nativofono
s. m. Chi parla la lingua propria del luogo nel quale è nato.
• La resa in italiano semanticamente isomorfa del paragone spagnolo «(dormir) como un leño» non è però «(dormire) come un masso», ma è piuttosto «(dormire) come un ciocco», scartata nel dizionario bilingue in quanto poco comune. Il «ciocco» indica infatti «la parte inferiore del tronco di un albero». L’espressione col «ciocco» è peraltro ben vitale nei dialetti italiani. Così nel piemontese «deurme come un such» (Gribaudo 1996); «dürmì cume ’n sük» (cuneese) e nel ligure «dormì cumme in seppu» (nativofoni); «durmì cumme un succu» (Genova), aree familiari per Bergoglio; nel friulano il Pirona (1871) precisa: «è ant. e frequentissima la frase: “durmì come un zoc”»; nei dialetti del roveretano e del trentino: «dormir come ’n zoc» (Azzolin, 1836); nel veneziano «dormir como un zoco» (Boerio, 1856); nei dialetti lombardi: «dormìr come n ciuch» fin dal 1701 (Mambretti-Bracchi 2011), nel milanese «Dormì come on sciocch» (Cherubini, 1839); nel romagnolo «è dörma coma un zòc» (Masotti, 1996), «dormìr cmé n sòch» (dialettofono di Parma). (Salvatore Claudio Sgroi, Avvenire, 2 dicembre 2016, p. 22, Catholica) • il parlare di papa Francesco (ispano-nativofono e italofono) è sempre un’occasione non comune per riflettere da più punti di vista sulla lingua non solo altrui ma anche sulla propria come nativofoni. (Salvatore Claudio Sgroi, Sicilia, 19 dicembre 2016, p. 12, Commenti).
- Composto dal s. m. e agg. nativo con l’aggiunta del confisso -fono.
> eterofono.