MONTEMELINI, Niccolo
MONTEMELINI, Niccolò. – Nato a Roma il 31 luglio 1643 da Adriano ed Eufrosina Pallavicini, una nipote del cardinale Pietro Sforza, fu l’ultimo discendente di un’antica famiglia aristocratica, i conti di Montemelino, castello a pochi chilometri da Perugia.
Non si hanno certezze circa la data della sua partenza da Roma, certo è però che Perugia fu la sua patria e il suo orizzonte privilegiato, nonché, con ogni verosimiglianza, il luogo della sua formazione. Nel 1669 si unì in matrimonio con Angela Montesperelli, anch’ella appartenente a una delle più importanti famiglie del patriziato perugino, ed ebbe due figli, Eufrosina e Adriano. Quest’ultimo morì in età infantile, mentre Eufrosina fu data in moglie a un esponente di un altro ramo dello stesso casato Montemelini.
L’ingresso di Montemelini nella vita culturale avvenne nella seconda metà degli anni Settanta del Seicento, quando cominciò a intessere i primi contatti epistolari, a farsi promotore di iniziative editoriali e a pubblicare le proprie opere.
Queste, per un totale di oltre 20 titoli, consistono in poche orazioni e in ben più numerosi versi d’occasione, sempre scritti in italiano, ospitati solitamente in raccolte che impegnavano molti autori locali. Trovarono invece veste editoriale autonoma una sola orazione – Il Magistrato Coppella del Cavaliere (Foligno 1701) – e i testi poetici che gli erano più congeniali, quelli cioè d’argomento sacro o mondano, destinati a completare componimenti musicali e che lo portarono a collaborare con molti compositori attivi a Perugia e in altre città umbre. Alle opere edite si aggiungono i numerosissimi versi, perlopiù sonetti, che Montemelini inviò ai suoi corrispondenti e che non conobbero gli onori della stampa. Nel complesso la sua produzione letteraria non ha meritato gli elogi e neppure l’attenzione della critica letteraria: prose e poesie ebbero un pubblico piuttosto ristretto e, dal punto di vista stilistico, non dimostrano qualità artistiche di rilievo; soprattutto i versi si adeguano al dominante marinismo seicentesco e, privi di tratti originali, danno ragione del fatto che il loro autore è stato spesso ignorato anche dai repertori bio-bibliografici. D’altra parte Montemelini, all’inizio del Settecento, rallentò decisamente la propria produzione letteraria, che aveva ormai assolto alla sua funzione di buon viatico per l’ingresso negli ambienti culturali e della quale probabilmente egli stesso non era del tutto soddisfatto. Di là da questi limiti, ebbe un suo ruolo intellettuale, accompagnato da una certa propensione al mecenatismo, nel contesto della cultura locale e dei suoi contatti con la res publica literaria a cavallo tra Sei e Settecento.
Nel 1690 fu nominato deputato per la «libreria» comunale, l’attuale biblioteca Augusta, ufficio che ricoprì sino alla morte e al quale si dedicò con interesse, sia contribuendo alla scelta dei responsabili della biblioteca, sia impegnandosi direttamente negli acquisti librari. Fu un alacre animatore della vita accademica: partecipò a molti consessi umbri e a tutti quelli perugini, in primo luogo alle Accademie degli Unisoni e degli Insensati, e fu tra i promotori della fondazione della locale colonia arcadica. Tuttavia la sua presenza nelle accademie cittadine non fu incisiva, soprattutto perché era l’unico referente locale della comunicazione epistolare erudita: in continuo contatto con Antonio Magliabechi (al quale inviò missive almeno dal 1689 al 1712), fu corrispondente di moltissimi altri intellettuali d’area toscana, come Francesco Redi, Bernardino Ramazzini e Alessandro Marchetti. Il coinvolgimento con gli scienziati di questo ambiente lo portò anche a intervenire con un proprio opuscolo del 1700 nella polemica sorta tra i medici Andrea Moneglia e Anton Francesco Bertini, appartenente, quest’ultimo, alla scuola galileiana. Con il passare degli anni, forse rilevando una certa stanchezza nella cultura toscana, Montemelini volse la propria attenzione anche ad altre aree dell’Italia centro-settentrionale e, oltre a mantenere la corrispondenza con Ludovico Antonio Muratori, strinse nuovi legami epistolari, per esempio con Pietro Canneti, Francesco Arisi e Giovan Gioseffo Orsi. In tal modo divenne per i perugini un varco attraverso il quale comunicare col mondo esterno e ricevere notizie letterarie – era infatti questo il canale attraverso il quale giungevano in città i giornali eruditi –, nonché per presentarsi alla comunità culturale italiana ed europea. Tutte le più importanti opere ideate o stampate a Perugia in quegli anni godettero del suo sostegno; così, per esempio, il conte Giuseppe Ansidei, lo scienziato e filosofo Alessandro Pascoli e il musicista Giovanni Andrea Angelini Bontempi, malgrado la diversità di interessi, di estrazione sociale e di vicende personali, ricorsero tutti ai buoni uffici di Montemelini per presentare i propri scritti nel mondo culturale e soprattutto per farli giungere, per tramite di Magliabechi, alla redazione degli Acta eruditorum di Lipsia.
La funzione di Montemelini nella vita culturale appare ben chiara mentre, forse proprio per il ruolo di intermediario che ricoprì, il suo profilo intellettuale risulta assai più sfuggente. Le sue scelte non emergono dalla produzione letteraria, troppo stereotipata e legata all’occasione, ma possono essere ricostruite almeno in parte sulla base dei carteggi superstiti, con Magliabechi e con Muratori. Da essi emerge il profilo di un uomo curioso di tutti gli aspetti della cultura contemporanea, dall’ambito umanistico alle discipline scientifiche, e soprattutto interessato ad ampliare continuamente la propria rete di contatti epistolari e quindi il proprio orizzonte intellettuale. Nell’insieme Montemelini esprime una certa inclinazione verso i settori più avanzati della cultura italiana; ne sono testimoni l’interesse per l’opera di Marchetti, traduttore del lucreziano De rerum natura, e i contatti intercorsi con Basilio Giannelli, uno dei giuristi napoletani coinvolto nel processo agli ateisti. Nelle querelles del primo Settecento, pur nella discrezione dei carteggi privati, scelse di prendere partito per i «moderni» e, per esempio, sulla questione dei riti cinesi compose alcuni versi salaci contro i gesuiti e ne inviò copia a Muratori. Questi indizi inducono a supporre che anche la scelta di sostenere le posizioni muratoriane nella polemica su Comacchio non vada necessariamente attribuita a una nostalgica e anacronistica difesa degli antichi privilegi della nobiltà italiana, ma possa invece attestare il consapevole apprezzamento di uno dei primi esempi italiani di ricerca storiografica scientifica.
Morì a Perugia il 2 marzo 1723.
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