CASTELLI, Niccolò
Nacque a Pisa intorno al 1560. La sua famiglia, imparentata con quella dei Castelli di Brescia, era originaria di Castellanselmo.
Le notizie disponibili su di essa risalgono al 1259, anno in cui ottenne in feudo dal conte Ugolino della Gherardesca la villa di Frivo nel giudicato di Gallura. Probabilmente stabilita in città fin dal sec. XIII, possedeva, oltre a un altare in S. Andrea Foris Portae, una sepoltura nel camposanto (dal 1466) e una nella chiesa di S. Caterina, una casa in Borgo e alcune terre a Castellanselmo: beni, questi ultimi, che sarebbero passati alla famiglia Poschi. Essa aveva occupato nella città di Pisa numerose cariche pubbliche e in particolare aveva avuto diversi priori a partire dal 1313. Il padre del C. è forse da identificare con quel Francesco di Niccolò che, nel corso del Cinquecento, fu ripetutamente fra i Priori (1546, 1547, 1555, 1559, 1561, 1570, 1573) e ricoprì anche la carica di ambasciatore presso Cosimo de’ Medici.
L’esistenza del C. trascorse in gran parte lontano da Pisa. Nell’ultimo ventennio del Cinquecento lo troviamo infatti dapprima a Roma e in seguito a Milano, dove ebbe modo di occupare cariche di un certo rilievo. A Roma il C. divenne uomo di fiducia di Giacomo Boncompagni, duca di Sora e conte d’Arpino. Quest’ultimo lo nominò suo viceduca e commissario generale nelle regioni soggette al suo potere feudale. Il C. mantenne le due cariche fino al 1585, anno in cui, rientrato a Roma, venne assunto come maggiordomo da Federico Cesi, duca d’Acquasparta e di Monticelli, padre del futuro fondatore dell’Accademia dei Lincei.
La familiarità col Cesi, che continuò anche dopo l’allontanamento del C. da Roma, costituì un elemento di importanza notevole nella vita di quest’ultimo. Fu infatti proprio per mezzo del Cesi che il C. venne ascritto alla cittadinanza romana con privilegio del 22 apr. 1587. Non sembra comunque che, verso la fine degli anni ’50, il C. nutrisse la speranza di poter ottenere in Roma un miglioramento delle sue condizioni economiche.
Lasciata Roma, si trasferì infatti a Milano e, nel periodo dei tre governatori, Carlo d’Aragona duca di Terranova, Juan Fernández de Velasco conestabile di Castiglia e Pedro Enriquez de Acevedo conte di Fuentes, prese in appalto dalla Regia Camera il negozio del sale, che esercitò fino ai primi anni del Seicento.
Mentre disponiamo di scarse notizie sul periodo milanese del C., maggiori elementi sono noti sugli anni successivi. Rientrato a Pisa ai primi del Seicento, egli trascorse nella città toscana gli ultimi suoi anni. Forse proprio grazie alla notorietà da cui era circondato per gli uffici ricoperti a Roma e a Milano e per le conoscenze di cui godeva, ottenne numerose cariche di prestigio nella sua città. La maggiore dignità pisana, quella di priore, gli venne conferita quattro volte. Il 16 giugno 1604 veniva infine insignito della carica di operaio del duomo, occupata da Girolamo Papponi fino a tale data. L’onore, che il C. avrebbe mantenuto sino alla morte, gli veniva concesso dai Priori della città. Questi ultimi, all’atto del conferimento, lo dichiaravano anche “cavaliere della Vergine Maria e di Speron d’oro” (Archivio di Stato di Pisa, Opera del Duomo, 480, c. 76).
Nel 1613 il C. fece conoscenza colmatematico bresciano Benedetto Castelli, a cui era legato da remote relazioni di parentela. Quest’ultimo, in una lettera al Galilei del 3 dic. 1613, parlava dell’operaio del duomo come di una “persona molto principale”, che, “oltre l’essere signore di gran stima in questa città, merita, al mio giudizio, ogni servitù per le sue nobili maniere” (Galilei, XI, p. 600). Nella stessa lettera il matematico illustrava gli interessi del C. per le scoperte del Galilei, riferendo i dialoghi avuti con lui in Pisa: “Discorsi al lungo di V. S. col sig. Operaio, ma come quello che..: non ha ancora visto nulla delle invenzioni di V. S. ancora ché per altro si mostri di buon giudizio, mi dimandò se era vero delle Stelle Medicee e delle altre novità. Io li risposi, che quando S. S. havesse visto quello che V. S. homai haveva mostrato a tutto il mondo, non liaverebbe havuto occasione di dimandarmi simil cose, ma sì bene di restare meravigliato e di questo e di mill’altre meraviglie” (ibid.).
Proprio in seguito alle conversazioni col matematico, il C. cominciava a ventilare la proposta della fondazione, in Pisa, di una sede dell’Accademia dei Lincei, creata da poco in Roma dal principe Cesi.
Il fine del C. era quello di legare il nome della sua famiglia ad un’istituzione culturale di prestigio, di cui egli sarebbe apparso come una sorta di mecenate. Accanto a questa esistevano tuttavia altre ragioni. In primo luogo il genuino interesse del C. per la scienza e per le scoperte di Galileo, che aveva avuto modo di manifestare nel colloquio col matematico bresciano, in secondo luogo i legami di familiarità che ancora lo legavano alla famiglia Cesi di Roma. Il progetto prevedeva la creazione di una sede dell’Accademia in un palazzo, del valore di 1.500 scudi, che il C. possedeva attiguo alla Sapienza. Benedetto Castelli, in una lettera al Galilei del 4 dic. 1613, illustrava più chiaramente l’idea dell’operaio del duomo: “ho inteso più particolarmente il tutto, dico intorno alla casa che egli offerescie al Sig. Principe Cesis per erigere il Collegio de’ Lincei: che il detto Sig. Niccolò darà la casa in dono con questa condizione, che dopo la morte del Sig. Principe il ius di nominare gli suggetti che si devono alimentare in detta casa resti alla posterità della famiglia e casa Castelli qui di Pisa, nel medesimo modo e con le medesime condizioni e ragioni che in vita haverà il Sig. Principe” (ibid., p. 601). Il progetto veniva però ben presto dimenticato e la proposta non aveva alcun seguito.
Il C. morì a Pisa nel 1617.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Pisa, Opera del Duomo, 52, c. 75v; 53, c. 13r; 480, cc. 75v-76v; 482 (in fine); Ibid., Manoscritti Bonaini, 5, nn. 6, 10; G. Galilei, Opere (ed. naz.), XI, pp. 600-601; XX, p. 413; A. Favaro, Di una proposta per fondare in Pisa un collegio dei Lincei, in Arch. stor. ital., s. 5, XLII (1908), pp. 137142; B. Casini, Gli Anziani ed i Priori del Comune di Pisa, Siena 1963, p. 18.