FALCUCCI, Niccolò (de Falcuciis, de Falconibus, de Falconiis, Falcutius, Falconius, Niccolò Fiorentino, Nicolaus de Florentia)
Nacque a Borgo San Lorenzo, presso Firenze, anche se appare spesso qualificato come "florentinus" sia nei titoli delle sue opere sia dagli storici che lo ricordano. È ignota la data esatta della sua nascita, che tuttavia sembra doversi porre nella prima metà del secolo XIV. Il suo nome si trova annotato nello "squittinio per l'ufizio del Priorato" all'anno 1391, insieme con quello di due suoi figli, e ciò ha indotto l'anonimo autore degli Elogi degli uomini illustri toscani a formulare l'ipotesi che fosse nato intorno alla metà del secolo; ipotesi non accettabile, dato che già nel 1353, come dimostra un altro documento, il F. fu immatricolato nell'arte dei medici e degli speziali. L'autore degli Elogi trasmette anche informazioni sulla sua famiglia, ricavandole da non meglio precisate "Memorie manoscritte della famiglia" da lui consultate: suo padre ebbe nome Francesco di Gialdo, ed apparteneva ad una famiglia originaria del Mugello, forse imparentata con quella degli Ubaldini; sua madre si chiamava Margherita ed era figlia di Giotto di Piero.
Nulla sappiamo invece dell'infanzia e della adolescenza del Falcucci. Altrettanto ignoto è il luogo dove compì i suoi studi di medicina e filosofia. Il Ristori ritiene che abbia frequentato lo Studio di Bologna, ma non abbiamo notizie sicure in merito, né sappiamo chi fossero i suoi maestri. Alcuni storici ricordano un famoso medico del suo tempo, il fiorentino Tommaso Del Garbo, spesso citato dal F. con grande rispetto. Secondo la testimonianza dell'anonimo autore di un codice conservato nella Biblioteca nazionale di Firenze (Magl. XV, 71), proprio al F. l'insigne medico si rivolse per farsi curare, chiamandolo a Pisa, ma non sappiamo esattamente quando.
Dal 1353, quando venne immatricolato nell'arte dei medici e degli speziali, il F. prese probabilmente ad esercitare la sua attività di medico pratico. È poco probabile che il F. abbia anche svolto attività di insegnamento, sebbene nella iscrizione della sua tomba egli venga definito "phiilosophiae ac medicinac lector". Il Poccianti afferma che insegnò in molte università con ottimi stipendi, ma mancano conferme documentarie. Il F. visse quasi sempre a Firenze, considerato dai suoi contemporanei come cittadino fiorentino a tutti gli effetti e ricordato dagli storici coevi tra coloro che diedero maggior lustro alla città. L'apogeo della sua fama deve porsi probabilmente attorno agli anni Ottanta-Novanta. Matteo Palmieri lo ricorda nel suo Liber de temporibus, in riferimento all'anno 1387, come medico "eximii nominis" e "doctissimus", mentre Cristoforo Landino, nel proemio al suo commento su Dante, lo pone accanto a P. Dal Pozzo Toscanelli e a L. B. Alberti fra coloro che maggiormente resero illustre la città. In questi stessi anni sembra che il F. abbia anche svolto incarichi di carattere politico-amministrativo: negli ultimi quattro mesi del 1378 fu console dell'arte dei medici e degli speziali e secondo quanto viene affermato nelle "Memorie manoscritte della famiglia", utilizzate dall'autore degli Elogi citati, nel 1391 "fu descritto per la Maggiore per il godimento del Priorato". La stessa fonte fornisce il nome della moglie, Niccolosa, e di due dei suoi figli, Matteo e Luca, da cui discenderebbe il ramo dei Falcucci di S. Reparata; un terzo figlio, a nome Giovanni, fu "squittinato" nel 1411, mentre quattro femmine sono ricordate come tutte sposate.
Il 15 nov. 1412 il F. dettò il suo testamento. Morì con ogni probabilità nello stesso anno, come riporta anche l'iscrizione seicentesca posta sulla tomba situata nella chiesa di S. Maria del Fiore a Firenze, mentre Matteo Palmieri, nell'opera già ricordata, lo dice morto nell'anno 1411, data analogamente riportata anche da Sozomeno da Pistoia e ripresa dal Mehus (p. XXIX).
