NEUROMARKETING.
– Come il neuromarketing può migliorare la comunicazione pubblicitaria. Tecnologie di misura impiegate nel neuromarketing. Strutture cerebrali coinvolte nell’apprezzamento dei comunicati pubblicitari. Bibliografia
Nei Paesi occidentali ogni persona viene raggiunta in media da 100 messaggi pubblicitari al giorno. Ognuno di questi, veicolato tramite tutti i mezzi di comunicazione di massa disponibili (quali, per es., televisione, Internet, giornali, radio, cartelloni), compete con gli altri per attrarre le nostre limitate risorse di attenzione e di memorizzazione.
Tradizionalmente, nelle ricerche di mercato i desideri manifesti e le opinioni dei consumatori circa un particolare prodotto o pubblicità sono raccolti tramite interviste verbali o collettive, chiamate rispettivamente interviste in profondità e focus groups. Un problema che si ha con tali metodiche tradizionali di interviste è che queste non sono particolarmente accurate nel riportare le impressioni dei consumatori. Esiste anche un problema di volontà da parte degli stessi di voler condividere francamente le proprie impressioni di fronte all’intervistatore relativamente al prodotto considerato. Infine, c’è la questione legata al possesso di una capacità introspettiva da parte dell’intervistato per poter accedere a sensazioni ed emozioni associate a un prodotto che possano essere facilmente comunicate all’intervistatore durante il colloquio. Si è quindi attribuito a tali problemi il dato obiettivo che vede l’80% dei nuovi prodotti commerciali realizzati nel mondo (dalle scarpe alle autovetture, passando per i prodotti cosmetici fino ai prodotti alimentari) ritirato dal mercato dopo sei mesi dal lancio a causa dell’assenza di un interesse manifesto del pubblico. Questo dato non collima invece con il forte interesse per tali prodotti durante i focus groups oppure nelle interviste di mercato preliminari alla concezione e al lancio.
Per queste ragioni, la misura dell’attività cerebrale durante la visione di prodotti o dei relativi comunicati commerciali ha iniziato ad attrarre l’interesse delle industrie. Questo interesse è divenuto sempre più evidente dalla fine degli anni Novanta del 20° sec., quando alcuni ricercatori scientifici hanno proposto l’impiego di metodiche di raccolta e analisi dell’attività cerebrale (correlata a incrementi dell’attenzione, dell’emozione o della memorizzazione durante la fruizione dei comunicati commerciali), proprie delle neuroscienze, nel campo della ricerca di mercato per meglio comprendere il comportamento dei consumatori (Ambler, Burne 1999). Negli ultimi quindici anni l’impegno delle neuroscienze in questo settore è andato via via crescendo. In particolare, diversi ricercatori hanno impiegato metodiche di raccolta dell’attività cerebrale durante l’esposizione a messaggi commerciali basate su tecniche quali la risonanza magnetica funzionale (fMRI, functional Magnetic Resonance Imaging) oppure l’elettroencefalografia (EEG) o la magnetoencefalografia (MEG) (Ariely, Berns 2010).
Alla base di questo crescente interesse del mondo della comunicazione pubblicitaria per gli strumenti e le metodologie proprie delle neuroscienze è stata la scoperta che nell’uomo i sistemi cerebrali collegati all’emozione giocano un ruolo fondamentale e spesso inconscio (ossia sottratto al controllo cognitivo cosciente) durante le decisioni che produciamo ogni giorno. Infatti, accade frequentemente che le emozioni percepite durante le stimolazioni sensoriali cui siamo sottoposti nella vita quotidiana non si appalesino al nostro controllo cosciente, pur guidando il nostro comportamento, percepito come spontaneo o naturale. Spesso infatti non siamo in grado di giustificare razionalmente i nostri comportamenti di acquisto, che sovente differiscono notevolmente dal nostro intento iniziale, a favore di un acquisto deciso sul momento in base a motivazioni puramente istintive.
La ragione di questi comportamenti di decision-making apparentemente fuori dal controllo razionale cosciente è basata sul fatto che i sistemi emozionali all’interno del cervello umano possono facilmente accedere ai centri di decisione del comportamento senza essere sottoposti al filtro dell’attività cognitiva cerebrale. L’emozione quindi è un fattore molto importante nella decisione di acquisto di un bene o servizio, e gioca anche un ruolo fondamentale nella nostra percezione dell’immagine di un’azienda tramite la visione del suo logo o di un suo prodotto simbolo. Appare quindi evidente che la possibilità di conoscere l’emozione indotta da un’offerta di consumo, o l’emozione indotta dalla visione di un logo, può essere oltremodo importante per un’azienda che investe in pubblicità.
L’impiego delle metodiche di rappresentazione dell’attività cerebrale (brain imaging) durante la fruizione degli stimoli di consumo può quindi aiutare i ricercatori nella comprensione dell’impatto della particolare comunicazione pubblicitaria studiata, al di là delle tecniche di intervista verbale (Ariely, Berns 2010). Quest’applicazione delle neuroscienze è chiamata neuromarketing.
