Commentaria X.2, proemio, Venetiis 1582).
Con un sussidio concesso dalla città natia si recò a Bologna per studiare diritto canonico. Forse ascoltò le lezioni di Antonio da Budrio – autorità citatissima nei Commentaria –; certamente ebbe come maestro Pietro d’Ancarano, sotto il quale disputò una quaestio (Commentaria X.2.1.4, n. 39). A Bologna fece parte di una commissione incaricata di verificare la consistenza dei privilegi dello Studio (Commentaria X.3. 50.10, n. 4). Per ragioni non note si trasferì a Padova, ove studiò diritto canonico tra il settembre del 1409 e il giugno del 1411, allievo di Francesco Zabarella che, già creato cardinale, lo promosse al dottorato (Commentaria X.2.1, ad rubr., n. 1). Gli Acta graduum dello studio patavino, tuttavia, non conservano memoria della sua laurea, che ebbe verosimilmente luogo nella seconda metà del 1411.
Lo Studio di Bologna lo chiamò subito a tenere la prestigiosa lectura ordinaria decretalium, incarico che svolse fino al luglio del 1412 (Rodolico, 1896, p. 159): nell’autunno dello stesso anno si trasferì a Parma, il cui Studio era stato riaperto il 24 novembre, dove insegnò per sei anni (Commentaria X.2.5.7, n.7). Canonico del capitolo cattedrale di Catania almeno dal 1415, nel 1419 il Senato catanese chiese a Martino V di attribuire a Tedeschi la cattedra episcopale vacante di Siracusa, ma la supplica non fu accolta.
Nel 1418, lasciata Parma, si trasferì a Siena, dove insegnò diritto canonico dal gennaio del 1419 al 1431. Ivi, con altri maestri dello Studio, partecipò al concilio svoltosi tra il 1423 e il 1424, convocato da Martino V in ossequio alle cadenze temporali stabilite nel concilio di Costanza. Il pontefice, che nel 1421 lo aveva nominato auditor della Camera apostolica, nel 1425 gli conferì l’abbazia di S. Maria di Maniace nella diocesi di Messina, questa volta accogliendo la supplica della città di Catania (Commentaria X.2.14.7 princ.; R. Sabbadini, Storia documentata..., 1898, doc. 30, pp. 57 s.): perciò Tedeschi è noto anche come Abbas Siculus, o Modernus. Negli anni trascorsi tra Parma e Siena attese a scrivere il commento sulle Decretales di Gregorio IX.
Nel 1431 si trasferì a Bologna, per insegnarvi con un salario elargito dal Comune. L’anno successivo, dopo che ebbe accettato una condotta biennale nello Studio fiorentino per la lettura ordinaria delle Decretali, fu chiamato a Padova, ma Firenze non gli accordò la licenza di trasferirvisi. Nell’autunno del 1432, tuttavia, Tedeschi non compare tra i professori attivi a Firenze: già il 10 aprile, infatti, Eugenio IV aveva intimato al governatore di Bologna di impedire a Tedeschi di allontanarsi dalla città (Valois, 1909, I, p. 219 nota 2), poiché pensava di includerlo nella delegazione destinata al Concilio di Basilea.
Le tracce di un suo insegnamento a Firenze sono sfuggenti, ma è verosimile che Tedeschi abbia potuto insegnarvi, negli anni anteriori alla nomina episcopale, durante gli intervalli tra gli impegni conciliari: dalle sue parole apprendiamo che in un soggiorno fiorentino ebbe modo di consultare il manoscritto delle Pandectae antiquae (Commentaria X.2.27.25, n. 9).
Il Concilio di Basilea, convocato da Martino V, entrò presto in conflitto con Eugenio IV, che lo sciolse il 12 novembre 1431. Di fronte alle resistenze conciliari, nel dicembre del 1432 Eugenio inviò a Basilea una delegazione, della quale Tedeschi faceva parte, con l’incarico di sollecitare i partecipanti ad accettare la richiesta di trasferire l’assemblea a Bologna in vista delle trattative di unione con i greci (Juan de Segovia, Historia gestorum generalis Synodi Basiliensis, a cura di E. Birk, in Monumenta Conciliorum generalium, II, Vindobonae 1873, pp. 335-340). Negli anni dell’insegnamento Tedeschi aveva professato una dottrina del primato papale che, pur innestandosi su basi consolidate nella tradizione dello ius decretalium, era percorsa da motivi di ispirazione conciliarista (Commentaria X.1.6.4, n. 3), che trovavano origine in alcuni testi della tradizione canonica, erano stati alimentati e amplificati durante i decenni dello scisma avignonese, e infine avevano trovato sbocco nella formulazione del decreto Haec Sancta promulgato nel Concilio di Costanza (1415).
