RONDINELLI, Niccolò
– Non si conoscono le date di nascita e di morte di questo pittore, originario del Ravennate e attivo tra la fine del Quattrocento e il primo decennio del secolo successivo prima a Venezia e poi in Romagna.
Cominciato all’interno dell’atelier di Giovanni Bellini e concluso a Ravenna sotto le spinte del forlivese Baldassarre Carrari e di Francesco Zaganelli da Cotignola, il percorso di Rondinelli si svolse negli ultimi anni del dominio della Serenissima sulla comunità ravegnana. Dai numerosi dipinti veneziani per la devozione privata realizzati entro una serrata logica di bottega, sino alle grandi pale d’altare per le diverse chiese di Ravenna, lo sviluppo della sua produzione è sintomatico dei rapporti che interessarono, nel passaggio fra i due secoli e sulla direttrice padano-adriatica, i picchi altissimi della scuola veneta e una pittura provincializzante di qualità medio-buona.
La prima notizia di Niccolò, figlio di un Agostino Rondinelli, a sua volta nato da padre di Lugo (Bernicoli, 1912, pp. 204 s.), risale al 18 marzo 1495 (Ludwig, 1905, p. 7). Egli doveva allora trovarsi in laguna. A una data difficilmente precisabile, ma che dobbiamo immaginare non troppo lontana da quella del documento veneziano, si unì a una Marietta del fu Andrea dalle Carte dal confinio di S. Simeone Grande, passata, alla morte del padre occorsa nel 1486, in casa della sorella Antonia e del cognato Antonio di Bernardo, «depentor over dorador» (ibid.). Il matrimonio avvenne senza pubblicazioni: motivo per il quale Antonio citò in giudizio il pittore presso i procuratori de Supra, perché venisse risarcito dei più di 100 ducati che gli spettavano per aver a suo tempo mantenuto Marietta senza riscuotere nulla dei 14 ducati annui previsti dall’accordo stipulato alla morte di Andrea. Accolta la petitio di Antonio, la Procuratia dichiarò Niccolò colpevole di aver agito contro legge, obbligandolo alla soluzione del debito contratto negli anni da Marietta e al pagamento di altri 25 ducati, e prospettando la possibilità che l’attore della contesa potesse rivalersi sul convenuto sino a farlo incarcerare «usque ad integram satisfationem» (ibid.).
Che al momento della sentenza la posizione di Niccolò a Venezia fosse quantomeno scomoda è confermato dal fatto che il pittore fu indicato assente dalle pratiche giudiziarie (ibid.). Tale notazione non autorizza a pensare Rondinelli lontano dalla laguna (come lasciava intendere Ricci, 1919, p. 12). Il 3 novembre 1495, infatti, lo ritroviamo, insieme ancora ad Antonio, all’atto di esecuzione delle volontà testamentarie di Andrea a favore di Marietta (Ludwig, 1905, pp. 7 s.): è l’ultima notizia certa di Rondinelli a Venezia.
L’11 gennaio 1496, la moglie, incinta, fece testamento (Grigioni, 1909, pp. 163 s.). Ella si trovava a Ravenna; fra gli altri, nelle vesti dei testimoni, c’erano suo marito, «providus vir» e «perfectus pictor», e quel Severo Calzetta che tra il 1500 e il 1501 avrebbe firmato un S. Giovanni Battista in marmo per il Santo di Padova, ottenendo un posto di tutta eccezione all’interno del De sculptura di Gaurico (1504, 1999, pp. 254 s.). Da questo momento Rondinelli sarebbe stato registrato solo a Ravenna e dintorni: una prima volta il 25 novembre 1497, in un atto della chiesa di S. Maria di Castelnovo a Teodorano, nelle vicinanze di Forlì (Grigioni, 1913, p. 356); poi il 2 gennaio 1498 e il 23 settembre dell’anno successivo, in entrambi i casi in una controversia ravennate sorta in merito all’appalto di dazi (Bernicoli, 1912, pp. 205 s.).
L’ultima menzione d’archivio riguardante Niccolò rimonta al 31 maggio 1502, quando prestò testimonianza ancora a Ravenna (Grigioni, 1913, p. 357).