La fama del F. più che alla pratica della professione medica è legata alle sue opere, o meglio, ad un'opera, i Sermones medicinales che, a quanto asseriscono numerosi storici, furono per vari decenni un punto di riferimento obbligato per gli studenti di medicina, un prontuario e una summa della scienza medica dell'epoca. Per la loro importanza i Sermones furono definiti "unica guida di chiunque intenda con senno praticar medicina" e Mattia Palmieri, contemporaneo del F., lo definì "eximii nominis medicus" (S. De Renzi, St. d. medicina in It., II, Napoli 1845, pp. 279-280. Per quest'opera inoltre sembra che gli studenti mettessero volentieri da parte gli scritti di Galeno e di Avicenna. Il poderoso trattato, segnalato in quasi tutte le librerie del periodo rimasteci, è costituito da sette Sermones medicinales e, dopo aver avuto una notevole circolazione manoscritta, venne stampato già nell'ultimo ventennio del secolo ben tre volte: a Pavia fra il 1481 e il 1484 "per Damianum de comphaloneriis de binascho", a spese di un professore di medicina, maestro Giovanni Antonio de Bassini, come si legge negli explicit di alcuni dei Sermones (Hain, n. 11767); un decennio più tardi a Venezia nel 1491 per i tipi di Bernardino de Tridino da Monferrato (Hain, n. 11768) e ancora nel 1500 nello stesso luogo (Hain, n. 11769). Fino alla metà del secolo XVI si ebbero poi numerose altre edizioni, alcune soltanto parziali.
Nel Proemium l'autore spiega la necessità e l'origine della medicina prendendo a base la narrazione biblica della creazione. Il F. ribadisce il concetto della superiorità della creatura umana su tutte le altre creature in quanto sintesi armonica e nobile di un principio materiale (corpo) e di un principio spirituale (anima), dalla quale traggono origine le innumerevoli potenze e "virtù" che si manifestano all'esterno attraverso il corpo. Originariamente dotato di un destino di immortalità e di "impassibilità", a causa della disobbedienza alla legge divina, l'uomo avrebbe perso tali prerogative, diventando debole nel corpo e labile nell'anima; quest'uomo così decaduto è appunto per l'autore l'oggetto precipuo della medicina. Riferendosi poi agli scopi della sua opera, il F. spiega di averla scritta spinto dalla "congestio magna librorum" di medicina, che imponeva "dicta auctorum in unum redigere volumen" e trascegliere tra le molte esistenti le spiegazioni "verissimorum expositorum", giacché solo quelle potevano far emergere la "auctorum veritas". Da un lato dunque si trattava di dar corpo ad un'esigenza oggettiva di chiarezza e di ordine da recuperare all'interno di una tradizione divenuta oramai un cumulo acritico e confuso di dottrine; dall'altro si intendeva soddisfare il bisogno soggettivo di rimuovere "obtusionem ab intellectu" e di possedere, una volta raggiunta la vecchiaia, "memoriam certam" della propria arte. Il F. non intende seguire vie originali o presentare personali interpretazioni, ma si pone sulla linea dei grandi maestri del passato il cui insegnamento si propone soltanto di raccogliere secondo un certo ordine, in modo da offrire "tota medicinalis scientia tam partis theorice quam pratice", posto appunto che teoria e pratica erano per lui strettamente congiunte. La sua opera si presenta dunque come un'imponente raccolta di testi medici, per lo più di Avicenna, raggruppati attorno a determinati argomenti, ma riesposti dall'autore in parole proprie e secondo un proprio piano organizzativo. La materia è distribuita, secondo il metodo scolastico, in tractatus, distinctiones, capitula. Il primo dei Sermones medicinales tratta in generale dell'oggetto della medicina, e si divide in due trattati riguardanti rispettivamente la costituzione del corpo umano e la sua conservazione. Nel primo trattato si affrontano temi di carattere generale: le operazioni del corpo, la loro origine naturale o consuetudinale, le deficienze ascrivibili alla natura nell'espletamento di queste funzioni e l'arte, la medicina appunto, chiamata a compensarle. Qui l'autore coglie l'occasione per tesserne un elogio, spiegando il significato del nome, mostrandone l'aderenza al concetto di "scienza" intesa