A Basilea, in un discorso tenuto nel marzo del 1433, Tedeschi sottolineò le prerogative del papa sul concilio al fine di convincere i padri conciliari ad accogliere le richieste di Eugenio. Le resistenze, tuttavia, non furono vinte: nell’estate del 1433 la delegazione papale fece ritorno in Italia e Tedeschi proseguì per la Sicilia. Re Alfonso V lo nominò arcivescovo di Palermo nel febbraio del 1434 (da qui l’appellativo di Panormitanus) e la nomina fu confermata da Eugenio IV il 9 marzo 1435.
Come consiliarius di Alfonso Tedeschi operò quale giudice delegato nelle cause ecclesiastiche che erano di competenza regia in virtù del privilegio della regia monarchia di Sicilia (una sua sentenza del 1433 è edita da A. Romano, Tribunali, giudici e sentenze nel «Regnum Siciliae»..., in Judicial records, law reports, and the growth of case law, a cura di J.H. Baker, Berlin 1989, pp. 289 s.). La sua opera scientifica è percorsa da ricordi della terra e della città natia (Commentaria X.2.1.9, n. 8) e porta testimonianza della devozione rivolta alle sante siciliane Agata (protettrice di Catania di fronte alle intemperanze dell’Etna: Commentaria X.2.1.13, n. 13) e Lucia (Commentaria X.2, proemio). La città di Catania si avvalse dei buoni uffici di Tedeschi per ottenere il placet di Alfonso alla richiesta di istituzione di uno Studium generale (1434), poi per procurare la bolla papale istitutiva, che però giunse solo nel 1444, dopo la pacificazione tra Alfonso il Magnanimo ed Eugenio IV (R. Sabbadini, Storia documentata, cit.).
Il sovrano aragonese approfittò della debolezza di Eugenio per coinvolgere Tedeschi nei suoi programmi politici, diretti a conquistare il Regno di Napoli e ottenere il riconoscimento papale. Alfonso lo incluse nella delegazione inviata a Basilea nel 1436, della quale faceva parte anche Lodovico Pontano. Quando, il 18 settembre 1437, Eugenio IV trasferì l’assemblea a Ferrara, Tedeschi si schierò con l’opposizione conciliare, che il 24 gennaio 1438 avrebbe decretato la sospensione del pontefice. Morto l’imperatore Sigismondo, Tedeschi partecipò alla delegazione conciliare inviata a Francoforte per tentare di guadagnare il sostegno degli elettori (1438). Tornato a Basilea, Tedeschi adottò una politica moderata di fronte alle posizioni più accese. Si adoperò per evitare la deposizione di Eugenio IV, alla quale il concilio pervenne il 25 giugno 1439, dopo che Tedeschi era ripartito per la Sicilia. Il 5 novembre 1439 il concilio elesse un antipapa nella persona di Felice V (Amedeo d’Aosta). Alfonso decise di sostenerlo, e a questo fine rispedì a Basilea Tedeschi, che da Felice (1440) fu creato cardinale presbitero della basilica dei Ss. XII Apostoli (titolo che nel 1439 Eugenio IV aveva concesso a Bessarione).
Nel giugno del 1442 il concilio inviò Tedeschi al Reichstag di Francoforte, dove in rappresentanza degli ‘amedisti’ propugnò le ragioni del Concilio di Basilea affermando la superiorità del concilio sul papa; al suo discorso replicò Niccolò Cusano, l’‘Ercole degli eugeniani’. I condizionamenti politici della vicenda si rivelarono in pieno allorché Alfonso, ottenuta da Eugenio IV l’investitura del regno napoletano (1443), ritirò la propria delegazione da Basilea.