A mettere in fila la documentazione superstite su Rondinelli, non si ricavano informazioni utili a datarne le opere o a circoscrivere i tempi della sua evoluzione pittorica. Se nelle carte veneziane egli non è ancora definito «magister», titolo presente solo a cominciare dal testamento della moglie, si deve pensare che sino agli ultimi mesi del 1495 egli abbia condotto un tirocinio di stretta osservanza belliniana in laguna, per poi avviare una propria attività indipendente a Ravenna tra lo scorcio di quell’anno e l’inizio del successivo. Così, alla plausibile notizia vasariana per cui Niccolò, fra gli allievi di Bellini, fu «quello che più di tutti lo imitò e gli fece maggiore onore» e del quale Giovanni, da parte sua, «si servì sempre in tutte le opere sue» (Vasari, 1550, 19713, p. 440, e 1568, ibid.), si oppone l’improbabile indicazione, contenuta nell’edizione giuntina delle Vite, secondo cui Rondinelli «visse [...] fino alla età di 60 anni» (1568, 1976, p. 555). La mancanza di una sua attività certamente riconducibile, per via documentaria o stilistica, agli anni coincidenti o immediatamente successivi al secondo decennio del Cinquecento mal si accorda, infatti, alla cronologia induttiva dell’alunnato belliniano, che, a dar fede a Vasari, Niccolò avrebbe condotto all’età di circa quarant’anni.
La sua permanenza all’interno dell’atelier di Bellini non è documentata dalle carte d’archivio. Assente dai pagamenti dei lavori in palazzo ducale (dove, oltre al capobottega e ad Alvise Vivarini, figurano come stipendiati a partire dal 1489 Cristoforo Caselli, Lattanzio da Rimini, Marco Marziale, Francesco Bissolo e Vincenzo dalle Destre; Lorenzi, 1868, doc. 239), Niccolò emerge come creato di Giovanni da alcune Madonne licenziate, al più tardi, nel 1495. La firma «Nicolaus Rondinelo» apposta sulla Vergine adorante il Bambino della Galleria Doria-Pamphilj, che in toni più dimessi lo rivela attento a certi preziosismi della moda dei dipinti di Marziale o Dalle Destre, consente di includere in questo gruppo di opere altre redazioni dello stesso soggetto.
Del medesimo prototipo belliniano andato perduto (che Heinemann, 1962, p. 12, leggeva in relazione alla Madonna, di scuola, già in collezione Wittgenstein) Rondinelli si servì, con un respiro più largo e quasi cimesco, in una tavola sciupatissima oggi a palazzo Barberini a Roma e in un’altra recentemente battuta all’asta (Sotheby’s, Londra, 29 luglio 2009) ma già nota a Berenson (1957, p. 151); sino a riproporlo, con un’inedita accensione cromatica tale da rievocare Alvise nelle vesti della Vergine e Giambellino nel cielo striato dal tramonto, in quella dell’Accademia dei Concordi di Rovigo.
Analogamente, la sigla «Nico. Ron. Raven.» presente in una seconda Madonna Doria-Pamphilj, derivata da un fortunatissimo cartone di cui si avvalse, fra gli altri, Lattanzio (nella perduta tavola firmata dell’ex Schlossmuseum di Berlino; Fiocco, 1923, p. 366), riferisce di una dimestichezza con le invenzioni belliniane che Niccolò dovette mantenere persino fuori Venezia. Lungi dall’essere intervenuto nel gruppo centrale della composizione che funse da prototipo della serie, la Madonna fra i ss. Giovanni Battista ed Elisabetta (come a più riprese sostenuto, sulla scorta di Heinemann, da Anchise Tempestini: 1998, p. 183; 2004, p. 260), egli ripropose il modello della tavola romana anche in terra ravennate: una prima volta, quasi a suggellare una fase di assestamento delle fonti pittoriche allora in gioco, nel quadretto d’altare raffigurato nella scena mistica della pala di Galla Placidia per S. Giovanni Evangelista; e un’altra, nella più tarda Madonna di Indianapolis, per cui un ottimo ante quem è costituito, in virtù di una linea di contorno più affilata e di un’aria vagamente grottesca nell’espressione del Bambino, dal 1502, anno del pressoché definitivo trasferimento di Carrari a Ravenna (Faietti, 1994, p. 249).
A Venezia, Niccolò dovette ricevere alcuni incarichi in cui la stretta osservanza dei dettami belliniani poteva lasciar spazio a soluzioni tipologiche e formali più vastamente lagunari. È il caso del soffitto di S. Pietro Martire a Murano, condotto in compagnia di Caselli (Dal Pozzolo, 1997, p. 51) e all’insegna di un gesto di maggiore scioltezza, ad alta densità volumetrica; come pure delle tavole dell’organo di S. Maria degli Angeli, oggi divise tra la prima chiesa muranese succitata (i due Angeli, pendants di quelli solitamente discussi fra Pier Maria Pennacchi e Marco Palmezzano, per cui cfr. ibid.) e la sagrestia della Salute (la Madonna, che ben si confronta con quella del collega parmense agli Eremitani, per cui cfr. Chiusa, 1996, p. 12). Di una pennellata più grassa e costruttiva, fra Cima e Bartolomeo Montagna, è invece la Madonna con il Bambino e s. Girolamo all’Accademia di Venezia che, insieme a una variante già in collezione Perkins a Lastra a Signa, documenta il particolare punto di stile raggiunto da Rondinelli prima di un ritorno in patria, generalmente ritenuto definitivo (Tempestini, 1998, pp. 168 s.). Tuttavia, se è vero che le riprese ravennati di certe prove del Bellini più avanzato non postulano necessariamente altri soggiorni di Niccolò in laguna, suggerisce di riconsiderare la questione la notizia, riportata da Ridolfi (1648, p. 60), della partecipazione di «Rondinello da Ravenna» ai lavori della cappella dei Setaioli in S. Maria dei Crociferi, realizzati insieme a Cima, Lattanzio, Giovanni Mansueti e Jacopo da Montagnana tra il 1495 dell’Annunciazione del maestro di Conegliano a San Pietroburgo e il 1499 di quella che fu la parte di Giovanni (oggi nella collezione Liechtenstein di Vaduz) in uno smembrato e in parte perduto ciclo di storie di s. Marco (per cui cfr. Humfrey, 1983, pp. 83, 106 s.).