Come il neuromarketing può migliorare la comunicazione pubblicitaria. – Applicando il brain imaging durante la proposizione ai consumatori di comunicati pubblicitari o di immagini di un prodotto, è quindi possibile migliorare la comprensione di quale sia la percezione dei messaggi pubblicitari. Tale tecnologia può essere inserita nel ciclo di design, realizzazione, lancio e supporto di un nuovo prodotto commerciale in accordo allo schema proposto nella figura (blocchi blu). Si noti come la metodologia del n. possa essere applicata precocemente nelle fasi di sviluppo del prodotto, per testarne direttamente i concetti o l’abbozzo, oltre che per la valutazione della percezione successivamente al lancio sul mercato del prodotto stesso (blocco blu in basso a destra).
Tecnologie di misura impiegate nel neuromarketing. – Esistono differenti tecnologie che vengono attualmente impiegate per la valutazione della risposta cerebrale ed emozionale ai messaggi pubblicitari o al packaging di prodotti; queste tecnologie misurano l’attività cerebrale elettromagnetica (tipicamente tramite l’EEG o molto più raramente la MEG), piuttosto che quella emodinamica (tramite la fMRI), oppure rilevano il puntamento dello sguardo tramite dispositivi di inseguimento pupillare detti eye-trackers.
La misura della variazione del flusso emodinamico in particolari distretti cerebrali durante la percezione di un particolare comunicato pubblicitario, effettuata tramite i dispositivi di fMRI, è stata la tecnologia più largamente impiegata negli scorsi anni nel contesto del neuromarketing. Infatti, diverse aziende nel mondo offrono servizi di n. basati su tale tecnica per l’analisi dell’efficacia della comunicazione pubblicitaria. Esistono però alcune limitazioni relative alla risoluzione temporale con cui è possibile avere informazioni circa il flusso emodinamico cerebrale, attualmente nell’ordine di diversi secondi. Queste limitazioni possono essere di ostacolo alla descrizione istante per istante della percezione di un filmato pubblicitario, generalmente impostato su lunghezze pari a 30 secondi. Per questo motivo le misure tramite fMRI sono impiegate per la valutazione della risposta cerebrale durante la generazione di atti di acquisto, tipicamente in situazioni di laboratorio.
L’estrema capacità di localizzazione delle tecniche fMRI ha consentito la rilevazione di attività cerebrali anche sottocorticali, a carico di particolari aree del cervello, quali, per es., il nucleus accumbens (NA), che sono attive durante la generazione di atti di acquisto (Knutson, Rick, Wimmer et al. 2007). Va osservato come tale attivazione non possa essere osservata tramite l’impiego di tecniche EEG o MEG, che non sono atte a rilevare attività localizzate sottocorticalmente. L’impiego di fMRI è quindi oggi esteso alla valutazione della percezione di particolari brands e immagini statiche piuttosto che di pubblicità filmate.
La misura dell’attività elettromagnetica cerebrale nell’uomo durante la visione di comunicati pubblicitari è invece largamente impiegata grazie alla sua elevata risoluzione temporale (facilmente sotto il secondo). D’altra parte la rilevazione tramite EEG o MEG ha una bassa risoluzione spaziale rispetto alla fMRI. È comunque ancora possibile con EEG o MEG distinguere, sebbene grossolanamente, le diverse attività corticali durante la percezione del comunicato pubblicitario secondo per secondo. Per questa ragione, al 2015 è soprattutto l’EEG la tecnica di rilevazione dell’attività cerebrale più largamente impiegata nella pratica del neuromarketing. Tale diffusione è anche spiegata dai costi della tecnologia che sono di un ordine o due di grandezza inferiori rispetto ai costi di un dispositivo fMRI o MEG.
Esistono anche altri dispositivi che consentono di misurare l’attività psicofisiologica di un soggetto di fronte a un prodotto di consumo, osservando la variazione di grandezze fisiologiche poste in correlazione con la percezione di stimoli positivi o negativi per il consumatore. Tali grandezze, quali la frequenza del battito cardiaco, la variazione della conduttanza cutanea sulle palme delle mani e la frequenza della respirazione, sono state correlate con la percezione di stati d’animo a valenza positiva o negativa da numerosi studi di psicofisiologia (Vecchiato, Cherubino, Trettel et al. 2013). L’impiego di tali strumenti di misura ha mostrato come specifiche regioni della corteccia prefrontale ventromediale, ma anche di quella orbitofrontale e di quella cingolata anteriore, possano essere associate a comportamenti con spiccato carattere emozionale e motivazionale (Critchley 2002).
I dispositivi di inseguimento dello sguardo sono anche tipicamente impiegati negli studi di valutazione della percezione dei comunicati pubblicitari. Questi dispositivi si compongono di un sensore a infrarossi posto sotto lo schermo dove verranno presentate le informazioni pubblicitarie; il sensore è in grado di rilevare il riflesso di tali emissioni sulla pupilla. Il risultato netto è una curva sullo schermo che segue il movimento degli occhi nella scansione di un’immagine pubblicitaria oppure durante la visione di un videoclip. Tali informazioni sono importanti per valutare l’attrattività di particolari parti del comunicato pubblicitario durante una sua visione naturalistica (ossia non forzata a trovare particolari informazioni nell’immagine o nel video presentato). Se questi dispositivi di eye-tracking sono montati su un paio di occhiali si ottiene la possibilità di misurare la scansione da parte dell’occhio di ambienti reali, come quelli all’interno dei punti di vendita. In tal caso le informazioni ottenute sono relative alla maggiore o minore attrattività per lo sguardo di particolari posiziona-menti o confezionamenti dei prodotti.