appunto come conoscenza di "cause", la dignità ed eccellenza rispetto alle altre discipline, riposta da lui nella superiorità del suo oggetto, sia sotto il profilo della causalità efficiente, sia di quella formale e finale. Ne ripercorre infine la storia e le tappe fondamentali di sviluppo. Concludendo il suo discorso introduttivo, il F. non manca di affrontare il problema del metodo, e lascia intravvedere la sua propensione per l'atteggiamento dei cosiddetti "logici" o "razionali", rispetto a quello dei medici "metodici", che disprezzano il particolare, e degli "empirici", che ignorano l'universale, indicando come giusta solo la via intermedia che tiene conto del particolare, ma non perde di vista l'universale. Egli non dimentica neppure il problema deontologico, così importante per il medico, indicando ordinatamente i doveri del medico verso se stesso, verso gli altri uomini e verso Dio. Nel secondo trattato si fissano alcuni concetti fondamentali della teoria medica: i concetti di sanità e di malattia, le loro varie specie, le cause "efficienti", "materiali" e "finali". Il secondo dei Sermones tratta "de universali curatione morborum et de dispositionibus febrium et eorum quae ad noticiam febrium subsequuntur". A proposito delle "crisi" e dei "giorni critici" l'autore viene a toccare problemi di carattere astrologico e dichiara la sua profonda credenza, peraltro condivisa da tutti i medici della sua epoca, nell'influsso degli astri sugli "umori" del corpo e la necessità per un buon medico di conoscere l'astrologia. Il terzo sermone tratta "de dispositionibus membrorum animatorum"; il quarto si occupa "de dispositionibus membrorum spiritualium"; il quinto "de dispositionibus membrorum nutrimenti"; il sesto "de dispositionibus membrorum generationis"; il settimo è dedicato all'anatomia e alla chirurgia. Nel breve riassunto del contenuto dei vari Sermones medicinales inserito all'interno del Proemium, nell'edizione di Venezia del 1491 in 4 volumi da noi consultata, è menzionato un ottavo sermone "de medicinis simplicibus et compositis" che di fatto non figura né in questa né, pare, in alcun'altra edizione dell'opera; in questo stesso riassunto viene indicata inoltre la precisa corrispondenza dei singoli sermoni con le fen del Canone di Avicenna.
Oltre ai Sermones medicinales è giunta notizia di altre opere a lui attribuite rimaste, a quel che sembra, manoscritte, ma che più probabilmente sono parti o sezioni tratte dagli stessi Sermones. L il caso del Tractatus de peste, seu febre pestilentiali, ac de venenis, contenuto in un codice della Biblioteca apostolica Vaticana (ms. Ottobon. lat. 3030, ff. 104-130v e 132-146v), dove si trovano Receptae et Consilia medica di Gentile da Foligno e di Marsilio (probabilmente Marsilio di S. Sofia), che è in due parti, nelle quali si tratta dapprima della peste e poi dei veleni. Esso ebbe, sembra, una certa circolazione perché appare citato nel De animalibus e nel De serpentibus di maestro Domenico Aretino (Mehus).
Qualche storico (ad es. Hirsch) attribuisce al F. anche la composizione di un Commentum Nicoli super Aphorismos Hippocratis, stampato a Bologna nel 1522 da J. B. Theodosius, ma si tratta probabilmente di un compendio dei suoi scritti. Analogo discorso vale anche per un De venenis che va sotto il suo nome. Sempre al F. è stato attribuito l'Antidotarium. Tractatus qui vocatur quid pro quo. Sinonima. L'opera, stampata tre volte nel Quattrocento (Hain, nn. 11763, 11764, 11765), fornisce regole per somministrare farmaci e sembra un rifacimento dell'opera del medico arabo Meshue, attribuito dagli storici ad un medico della scuola salernitana, Niccolò Preposito da Salerno.
Opere: Vari manoscritti delle opere del F. sono indicati in P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, p. 49a; IV, pp. 175b-176a, ma cfr. anche L. Thorndike, Further Incipits, in Speculum, XXVI (1951), p. 673. Una redazione parziale dei Sermones, non segnalata dal Kristeller, si trova nei Mss. Vat. lat. 2442-2445 della Biblioteca apostolica Vaticana.
Per le edizioni quattrocentesche dei Sermones medicinales cfr. Gesamtkatalog der Wiegendrucke, VIII, coll. 266-274.