Forte di un così articolato apprendistato, una volta stabilitosi in Romagna, Rondinelli si dedicò a diverse commissioni pubbliche di rilievo. Oltre che nel già citato altare di Galla Placidia (oggi a Brera), i ricordi della civiltà prospettica di Carpaccio, filtrati attraverso un classicismo ancora cimesco-belliniano, prendono il sopravvento nel S. Sebastiano per la cappella della canonica nel duomo di Forlì: il capolavoro di Niccolò, che, a differenza di quanto solitamente sostenuto, non è né datato né firmato, ma menzionato come già messo in opera nel 1497 nelle Cronache forlivesi (1895, p. 308) di Novacula. È lo stesso momento del S. Giovanni Evangelista già in collezione Grassi (di cui Berenson conservava, sotto corretto riferimento attributivo, una buona riproduzione; Firenze, villa I Tatti, Fototeca Berenson, n. 106756), e di due pale oggi nella Pinacoteca comunale di Ravenna: una raffigurante la Madonna fra i ss. Tommaso, Maddalena, Caterina e Giovanni Battista, già ammirata da Vasari (1568, 1976, p. 555) «in una facciata della chiesa» di S. Domenico, e un’altra, smembrata, con la Madonna fra i ss. Alberto Siculo e Sebastiano, originariamente in S. Giovanni Battista e pure lodata nelle Vite (1550, 1971, p. 440 e 1568, ibid.). L’aria vagamente carpaccesca della prima e le clamorose citazioni belliniane della seconda (precisamente, dal gruppo centrale del paliotto Barbarigo del 1488) non avrebbero mai lasciato del tutto il passo alla rigida profilatura della forma cui Niccolò iniziò a sottoporre le sue figure negli anni successivi all’apertura del nuovo secolo. Così, nell’arcaizzante anconetta con S. Canzio tra i ss. Apollinare, Canziano, Canzianilla e Maddalena, i due personaggi femminili guardano rispettivamente alle fisionomie di un belliniano allucinato come Andrea Busati e a certe soluzioni tipologiche e decorative care a Cima. Nella pala con la Madonna fra i ss. Andrea e Lorenzo, la compressione dello spazio degli altari forlivesi di Palmezzano e le prime asprezze della pittura grifagna di Carrari non impediscono al moto della luce di creare sul broccato della Vergine effetti di rasura luminosa di vecchia memoria antonellesca, ugualmente tentati, attorno al 1505 o poco dopo, nel gruppo centrale della grande tavola centinata dello Spirito Santo oggi in Pinacoteca.
Qui, nonostante le prime avvisaglie zaganelliane, a convincere è il confronto fra il Girolamo di Rondinelli e il santo gemello del distrutto trittico bellinesco da S. Cristoforo della Pace (Heinemann, 1962, p. 68), più che la generica indicazione di presunte fonti costesche per la S. Caterina (Mazza, 1982, p. 131).
E nel campo della pittura devozionale, una delle più tarde Vergini di Niccolò, già ad Atlanta e recentissimamente passata sul mercato antiquario (Sotheby’s, New York, 6 giugno 2013), sembra rievocare ancora un’estrema Madonna di Cima, quella allo Städelsches Institut di Francoforte.
Pur rimanendo assai mobile e problematica, la definizione cronologico-stilistica di Rondinelli, specie negli ultimi anni, può poggiare sulla distinzione fra i portati del vecchio bagaglio lagunare e gli elementi di più forte marcatura tardopalmezzanesca suggeritigli da Carrari. In tal senso, il 1511 che si ricava dalla notizia (Carrari, 1584, 1854, p. 26) del sorprendente apprezzamento della pala della cappella Bonamici in S. Domenico (oggi a Brera, per cui cfr. Tempestini, 1995-1996, pp. 45 s.) da parte di Giulio II, in visita in quel frangente nelle principali città romagnole, funge più da riferimento obbligato che da generico terminus ante quem: puntello ultimo cui ancorare la realizzazione delle stanche portelle d’organo della stessa chiesa domenicana e, ormai, l’imminente scomparsa di Niccolò all’ombra della bottega ravennate di Francesco Zaganelli.
