neurofarmacologia
Le interazioni tra farmaci
Se somministrate in associazione, le sostanze farmacologicamente attive sul sistema nervoso centrale possono dare luogo a interazioni farmacologiche, che si manifestano con maggior frequenza e importanza clinica rispetto ad altri distretti e sistemi.
Le interazioni, prima ancora che i farmaci arrivino sul bersaglio terapeutico, sono molteplici, e vanno dall’assorbimento del farmaco (diversi livelli e tempi di assorbimento), al legame con le proteine plasmatiche e con altri siti di deposito, alla lipo- o idrosolubilità. La competizione tra farmaci a livello dei siti di deposito (albumina, muscoli, tessuto adiposo) può provocare l’insorgenza ritardata dell’azione del farmaco che si lega prima, e uno sbilanciamento dell’azione terapeutica combinata: un legame più forte significa meno farmaco libero e meno azione; al contrario, se il legame è debole il farmaco libero ha un’azione maggiore a va ridotto di dosaggio rispetto all’altro.
I meccanismi d’azione che caratterizzano le varie classi di farmaci attivi sul cervello sono: intervento a livello della sinapsi, dei neurotrasmettitori (sia sui sistemi enzimatici sia sul loro trasporto), dei recettori extra- o intracellulari. Molto frequentemente, spec. nei casi di patologie croniche complesse, si somministra un secondo (o un terzo) farmaco, sia contemporaneamente, sia nell’intervallo di tempo in cui il primo farmaco è ancora circolante (o comunque ancora attivo sul suo bersaglio); se queste altre molecole hanno il medesimo meccanismo d’azione delle prime, si possono verificare competizioni tra i due farmaci a livello enzimatico o recettoriale, o a livello del neurotrasmettitore specifico: non sempre è prevedibile quale molecola sia più attiva sul bersaglio neuronale o sinaptico, e il paziente può subire l’azione prevalente dell’una o dell’altra, come se il dosaggio fosse maggiore di quello somministrato. Per questo è solitamente sconsigliata l’associazione tra due farmaci che abbiano il medesimo scopo terapeutico e lo stesso meccanismo d’azione, come gli antidepressivi inibitori della ricaptazione della serotonina (SSRI) e quelli inibitori delle monoamminossidasi (anti-MAO).
Le indicazioni terapeutiche per una determinata patologia utilizzano, spesso volutamente, più farmaci con differente meccanismo d’azione, sia perché ciò è garanzia di copertura per un paziente particolarmente difficile, sia perché patologie complesse richiedono approccio terapeutico su più fronti (e il caso, per es., dell’epilessia o delle psicosi). Le interazioni in questi casi riguardano la prevalenza, spesso imprevedibile, dell’effetto farmacologico di una sostanza rispetto all’altra (o alle altre); nell’ambito della patologia esiste un certo equilibrio fisiopatologico nascosto che si rompe nel corso della terapia: ne sono un esempio le tendenze suicide dei pazienti psicotici che, accanto a un antipsicotico, assumono, per un’impronta depressiva della loro patologia, antidepressivi. Un altro esempio è il potenziamento dell’azione sedativa sui centri respiratori dovuto alla contemporanea somministrazione di ipnotici-sedativi di diverse classi, come benzodiazepine e barbiturici. Al contrario, l’associazione di anfetamine con antidepressivi provoca crisi di agitazione psicomotoria con allucinazioni per potenziamento dell’effetto serotoninergico (le anfetamine hanno affinità per i recettori 5HT, gli antidepressivi SSRI inibiscono la ricaptazione sinaptica della serotonina). Anche due farmaci che agiscono l’uno con agonismo l’altro con antagonismo (o con antagonismo parziale) sullo stesso recettore non devono essere somministrati insieme: per es., la somministrazione di fentanyl (oppiaceo sintetico) o naloxone insieme alla morfina diminuisce la potenza di quest’ultima che, di conseguenza, necessiterà di dosaggi maggiori; e inoltre differente la curva doserisposta della morfina a seconda che sia stato aggiunto un antagonista competitivo o non competitivo.
Farmaci somministrati contemporaneamente, sia per la medesima patologia, sia per altre patologie non neurologiche, possono entrare fra loro in competizione oppure produrre un’azione sinergica attraverso interferenze nel reciproco metabolismo; a livello dei sistemi epatici preposti alla loro conversione metabolica (attivazione, inattivazione, escrezione) l’uno o l’altro ‘entrano prima’ nel sistema di trasporto dentro l’epatocita o in quello di trasformazione, oppure riescono a rendere più efficaci tali sistemi. Tipico esempio di facilitazione è quello da barbiturici, che attivano sistemi enzimatici microsomiali sia per essi stessi sia per altri farmaci, eliminandoli più velocemente, con conseguente minore efficacia terapeutica e aumento dei dosaggi (fenomeno dell’induzione enzimatica). Analogo comportamento hanno gli antiepilettici fenitoina e carbamazepina. Un’eventualità spesso misconosciuta è l’induzione enzimatica dell’acido folico nei confronti degli anticonvulsivanti. L’acido folico è una vitamina che viene spesso somministrata per compensare la carenza di folati indotta dagli anticonvulsivanti stessi; sono state descritte riduzioni dal 16 al 50% nei livelli plasmatici dell’anticonvulsivante fenitoina dopo l’assunzione in dose terapeutica di acido folico: lo stato mentale dei pazienti migliora, ma aumentano il numero e la gravità degli attacchi epilettici. Anche il fumo di tabacco è un induttore: agisce sulla trasformazione metabolica dell’antipsicotico aloperidolo, riducendone gli effetti. Esempi di inibizione enzimatica, con conseguente rallentamento nell’eliminazione e quindi effetti maggiori (fino alla tossicosi), sono invece l’inibizione del metabolismo della fenitoina da parte dei chemioterapici cloramfenicolo o isoniazide, e quella che esercita il disulfiram (una volta usato per la disassuefazione dall’alcolismo) sul metabolismo dell’alcol, con effetti devastanti.