Fonti e Bibl.: Sozomeno da Pistoia, Chroniconuniversale (1411-1455), a cura di G. Zaccagnini, in Rer. Ital. script., 2 ediz., XVI, I, p. 3 (per la data di morte del F.); M. Palmieri, Liber de temporibus, a cura di G. Scaramella, ibid., XXVI, 1, p. 120; D. Boninsegni, Storia della città di Firenzedall'anno 1410 al 1460, Fiorenza 1637, p. 3; A. Gherardi, Statuti dell'Università e Studio fiorentino dell'anno 1387 con appendice dei documenti dal 1320 al 1472, Firenze 1881, pp. 363 s.; C. Landino, Commento intorno alla Commedia, in Saggi critici e teorici, a cura di R. Cardini, Roma 1974, I, p. 117; II, p. 131; M. Poccianti, Catalogus scriptorum Florentinorum, Florentiae 1589, p. 134; G. F. Negri, Istoria degli scrittori fiorentini, Ferrara 1722, p. 429; D.M. Manni, De Florentinis inventiscommentarium, Ferraria 1731, cap. XVI, p. 29; L. Melius, Vita Ambrosii Traversari generalis camaldulensium, in A. Traversari, Latinae epistolae, Florentiae 1759, pp. XXVIII s.; Elogi degli uomini illustri toscani, III, Lucca 1772, p. X; A. M. Bandini, Catalogus codicum Latinorum Bibliothecae Laurentianae, III, Florentiae 1776, coll. 58 s.; M. Boni, Lettere sui primi libri a stampa di alcune città e terre dell'Italia superiore, Venezia 1794, pp. LIX--LXIV; S. Comi, Memorie bibliografiche per la storia della tipografia pavese nel secolo XV, Pavia 1807, p. XXIV; G. Tiraboschi, Storia della letteratura italiana, II, Milano 1835, pp.235 s.; F. Brocchi, Collezione alfabetica di uomini e dame illustri della Toscana, Firenze 1852, p. 69; L. A. Fabricius, Bibliotheca Latina mediae et infimae Latinitatis, V, Florentiae 1858, p. III; J. Pagel, Geschichte der Medizin im Mittelatter, in Handbuchder Geschichte der Medizin, I, Jena 1901-1903, pp.650 s.; B. Ristori, N. F., medico del secolo XIV, in Giotto. Bollett. storico letter. artistico del Mugello, II (1903), pp. 259-288; E. Wickerscheimer, Nicolaus Praepositi, ein französicher Arzt ums Jahr 1300, in Sudhoffs Archiv für die Geschichte der Medizin, V (1912), pp. 302 s. (e bibl. ivi segnalata per le attribuzioni dell'Antidotarium); K. Sudhoff, Pestschriften aus den ersten 150 Jahren nach der Epidemie des "Schwarzen Todes" 1348, IV, Italienische Aertze des 14. Jahrhunderts, ibid., pp. 338-341 (per l'edizione parziale di alcuni brani del Tractatus de peste); P. Kibre, The library of Pico della Mirandola, New York 1936, pp. 75-80, 86, 106 s., 113; G. Sarton, Introduction to the history of science, III, 2, Baltimore 1948, pp. 1194 s. (e bibl. ivi segnalata); E. Guarneri-M. A. Mannelli, La vita e l'opera di N. F. medico toscano del secolo XIV, in Atti del XXI Congresso intern. di storia della medicina, I, Roma 1970, pp. 1-10; K. Park, Doctors and medicine in early Renaissance Florence, Princeton 1985, p. 32; M. A. Mannelli, Le scienze mediche, in Storia dell'Ateneo fiorentino. Contributi di studio, Firenze 1986, pp. 900 s.; J. Agrimi-C. Crisciani, Edocere medicos. Medicina scolastica nei secoli XIII-XV, Napoli 1988, pp. 28 s., 82 e passim; L. Hain, Repertorium bibliogr., nn. 11763-769; G. Mazzatinti, Inventari dei manoscritti delle biblioteche d'Italia, IX, p. 27; A. Hirsch, Biographisches Lexikon der hervorragenden Aerzte, II, p. 473 (dove vengono segnalate edizioni cinquecentesche dei Sermones medicinales); M. E. Cosenza, Biographical and bibliographical Dictionary of Italian humanists, III, 2, pp. 1194 s.; Lexikon des Mittelalters, IV, I, col. 238.