Fonti e Bibl.: P. Gaurico, De sculptura (1504), a cura di P. Cutolo, Napoli 1999, pp. 254 s.; V. Carrari, Della utilità della morte (1584), a cura di J. Landoni, Ravenna 1854, p. 26; G. Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori e architettori nelle redazioni del 1550 e 1568, testo a cura di R. Bettarini, commento secolare a cura di P. Barocchi, III, Firenze 19713, pp. 440 s., IV, 1976, pp. 555 s.; C. Ridolfi, Le maraviglie dell’arte, overo le vite de gl’illustri pittori veneti, e dello Stato, Venezia 1648, p. 60; G. Lorenzi, Monumenti per servire alla storia del palazzo ducale di Venezia, I, Dal 1253 al 1600, Venezia 1868, doc. 239; Cronache forlivesi di Andrea Bernardi (Novacula) dal 1476 al 1517, I.1, a cura di G. Mazzatinti, Bologna 1895, p. 308; G. Ludwig, Archivalische Beiträge zur Geschichte der venezianischen Malerei, in Jahrbuch der Preußischen Kunstsammlungen, XXVI (1905), pp. 1-159 (in partic. pp. 6-8); C. Grigioni, Documenti. Il testamento della moglie del pittore Nicolò Rondinelli, in Rassegna bibliografica dell’arte italiana, XII (1909), pp. 163 s.; S. Bernicoli, Arte e artisti a Ravenna, in Felix Ravenna, II (1912), 6, pp. 204-206; C. Grigioni, Nota su l’arte e gli artisti in Ravenna. Pittori del secolo XV, ibid., III (1913), 9, pp. 356 s.; S. Bernicoli, Arte e artisti a Ravenna, ibid., IV (1914), 13, p. 555; C. Ricci, Uno scolaro di Giovanni Bellini. Nicolò Rondinelli, in Venezia. Rassegna d’arte e storia, 1919, vol. 1, pp. 9-34; G. Fiocco, Piccoli maestri. I. Lattanzio da Rimini, in Bollettino d’arte, s. 2, II (1923), 8, pp. 363-370 (in partic. p. 366); B. Berenson, Italian pictures of the Renaissance, I, Venetian School, London 1957, pp. 150 s.; F. Heinemann, Giovanni Bellini e i belliniani, I, Venezia 1962, pp. 68, 148 s.; A. Mazza, La pittura su tavola in Romagna nel ’500, in Luca Longhi e la pittura su tavola in Romagna nel ’500 (catal., Ravenna), a cura di J. Bentini, Bologna 1982, pp. 129-131; P. Humfrey, Cima da Conegliano, Cambridge 1983, pp. 82, 106 s.; M. Faietti, Pittura del Quattrocento a Ravenna, in Storia di Ravenna, IV, Dalla dominazione veneziana alla conquista francese, a cura di L. Gambi, Venezia 1994, pp. 243-261 (in partic. p. 249); A. Tempestini, Il pezzo mancante nella predella della pala di N. R. proveniente da S. Domenico di Ravenna, in Atti e memorie. Accademia Clementina, n.s., XXXV-XXXVI (1995-1996), pp. 45-48; M.C. Chiusa, Per Cristoforo Caselli a consuntivo degli studi, in Parma per l’arte, n.s., II (1996), 1, pp. 7-25; E.M. Dal Pozzolo, Palmezzano a Venezia, in Paragone, s. 3, XLVIII (1997), 15-16, pp. 47-57 (in partic. p. 51); A. Tempestini, Bellini e Belliniani in Romagna, Firenze 1998, pp. 168-209; S. Tumidei, Romagnoli in Veneto: congiunture figurative e viaggi d’artisti tra Quattro e Cinquecento, in La pittura emiliana nel Veneto, a cura di S. Marinelli - A. Mazza, Modena 1999, pp. 74-77; A. Tempestini, Bellini and his collaborators, in The Cambridge companion to Giovanni Bellini, a cura di P. Humfrey, Cambridge 2004, pp. 260, 262; S. Tumidei, Marco Palmezzano (1459-1539). Pittura e prospettiva nelle Romagne, in Marco Palmezzano. Il Rinascimento nelle Romagne (catal., Forlì), a cura di A. Paolucci - L. Prati - S. Tumidei, Cinisello Balsamo (Milano) 2005, pp. 27-70; Gli enigmi di un dipinto. Da Nicolò Rondinelli a Baldassarre Carrari, a cura di N. Ceroni - A. Fabbri - C. Spadoni, Ravenna 2008, passim.