Nazione è una parola complessa, che assume una pluralità di significati a seconda del diverso contesto in cui viene utilizzata. Nell’ambito della storia del pensiero politico, l’idea moderna di nazione nasce con la fine del XVIII secolo e trova la sua consacrazione con il Romanticismo: essa affonda, infatti, le sue radici nella reazione alle tendenze cosmopolitiche e universalizzanti proprie dell’Illuminismo. Questo non vuol dire, però, che nazione sia una parola ignota ai pensatori antecedenti: già Ockham e Machiavelli parlavano di essa, ma è soltanto con Herder che viene affermato per la prima volta il senso dell’«individualità» nazionale. Con il XIX secolo, l’idea nazionale si lega al liberalismo politico e trova la sua espressione nel «principio di nazionalità», cioè nell’idea che ogni nazione debba essere organizzata in uno Stato entro i suoi confini «naturali», realizzando, nello stesso tempo, l’indipendenza verso l’esterno e l’autogoverno verso l’interno: basti pensare, in questo senso, alle riflessioni di Fichte in Germania o di Mancini in Italia. In questa stessa prospettiva, va vista poi anche l’opera di Mazzini, che identifica nazione e Stato. Una diversa concezione della nazione è, invece, quella di Renan, per il quale essa non è altro che la volontà di vivere insieme, ovvero un «plebiscito quotidiano».
Dal punto di vista giuridico-costituzionale, invece, la nazione è la grande «invenzione» della Rivoluzione francese: essa, infatti, è il soggetto che consente di superare definitivamente, da un lato, la distinzione in ordini propria dell’antico regime, fondando un nuovo assetto politico, e, dall’altro, il dualismo tra sovranità del Monarca e sovranità popolare. L’idea di nazione della Rivoluzione francese si lega strettamente alle teorie politico-costituzionali di J-E. Sieyès: è, infatti, quest’ultimo a identificare nazione e Terzo Stato, edificando così una nuova nozione di cittadinanza. Del pari, è sempre lo stesso Sieyès, in virtù dell’affermazione che la nazione è l’unico soggetto sovrano, in quanto titolare del potere costituente, a promuovere la trasformazione degli Stati Generali in Assemblea nazionale costituente (Assemblea costituente), con il conseguente annullamento dei mandati imperativi conferiti ai delegati. È, infine, sempre Sieyès a teorizzare il legame tra la rappresentanza politica e la nazione: la Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese del 1789 e la successiva Costituzione del 1791 sono l’attuazione di questa grande costruzione teorica, in cui la nazione, unico soggetto titolare della sovranità, delega l’esercizio del potere legislativo a un’assemblea monocamerale (Parlamento), il potere esecutivo al Re (Capo dello Stato) e ai suoi Ministri e il potere giudiziario a giudici elettivi (art. 3 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino francese del 1789; tit. III, artt. 1 ss., Cost. Francia 1791). In questo assetto, va detto che i deputati non rappresentano il loro collegio elettorale, ma la nazione intera (tit. III, cap. I, sez. III, art. 7, Cost. Francia 1791), con espressione che si ritrova oggi all’art. 67 Cost.
La pluralità di significati del termine nazione emerge altresì nel testo della Costituzione italiana vigente. Secondo V. Crisafulli, ad esempio, nazione è utilizzata per lo più come sinonimo di Stato e, più precisamente, di Stato-comunità o Stato-ordinamento (artt. 9, 16, 49, 87, 98, 120 Cost.) e in un solo caso come sinonimo di popolo (art. 67 Cost.). Al di fuori da questa summa divisio si colloca infine l’art. 51, co. 2, Cost., che, nel postulare l’esistenza di «italiani non appartenenti alla Repubblica» pare distinguere tra nazione e Stato.