Tedeschi ritornò a Palermo, dove trascorse gli ultimi anni della sua vita. Aveva nominato vicario generale il nipote Giacomo, abate del monastero di S. Maria di Altofonte presso Palermo. Gli anni trascorsi in Sicilia al servizio del re e come arcivescovo di Palermo attendono di essere indagati nei documenti d’archivio (una traccia è registrata da H. Bresc, Arabi per lingua Ebrei per religione..., Messina 2001, pp. 292 e 364 nota 1444). È stato ipotizzato che possa avere avuto parte nell’ideazione dell’affresco del Trionfo della morte nell’ospedale Grande in palazzo Sclafani (P. Maffei, «Bartoli vera effigies»..., in Conversazioni bartoliane, a cura di F. Treggiari, Sassoferrato 2018, p. 90).
Gli imponenti Commentaria sulle Decretales di Gregorio IX, uno dei capolavori della letteratura dello ius commune europeo, alimentarono la sua fama e autorità di giurista. Essi ebbero origine nelle lecturae tenute in una più che ventennale carriera di insegnamento iniziata nel 1411-12 e interrottasi a causa degli impegni conciliari.
La ricostruzione della vicenda compositiva ed editoriale dei Commentaria (Pennington, in N. Tedeschi..., 2000) ha mostrato che Tedeschi non commentò i titoli da X.1.7 a X.1.28, e che già nella tradizione manoscritta la lacuna fu colmata attingendo ai Commentaria di Antonio da Budrio. Nelle edizioni del XVI secolo la parte dovuta ad Antonio è preceduta da una sezione (X.1.7-X.1.9.5) che lo stampatore Martin Huss affermò di avere ritrovato e attribuì a Tedeschi (L. Hain, Repertorium bibliographicum, Stuttgart 1826-1838, n. 12370, 1478?). I manoscritti e le edizioni dei Commentaria contengono numerose ampie additiones, composte dall’autore verosimilmente quando aveva smesso di insegnare, che permettono di seguire l’evoluzione del suo pensiero. I Commentaria erano una miniera di dottrine e di materiali che sollecitavano intelligenti lettori a estrarne gli insegnamenti essenziali. Un esempio è il repertorium tematico composto dal giurista netino Antonio Corsetto (morto nel 1503), esteso a tutte le opere di Tedeschi (editio princeps Venezia 1486).
All’attività didattica sono legate le repetitiones su alcuni capitoli del Liber Extra, che finirono per essere incluse nelle edizioni dei Commentaria o dei consilia: X.1.2.10 (Siena 1425); X.1.43.9 (Bologna 1432); X. 2.2.4 (Siena 1419); X.3.5.30 (Parma 1415, o Siena 1425); X.3.26.10 (1411).
Non particolarmente estesi né approfonditi (tanto che Corsetto parla di apostillae) sono i Commentaria in Clementinas epistolas et earum glossas, che nelle edizioni del XVI secolo sono stampati in appendice ai Commentaria sul Liber Extra.
Lesse anche il Liber Sextus (Glose singulares et notabiles Decretalium, Sexti et Clementinarum, recollectae di materiali risalenti all’insegnamento senese sono state segnalate da Mario Ascheri, in Niccolò Tedeschi..., 2000), ma non consta che abbia scritto un commento sulla compilazione di Bonifacio VIII (il volume erroneamente segnalato da Hain, Repertorium, cit., n. 12335, è piuttosto un commentarium in X.2).
Sono tramandate sette quaestiones, disputate tra il 1417-18 e il 1430, che nel XVI secolo furono stampate insieme ai consilia. La quaestio Episcopus et quidam rector curatus (Siena 1426) è un testo centrale per conoscere le dottrine sui rapporti tra papa e concilio formulate da Tedeschi prima di Basilea.
Un’ampia raccolta di consilia documenta un’intensa attività di consulenza svolta su richiesta sia di privati sia di istituzioni pubbliche, laiche ed ecclesiastiche. Nelle edizioni del XVI secolo è suddivisa in due libri comprendenti rispettivamente 107 e 118 consilia, non tutti di Tedeschi. Ludovico Bolognini fu artefice dell’editio princeps del primo volume (Ferrara 1475); il secondo apparve a Pescia nel 1488.