Strutture cerebrali coinvolte nell’apprezzamento dei comunicati pubblicitari. – Come già detto, l’attività della corteccia cerebrale prefrontale (CPF) è connessa con la percezione di emozioni; queste ultime possono essere indirettamente misurate con l’impiego dell’EEG (Davidson 2004). Studi con tale tecnica indicano come l’attività delle cortecce prefrontali possa differire durante il comportamento di attrazione o repulsione (approach/withdrawal) verso specifici stimoli sensoriali (Davidson 2004). In particolare, vari risultati in letteratura suggeriscono come la CPF sinistra sia particolarmente attiva durante la percezione di stimoli che generano apprezzamento da parte del soggetto sperimentale, mentre la CPF destra è più attiva con stimoli che danno repulsione. È inoltre provato come lo sbilanciamento dell’attività spettrale EEG nella banda di frequenze fra 8 e 12 Hz possa essere un indicatore affidabile delle tendenze di apprezzamento o di repulsione del soggetto di fronte a uno stimolo di consumo o a un messaggio pubblicitario (Vecchiato, Cherubino, Trettel et al. 2013).
La valutazione della risposta emodinamica cerebrale ha mostrato come informazioni sulla marca possano alterarne la valutazione durante il consumo del relativo prodotto (McClure, Li, Tomlin et al. 2004). In tale studio consumatori che dicevano di preferire la Coca-Cola rispetto alla Pepsi Cola non mostravano tale preferenza nei test di consumo in cui la marca non era mostrata. Invece, l’attività cerebrale durante l’assaggio del prodotto con la marca Coca-Cola posta in evidenza era presente non solo nelle parti corticali comunque attive durante la degustazione (come la CPF ventromediale e la corteccia orbitofrontale mediale), ma anche in zone tipicamente associate a memorizzazione e associazione, come l’ippocampo e la CPF dorsolaterale. Queste due ultime attivazioni non si osservavano invece nella degustazione di Pepsi Cola, con la conseguente interpretazione che le persone dicevano di preferire Coca-Cola sostanzialmente perché tale marca è in grado di richiamare più informazioni personali rispetto alla Pepsi Cola.
Ulteriori lavori scientifici hanno mostrato come la CPF ventromediale, il giro frontale mediano e il corpo striato ventrale possano esibire un’elevata attività durante l’osservazione di marche note ai consumatori rispetto a un insieme di marche a limitata notorietà (Deppe, Schwindt, Krämer et al. 2005; Schaefer, Berens, Heinze et al. 2006; Shaefter, Rotte 2007).
In conclusione, l’impiego delle neuroscienze nella valutazione dell’apprezzamento di marche o annunci pubblicitari sta divenendo popolare e rappresenta una delle applicazioni più importanti della traslazione dei risultati della ricerca scientifica sul cervello in contesti non medici.
Bibliografia: T. Ambler, T. Burne, The impact of affect on memory of advertising, «Journal of advertising research», 1999, 39, 2, pp. 25-34; H.D. Critchley, Electrodermal responses: what happens in the brain, «Neuroscientist», 2002, 8, 2, pp. 132-42; R.J. Davidson, What does the prefrontal cortex ‘do’ in affect: perspectives on frontal EEG asymmetry research, «Biological psychology», 2004, 67, 1-2, pp. 219-33; S.M. McClure, J. Li, D. Tomlin et al., Neural correlates of behavioral preference for culturally familiar drinks, «Neuron», 2004, 44, 2, pp. 379-87; M. Deppe, W. Schwindt, J. Krämer et al., Evidence for a neural correlate of a framing effect: bias-specific activity in the ventromedial prefrontal cortex during credibility judgments, «Brain research bulletin», 2005, 67, pp. 413-21; M. Schaefer, H. Berens, H.J. Heinze et al., Neural correlates of culturally familiar brands of car manufacturers, «Neuroimage», 2006, 31, 2, pp. 861-65; B. Knutson, S. Rick, G.E. Wimmer et al., Neural predictors of purchases, «Neuron», 2007, 53, 1, pp. 147-56; M. Schaefer, M. Rotte, Favorite brands as cultural objects modulate reward circuit, «Neuroreport», 2007, 18, 2, pp. 141-45; D. Ariely, G.S. Berns, Neuromarketing: the hope and hype of neuroimaging in business, «Nature reviews. Neuro-science», 2010, 11, 4, pp. 284-92; G. Vecchiato, P. Cherubino, A. Trettel et al., Neuroelectrical brain imaging tools for the study of the efficacy of TV advertising stimuli and their application to neuromarketing, Berlin-Heidelberg 2013.