A Basilea, nel dicembre del 1436, Tedeschi dette avvio alla sua ultima opera schiettamente dottrinale, un commento al Decretum di Graziano che si arresta alla prima distinctio (edizione parziale: Condorelli, 2005). Lo scritto muove dall’intento di utilizzare il pensiero di Tommaso d’Aquino nella ricostruzione della dottrina del diritto e delle sue fonti.
Il Thesaurus singularium in iure canonico decisivorum compreso nell’edizione veneziana degli Opera omnia (IX, 1617) fu, a quanto pare, composto nel 1437 durante gli otia di Basilea. Sono invece da sottrarre alla paternità di Tedeschi i Flores utriusque iuris, opera di Jean de Hocsem, e il Processus iudicii di Johannes Urbach.
I discorsi pronunciati nel Concilio di Basilea e nelle diete imperiali riflettono i progressivi riposizionamenti di Tedeschi negli schieramenti in conflitto.
Pronunciò la prima orazione nel marzo del 1433 (Ecce nunc tempus acceptabile: J.D. Mansi, Sacrorum Conciliorum nova..., XXX, 1792, coll. 498-507). Seguono: Miratur hec sancta synodus (1437: J.D. Mansi, cit., XXXI, 1798, coll. 237-242); Maximum onus (1437: J.D. Mansi, cit., XXX, coll. 1123-1184); Mecum tacitus (Francoforte, 1438: Deutsche Reichstagsakten unter König Albrecht II, I, 1438, a cura di G. Beckmann, Stuttgart-Gotha 1925, pp. 195-215); Quoniam veritas verborum (Francoforte, 14-18 giugno 1442: Deutsche Reichstagsakten unter Kaiser Friedrich III, II, 1441-1442, a cura di H. Herre - L. Quidde, Stuttgart-Gotha 1928, pp. 246-248, 439-538; la risposta del Cusano, 21-23 giugno, Dampnatis amedistis, ibid., pp. 407-434). Il discorso di Francoforte (che ebbe anche una tradizione a stampa come Tractatus super concilio Basileensi) è l’approdo finale del pensiero di Tedeschi circa le relazioni tra papa e concilio. Esso era volto a dimostrare che a Basilea, pur dopo il trasferimento decretato da Eugenio IV, sussisteva ancora un legittimo concilio, e che esso aveva legittimamente deposto Eugenio ed eletto Felice V. La dimostrazione di tale assunto muove da esplicite premesse di matrice conciliarista, sostenute sull’argomento che il decreto Haec sancta promulgato a Costanza aveva formalmente definito la superiorità del concilio generale, rappresentante la Chiesa universale, sul romano pontefice.
Tedeschi morì il 24 febbraio 1445. Il suo sepolcro, con l’iscrizione che ne celebra i meriti di giurista e uomo di Chiesa, si conserva nella cattedrale palermitana.
Fu persona discussa già presso i contemporanei, che ne notarono le incoerenze dottrinali, i cambiamenti di rotta, l’opportunismo. Enea Silvio Piccolomini, pur criticandolo aspramente, ripetutamente ne riconobbe ed esaltò le eccellenti qualità scientifiche. A suo dire, quando Tedeschi si opponeva all’ala più oltranzista del concilio (1438-39), il suo comportamento era dettato dalla necessità di obbedire ad Alfonso, nonostante conoscesse dove stava la verità. Quando, invece, Alfonso si riconciliò con Eugenio e richiamò i vescovi del regno, Tedeschi, che nel 1442 a Francoforte aveva difeso quanto restava del Concilio di Basilea, dovette piegare la testa all’ordine del sovrano. Sul letto di morte, comunque, egli avrebbe dolorosamente ammesso di aver abbandonato la ‘verità del concilio’, a ciò persuaso da non meglio identificati nepotes.
Nel 1651 il giurista catanese Giovanni Battista De Grossis volle non solo correggere gli errori che si tramandavano circa la biografia di Tedeschi, ma soprattutto reagire alle malignità che Piccolomini e Guido Panciroli avrebbero contribuito a diffondere su di lui con il loro «aculeato... scribendi genere» (p. XI). Come che sia, l’incostanza del suo itinerario umano e dottrinale è comune a diversi grandi uomini a lui contemporanei, che subirono i diversissimi e pressanti condizionamenti derivanti dalle situazioni straordinarie del tempo in cui vissero.
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